Abusivismo edilizio. L’Italia frana, il parlamento condona

Legambiente: Sempre nuovi alibi per l’illegalità”. Nel 2013 costruiti 26mila immobili illegali: fuorilegge una nuova casa su 10. Campania e Sicilia roccaforti del fronte no ruspe

 

ROMA – L’abusivismo edilizio rappresenta un’autentica piaga nazionale; prospera indisturbato da decenni e non conosce crisi, nutrendosi di alibi e giustificazioni. Abbiamo occupato le coste, i letti dei fiumi, i pendii delle montagne, senza pensare, non solo al danno paesaggistico, ma nemmeno al pericolo di realizzare case, terrazze, alberghi, scuole, uffici in aree dove non si dovrebbe nemmeno piantare una tenda da campeggio. E se il 2013 è stato un anno ricco di demolizioni – anche molto importanti come gli scheletri di Lido Rossello e di  Scala dei turchi sulla costa agrigentina ad esempio, rimossi dopo vent’anni di battaglie legali – è stato anche un anno denso di tentativi per approvare in Parlamento un nuovo condono mascherato sotto le forme più diverse. Tra emendamenti e disegni di legge, Legambiente ne ha contati cinque. Ben 22 dal gennaio del 2010, tutti rispediti al mittente, anche grazie all’attiva opposizione dell’associazione. Ma l’ultimo, il ddl Falanga è passato un mese fa al Senato con 189 sì, 61 no e 7 astenuti.

Di condoni, norme “blocca ruspe”, vecchio e nuovo cemento illegale si è parlato oggi a Roma all’incontro organizzato da Legambiente Abusivismo edilizio: l’Italia frana, il Parlamento condona. Un dibattito tra gli attori in campo per sfatare gli alibi del no alle ruspe e stimolare nuove azioni per il ripristino della legalità, con la partecipazione, tra gli altri, del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, di Ermete Realacci presidente della Commissione Ambiente della Camera, Ciro Falanga senatore FI, Loredana De Petris senatrice Sel, Aldo De Chiara avvocato dello Stato presso la Procura generale di Salerno, Domenico Fiordalisi procuratore capo di Tempio Pausania, Enrico Fontana direttore di Libera, Luca Di Fiori sindaco di Ardea, Daniela Ciancimino avvocato del centro di azione giuridica di Legambiente Sicilia, Vittorio Cogliati Dezza e Rossella Muroni presidente e direttore generale di Legambiente.

“I tentativi di fermare le ruspe delle Procure – ha dichiarato Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente – affermano l’esigenza di salvare le case fuorilegge in nome di un presunto abusivismo di necessità. Ma questo ‘abusivismo della povera gente’ oggi esiste davvero? Se sì, dove e quante famiglie riguarda e perché non vengono aiutate con l’inserimento nelle graduatorie delle case popolari? Se la loro situazione è seria, e ancor più aggravata dal fatto di vivere in un edificio che deve essere demolito, i Comuni hanno l’obbligo di provvedere all’assegnazione in via prioritaria di un alloggio sociale. A meno che non si ammetta che dietro questo alibi si celano anche le ville di notai, farmacisti, avvocati, imprenditori, assessori comunali. Ed è difficile immaginare che costoro possano adattarsi alle case popolari”.

Come racconta il dossier presentato oggi, affrontare il problema, serissimo, del bisogno abitativo è secondo Legambiente una priorità. Senza dimenticare la necessità, non più eludibile, di delocalizzare gli insediamenti sorti nelle aree a rischio dissesto, considerando anche l’opportunità  di demolire e ricostruire. Una pratica pressoché sconosciuta in Italia, dato che tra i 1.354 comuni interpellati dalla ricerca Ecosistema Rischio 2013, condotta da Legambiente e Dipartimento di protezione civile, solo 55 hanno dichiarato di aver avviato nell’ultimo biennio procedure di delocalizzazione. Lo stivale si sgretola sotto le frane e le ondate di piena dei fiumi, ma nonostante tutto nell’ultimo decennio sono state edificate aree esposte a pericolo frane e alluvioni in ben 186 Comuni.

