Olimpiadi. Schwazer. Pietà l’è morta. Vince la gogna mediatica

ROMA – Vorremo avere sotto mano chi ha consigliato Alex Schwazer a tenere una conferenza stampa. Se è stato lui stesso, si è reso responsabile, senza volerlo ovviamente, di aver  trasformato il dolore in spettacolo.   Non aveva  già pagato abbastanza per un errore, grave, gravissimo, che aveva commesso? Aveva distrutto la sua vita. Non era sufficiente? 

Ci voleva la confessione in diretta. Maledetta diretta, che sarebbe il caso di  utilizzare in ben altre occasioni. Magari in telecronache delle Olimpiadi che ci raccontassero gli avvenimenti. Invece no. Dobbiamo ascoltare  commenti stucchevoli, da incompetenti, parlano  di ginnaste che volano come “ fuscelli”, misurano, quando si tratta di donne, quanto sono graziose. Un maschilismo che impregna ogni cronaca. E c’è  anche chi non si rende neppure conto di cosa dice. Per dire che uno dei più grande nuotatori di tutti i tempi, Michael Phelps  non ci stava a toccare la vasca per secondo  nel corso della staffetta, afferma che “ non ci sta a mettere la mani dietro”.

“Non vedevo  solo l’ora che finisse tutto”

Ma le cronache radiotelevisive e tanti articoli, non solo dei giornali sportivi,  invece che ai “ Giochi Olimpici”, come si chiamano, di raccontano  vere e proprie battaglie sia individuali che collettive, dal cui esito dipende la storia del mondo. E non avviene solo  per quanto riguarda grandi manifestazioni planetarie, le Olimpiadi appunto. Se andate su un campetto di periferia dove giocano a calcio dei “pulcini” il tifo dei genitori e peggiore di quello delle curve dove si annidano le ciurme più violente. Bisogna vincere, vincere comunque. L’avversario è il nemico da battere.  Abbiamo negli occhi l’immagine di un giovane, un grande atleta. Piange, si tiene la testa fra le mani, su di lui c’è una indagine in corso. Ma  ad Alex non interessa  è un fatto estraneo al suo mondo attuale. Fa presente che poteva evitare il controllo antidoping,  poteva dire a sua madre , era il giorno del suo compleanno,di non aprire  quando hanno suonato alla porta. Sapeva che venivano   per effettuare le prove. Quasi  le ha volute..   Ha lasciato che la porta si aprisse: “Non vedevo solo l’ora che finisse tutto… Il 30 ho fatto il controllo sapendo di essere positivo. Sono contento che sia finito tutto, forse ora potrò fare una vita normale”. Pensate, per tornare a fare una vita normale un giovane deve confessare di essersi dopato. Aberrante.

“Quando pensavo  che dovevo solo faticare mi veniva la nausea”

 Ma non basta: Alex racconta: “ Non mi è mai piaciuto essere osannato per una singola prestazione. Io ho parlato molte volte con Carolina (Kostner,  una grande pattinatrice ndr)) e lei ama il suo sport, lei pattina perché le piace. io invece marcio perché sono bravo ma non ho piacere ad allenarmi 35 ore a settimana. Quando pensavo che dovevo solo faticare per ore mi veniva la nausea”. E spiega perché aveva rinunciato a partecipare alla 20 chilometri di marcia: “ Ero distrutto e non in grado mentalmente di sostenere la gara”.  Ci domandiamo: per tornare a fare una vita normale, restituendo il tesserino dell’arma dei carabinieri, occorreva una sorta di “ purificazione “ televisiva?

Una tortura, un massacro sul web

Per Alex è stata una vera e propria tortura, la tortura dei media che quando azzannano la preda non la mollano più. Serve il titolo, il sensazionale, ciò che è normale non fa notizia. Vale il  vecchio detto che il cane che morde un  uomo. E’ accaduto così che le Olimpiadi, fra l’altro non proprio esaltanti in generale e non solo per quanto riguarda clamorose battute da’arresti per gli italiani, leggi nuoto, sono scomparse come fatto sportivo. E sono diventate sul web, nei social network un vero e proprio massacro nei confronti di Alex Schwazer con un perfino gli sta bene è un carabiniere scritta da un cretino, uno dei tanti, va detto, che popolano  questo mondo  che dovrebbe rappresentare una garanzia di libertà dell’informazione e di partecipazione. Verrebbe da dire, senza alcuna giustificazione per ciò che ha fatto Alex, pietà l’è morta.










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