La tecnologia moderna e le rivoluzioni che passano per la Rete: come internet ha cambiato il mondo

ROMA – L’era dei social media ha visto numerosi casi di instabilità politica vissuta da diversi paesi, quale la vicenda venezuelana, che fa da sfondo a numerose altre succedutesi nel corso del tempo.

Eotrading.com ha analizzato nel dettaglio il ruolo giocato dalle tecnologie moderne nello svolgersi di questi episodi è stato significativo e hanno giocato un ruolo non indifferente durante le lotte e le rivoluzioni portate avanti in questi paesi non solo da un punto di vista informativo.

Andiamo ad analizzare da vicino la situazione venezuelana.

La destabilizzazione economica causata dai controlli valutari e di prezzo imposti dal presidente del Venezuela Nicolas Maduro era sfociata in un movimento di protesta che il governo aveva cercato di sabotare dal momento in cui questa ha presentato risvolti violenti quali la morte di tre studenti e numerosi feriti. In questo quadro si inserisce l’accusa dell’ex sindaco di Harvard Leopoldo Lopez, che muove accuse nei confronti delle milizie filo-governative.

Il divieto da parte del governo tuttavia non era riuscito a porre un freno alle proteste che invece sono andate avanti sfidando qualsiasi tipo di censura quale quella imposta, dal governo stesso , ai mezzi di comunicazione di massa, attraverso i quali i cittadini venezuelani si informavano su quanto accadeva nel paese sfruttando per giunta un sistema di controinformazione che si è avvalso dei più moderni sistemi offerti dalla tecnologia moderna.

I social media hanno rivestito un ruolo importante per i manifestanti del Venezuela. Così come i loro predecessori, hanno fatto ricorso ai  mezzi di comunicazione online per auto-organizzarsi utilizzando “Zello”, un app walkie-talkie, che permette di condividere rapidamente informazioni su canali protetti da password. Secondo i racconti che circolano sul mainstream, il presidente Maduro sta cercando di manomettere i social media così come hanno fatto gli altri dittatori, rovesciati prima di lui.

Nel 2009 era stata la volta dell’Iran e della “Green Revolution” contro la linea dura adottata da Mahmoud Ahmadinejad, nei confronti della quale il governo aveva adottato un “damage-control mode” per sostenere il proprio presidente con conseguenze che si sono riversate non solo sui cittadini, ma anche sulla stampa internazionale. Numerosi i giornalisti stranieri arrestati cui è stato imposto il divieto ad abbandonare i propri uffici.

Agli attacchi dei sostenitori dell’opposizione contro le DDoS sul sito web di Ahmadinejad attraverso i social network, la risposta del governo è stata quella di spegnere Internet a livello nazionale. Ma ciò non ha fermato gli utenti iraniani che hanno risposto alla censura usando dei proxy forniti anche in maniera volontaria dagli hacktivisti in Occidente, mantenendo così l’accesso alla rete nonostante i divieti governativi. Attraverso YouTube i manifestanti sono riusciti a trasmettere le immagini degli eventi durante le proteste come l’episodio della morte del ventiseenne Neda Agha-Soltan per mano di un miliziano filo-governativo. Twitter e Facebook hanno permesso l’amplificarsi del giornalismo cittadino (citizen journalism).

La linea dura di Ahmadinejad è riuscita a mantenere il potere, soprattutto perché purtroppo, l’utilità dell’organizzazione dei social media non è stata sostenuta da azioni su larga scala necessarie per rovesciare nella realtà un governo oppressivo. Tuttavia la “Green Revolution” ha spianato la strada, per l’ascesa avvenuta lo scorso anno, del relativamente moderato Hassan Rouhani.

Per ulteriori approfondimenti vi invitiamo a leggere lo speciale ‘Red Wire’

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