Il miglior deterrente al nuovo abusivismo è il ripristino della legalità, quindi l’abbattimento degli immobili fuorilegge. Viceversa, ogni ipotesi di sanatoria alimenta nuovo cemento, come è successo con i tre condoni edilizi, quelli del 1985, del 1994 e del 2003. Ed è bene ricordarlo: abbattere un immobile abusivo non è una facoltà, ma un preciso obbligo delle amministrazioni comunali, previsto dal Dpr 380/2001, il Testo unico sull’edilizia, una buona legge, purtroppo sostanzialmente disattesa.

In questi anni abbiamo assistito a frane, alluvioni, esondazioni che hanno spazzato via pezzi di territorio, case, beni culturali, molto spesso anche vite umane. Ma, come se nulla fosse, si continua a costruire illegalmente e a cercare di salvare le case abusive dalle demolizioni. Nel 2013, secondo la stima del Cresme, in barba alla crisi economica che ha colpito duramente il settore edile, sarebbero stati costruiti 26mila immobili illegali, tra ampliamenti e nuove costruzioni: oltre il 13% del totale delle nuove costruzioni. Significa che grosso modo una nuova casa su dieci di quelle sorte nell’ultimo anno è fuorilegge.

L’abusivismo edilizio, oltre a sfregiare il paesaggio, alimenta una vera e propria filiera del cemento illegale (dalle cave, agli impianti di calcestruzzo, fino alle imprese edili), quindi a prezzo ridotto per il committente. Tutto è pagato in nero – i materiali, la manodopera, zero spese alla voce sicurezza del cantiere – e arricchisce in molti territori le casse dei clan. Nel settore è molto forte anche la connivenza delle pubbliche amministrazioni con la criminalità organizzata. L’analisi dei decreti di scioglimento delle amministrazioni locali condizionate dalla mafia restituisce un dato inequivocabile: l’81% dei Comuni sciolti in Campania dal 1991 a oggi, vede tra le motivazioni un diffuso abusivismo edilizio, casi ripetuti di speculazione immobiliare, pratiche di demolizione inevase.

Proprio la Campania, con i suoi 175mila immobili abusivi, è la regione che vanta il primato nazionale per  numero di reati legati al ciclo del cemento illegale nel 2012, con 875 infrazioni accertate dalle Forze dell’ordine nel 2012, il 13,9% del totale nazionale. Napoli è la prima provincia d’Italia, con 305 infrazioni accertate (il 4,8% del totale nazionale), seguita da Salerno, con 267 (il 4,2%). Una delle zone più colpite è il litorale Domitio-Flegreo. Il fenomeno è così vasto che non ha risparmiato nemmeno l’area archeologica di Pompei, dove nel gennaio del 2013 i carabinieri hanno scoperto 3 villette tirate su senza autorizzazione proprio a ridosso degli scavi. E poi c’è Ischia che, con oltre 600 immobili colpiti da ordine di demolizione determinato da sentenza definitiva, è il simbolo indiscusso del cemento selvaggio. E’ la Sicilia, invece, a guidare la classifica 2013 dell’abusivismo edilizio nelle aree demaniali costiere, con 476 illeciti, 725 persone denunciate e 286 sequestri. Nella regione, ci sono sempre state enormi difficoltà ad applicare la legge che prevede l’acquisizione e la successiva demolizione degli immobili: sono ancora in piedi le circa 5mila case costruite sulla spiagge di Castelvetrano-Selinunte e di Campobello di Mazara (solo una piccola parte delle circa 50mila stimate su tutte le coste siciliane), le 560 case nella zona di massima tutela della Valle dei Templi, le oltre 400 della Riserva della Foce del Simeto a Catania, i circa 360 immobili di Pizzo Sella, la famigerata “collina del disonore” a Palermo , di cui 300 sono scheletri.

