Ocse. Istruzione inutile per i giovani se non porta lavoro

ROMA – Diminuisce la motivazione dei giovani italiani nei confronti dell’istruzione a causa delle difficoltà nel trovare lavoro. Aumentano però le donne laureate e la scuola di base italiana, nonostante i problemi, ha invece migliorato la sua qualità. È quanto emerge dal rapporto Ocse per l’Italia «Uno sguardo sull’istruzione 2014», secondo il quale, sembra ormai valere per i ragazzi l’assunto: «Se non serve a trovare lavoro, non studio».

E così le difficoltà cui fanno fronte i giovani italiani per trovare un lavoro rischiano di compromettere gli investimenti nell’istruzione. Secondo l’Ocse, i tassi d’iscrizione all’università in Italia hanno segnato una fase di ristagno o sono diminuiti negli anni più recenti e il numero di studenti che abbandonano precocemente gli studi ha smesso di diminuire dopo il 2010. Nel 2012, quasi un giovane su tre (32%) dai 20 ai 24 anni di età non lavorava e non era iscritto a nessun corso di studi (in aumento di 10 punti percentuali rispetto al 2008). In confronto, nel 2012 nei Paesi Bassi solo il 7% dei giovani 20-24enni non studiava e non lavorava, e in Austria e Germania solo l’11%. Nello stesso anno, circa uno su sette (14%) tra i 17enni aveva già abbandonato la scuola (la media OCSE per il 2012 è del 10%).

«Tutto lascia pensare che l’università e la scuola non siano viste dai ragazzi e dalle loro famiglie », spiega Francesco Avvisati (OCSE), autore della nota sull’Italia. «Il sistema di istruzione, in particolare la formazione professionale nelle scuole, nel post-secondario e anche nelle università, devono essere al centro di una strategia per creare e valorizzare le competenze di cui l’economia ha bisogno.» Ma fra gli universitari, cresce il numero delle donne donne laureate: complessivamente, negli ultimi 15 anni il numero di diplomati e  altri paesi dell’OCSE. Tra il 2000 e il 2012, la percentuale di laureati tasso medio di laureati tra i 25-34enni nell’area OCSE, che comprende i diplomati di percorsi di studio professionalizzanti di livello terziario, è del 40%. Il vero gap però è nel livello medio di preparazione. Nonostante alcuni segnali di miglioramento incoraggianti, il livello medio dei giovani italiani in comprensione dei testi scritti (lettura) e nelle prove matematiche dello Studio OCSE sulle Competenze degli Adulti (PIAAC) resta basso rispetto agli altri Paesi dell’area OCSE. I giovani laureati Italiani (25-34 anni), per esempio, raggiungono appena il livello di competenze di lettura e matematiche dei loro coetanei senza titolo di studio terziario in Finlandia, in Giappone o nei Paesi Bassi. Anche tra i quindicenni, l’indagine PISA misura un livello medio in matematica e lettura inferiore alla media OCSE.

Migliora però la qualità della scuola di base e questo, nonostante i tagli. L’Italia è uno dei tre paesi dell’OCSE – con la Polonia e il Portogallo – ad aver ridotto tra il 2003 e il 2012 la quota di quindicenni in grave difficoltà in matematica (passata da un giovane su tre a un giovane su quattro), e al contempo aumentato la quota di quindicenni nella fascia alta di competenze. Un miglioramento che non ha richiesto risorse aggiuntive: l’Italia è infatti l’unico paese ad aver ridotto, tra il 2000 e il 2011, la spesa pubblica per l’istruzione primaria e secondaria. La riduzione della spesa per istruzione è l’effetto della riduzione del numero di docenti. L’Italia aveva in passato un rapporto numero di insegnanti tra i più alti a livello internazionale, in proporzione al numero di studenti. Il rapporto numero di studenti/numero di insegnanti si è recentemente avvicinato al rapporto medio degli altri paesi. Oggi il rapporto studenti/insegnante è di 12 studenti per 1 insegnante in Italia, rispetto alla media dell’OCSE di 15 studenti nella scuola primaria e 13 studenti per ogni insegnante nella scuola secondaria. «Ciò dimostra che la qualità dell’istruzione non dipende dal numero di insegnanti, ma dalla loro preparazione, dal loro impegno, e da una gestione del personale che motiva i migliori insegnanti a lavorare là dove le sfide sono maggiori» , spiega Francesco Avvisati (OCSE).

L’aumento del rapporto studenti/insegnanti è stato reso possibile dalla riduzione delle ore di lezione degli studenti (che resta superiore alla media OCSE) e da un leggero aumento del numero di ore d’insegnamento dei docenti. La dimensione delle classi è aumentata in misura minore, e solo nella scuola  secondaria. Poichè la riduzione del personale è stata realizzata tramite il blocco del turnover, l’età media degli insegnanti è notevolmente aumentata. Nel 2012 il 62% dell’insieme degli insegnanti della scuola secondaria aveva  più di 50 anni di età, rispetto al 48% nel 2002. L’Italia è tra i paesi più avanzati per quanto riguarda l’accesso all’istruzione preprimaria. Il 92% dei bambini di 3 anni di età è iscritto alla scuola dell’infanzia (preprimaria), rispetto alla media del 70% per l’area dell’OCSE. I tassi

d’iscrizione crescono fino a raggiungere il 96% per i bambini che hanno compiuto 4 anni. Tali tassi sono tra i più alti osservati nei Paesi dell’OCSE, simili a quelli rilevati in Germania, Spagna e Regno Unito.

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