Con “Formula Piena”, Assolto Vasco Errani. Quando onestà e buon governo fanno la differenza

RAVENNA – “Quando stamattina (ieri 8 novembre n.d.r.) abbiamo appreso dell’assoluzione del presidente Errani, abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Non perché sospettassimo della sua buona fede ma perché una “condanna” avrebbe potuto mettere fine ad un’esperienza di buon governo fondato sulla concertazione e sulle esigenze dei cittadini”.

È con queste parole che il segretario generale della CISL dell’Emilia Romagna, Giorgio Graziani, ha accolto la sentenza di proscioglimento, “perché il fatto non sussiste”, pronunciata dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Bologna, Bruno Giangiacomo.

Quella di Graziani, romagnolo “doc” come Errani (nato a Massa Lombarda, 57 anni fa), è solo una delle tante voci che, tra ieri e oggi, si sono alzate a sostegno: per manifestare consenso alla sentenza e simpatia al Presidente, ovvero per zittire, finalmente, tutte le “poiane” della destra, che da Cuneo a Roma, passando per Napoli, hanno tentato in questi mesi di intorbidire le acque attraverso la chiamata a “correità” solo per minimizzare le porcate dei loro sodali amministratori locali.

Ebbene, care signore, purtroppo per voi, non è stato facile come pensavate mettere tutto nello stesso calderone, solo per conquistare il “tanto sono tutti uguali” del popolino. Le sentenze di Bari e di Bologna, pur nella diversità delle argomentazioni, sono la rappresentazione plastica della “diversità” che esiste tra le buone e le cattive amministrazioni; tra le persone “per bene” che non sfuggono il processo (puntando all’impunità) ma che, anzi, lo cercano, forzando sui tempi perché convinti della propria innocenza.

Altro che “sono tutti uguali!”. La sentenza di Bologna dimostra (ma noi lo sapevamo) che “Non è così!” Infatti, l’esperienza di Errani (al governo dell’Emilia- Romagna da 12 anni); quella di Vendola in Puglia così come, ancora, quella di Rossi in Toscana e quella di Catiuscia Marini in Umbria non possono essere in alcun modo accomunate alle porcherie della Lombardia, del Lazio, del Piemonte, della Campania, della Calabria (ci fermiamo qui per amor di Patria) non solo perché i loro conti sono “sostanzialmente” in ordine, molto lontani dai disastri economici e dai “fallimenti” prossimi venturi degli amministratori della destra; non solo perché il costo della democrazia in queste Regioni è il più basso in assoluto (poco più di 8 euro per cittadino) ma soprattutto perché, come dice Graziani, siamo di fronte ad “un buon governo” in sintonia con le forze sociali e gli elettori.

La sentenza di Bologna, però, invita – secondo me – anche ad almeno due riflessioni.
In primo luogo dovrebbe invitare i cittadini ad aprire gli occhi sui disastri che si stanno compiendo, in nome delle moralizzazione della politica (da cui basterebbe cacciare i malviventi e i loro rappresentanti), con la rimessa in discussione del Titolo V della Costituzione, a partire dalla rivoluzione sulle Province. La contrazione dei centri di decisione, infatti, con il conseguente riaccentramento del “potere”, mentre potrebbe non portare alcun risparmio, sicuramente è destinata a comprimere la democrazia e la partecipazione dei cittadini.

Sintonia e democrazia. Su queste due parole d’ordine, infine, si dovrebbe articolare la seconda parte della riflessione. Se, infatti, è “lapallissiano” affermare che la democrazia si fonda sulla sintonia con gli elettori e sulla ricerca del maggior numero di consensi, a quasi un anno dall’avvio dell’esperienza del governo tecnico, non possiamo non segnalare come la stessa sia stata vissuta dai partiti in Parlamento, come una sorta di delega a svolgere il “lavoro sporco”. Quel lavoro che nessuno di loro – pena la perdita del consenso (appunto) – si sarebbe mai sognato di mettere in “agenda”.

La vicenda emiliana, dunque, evidenzia come sia diverso governare con il consenso dei cittadini invece che con il ricorso ai ricatti delle fiducie parlamentari a ripetizione.

Ed è proprio su questa diversità che si scontrano, allora, le pretese di mettere mano alla legge elettorale in chiave anti “Grillo” e anti “Bersani” (Renzi, la destra lo tiene in tasca) della ricomposta “Casa delle Libertà”: lor signori e rispettive “poiane” al seguito, hanno così in poco conto la democrazia da reputare come “antidemocratica” un’espressione a maggioranza popolare per “l’M5S” o per l’asse “PD-SEL”. E la cosa più vergognosa è che non ne fanno mistero ma, anzi, se ne beano e se ne gloriano.

Personalmente nutro poche simpatie tanto per l’M5S che per l’asse “PD-SEL” ma debbo dire che, come al solito, la paura del fascismo di lor signori mi costringerà a “turarmi il naso” ed andare alle urne. Forse già il prossimo 25 novembre!

Condividi sui social

Articoli correlati