Accanto alle promesse di sanatoria, il nuovo cemento illegale può contare su un altro “incentivo” micidiale: la quasi matematica certezza che l’immobile abusivo non verrà abbattuto. Il rapporto tra ordinanze ed esecuzioni è bassissimo: le demolizioni superano di poco il 10%. La città con il maggior numero di ordinanze di demolizione emesse è Napoli, con 16.837 provvedimenti, che però riesce a portarne a termine solo 710, pari al 4%.

Altra situazione anomala, che concorre a rafforzare l’idea che avere costruito una casa illegale in fondo non è così rilevante, riguarda i condoni dimenticati, ossia tutte quelle pratiche di condono edilizio giacenti negli uffici tecnici dei Comuni italiani in attesa di essere esaminate. Sommando i tre condoni (1983, 1994 e 2003) nei capoluoghi di provincia italiani sono state depositate 2.040.544 domande di sanatoria. Di queste, il 41,3% risulta ancora oggi inevaso. In questo modo sono proposte sul mercato immobiliare, per essere affittate o, addirittura, vendute case che potrebbero, invece, essere destinate all’abbattimento.

“Sarebbe un importante indice di responsabilità – ha commentato Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente – approvare la proposta di legge Realacci sulle demolizioni, già presentata allo scadere della XVI legislatura al Senato da Ferrante e Della Seta e alla Camera da Realacci e Granata, che giace in attesa di essere calendarizzata alla Camera dal marzo dello scorso anno. Il Parlamento italiano darebbe un segno concreto di vicinanza a quanti, sindaci, magistrati, prefetti fanno ogni giorno con onore il proprio mestiere, spesso isolati, osteggiati, minacciati”.

Il provvedimento ha come obiettivo quello di integrare e potenziare le previsioni in materia di abusivismo e demolizioni della L.380/2001, accentuando le responsabilità degli enti locali e inasprendo le sanzioni, anche per i Comuni che non evadono le pratiche di condono edilizio giacenti nei loro uffici tecnici. Un’altra novità è rappresentata dalla destinazione, da parte dei Comuni, delle sanzioni amministrative per interventi di riqualificazione urbana.

“La prima ondata di provvedimenti si concentrava esplicitamente sulla volontà di ottenere per la Campania la riapertura dei termini dell’ultimo condono edilizio, quello del 2003. I più recenti hanno invece puntato la mira sulle Procure, provando a ostacolarne, se non addirittura a paralizzarne, l’attività in materia di antiabusivismo. Ai membri della Camera dei deputati  oggi rilanciamo il nostro appello, perché non siano complici dei paladini degli abusivi” ha aggiunto il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza.

Nel 2013 gli interventi di demolizione edilizia censiti da Legambiente sono 12. Nella quasi totalità dei casi, si tratta di abitazioni private, di ville costruite in riva al mare, ma anche in alcuni casi significativi nelle zone interne, ad esempio nei parchi e nelle aree protette. Molto spesso i sindaci che non demoliscono si trincerano dietro l’alibi economico: la mancanza di denaro per fare fronte alle spese di abbattimento viene posta come prima motivazione per giustificare l’inerzia della pubblica amministrazione. Ma, a dispetto dei proclami, abbattere non ha costi eccessivi. Soprattutto, bisogna ricordare che la legge parla chiaro: la demolizione deve avvenire a opera del proprietario dell’immobile.

Per restituire al Paese i luoghi violati, eliminando manufatti che molto spesso sono rimasti delle incompiute, desolanti scheletri in cemento che da decenni sfregiano il paesaggio agricolo, alberghi e villaggi turistici illegali a picco sul mare, decine di migliaia di villette che hanno cancellato le spiagge più belle, Legambiente ha dato vita alla campagna Abbatti l’abuso  (www.Legambiente.it/abbattilabuso) a cui hanno aderito Il Consiglio nazionale dei Geologi, il Consiglio nazionale degli Architetti, Libera e Avviso Pubblico.

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