La scuola ritorni un veicolo universale di integrazione. Gli studenti scrivono a Mattarella

ROMA – Questa mattina,  l’ Unione degli Universitari e la Rete degli Studenti Medi sono presenti a l’Aquila, dove hanno consegnato una lettera all’attenzione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che interverrà all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università del capoluogo abruzzese.

Il contenuto della lettera, partendo dalla condanna della recente strage di Parigi, insiste sul fondamentale ruolo dell’istruzione come veicolo universale di integrazione.

Dichiara Jacopo Dionisio, coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari: “Con la terribile strage di Parigi, l’Europa ha vissuto da vicino quello che per molti altri popoli da anni è la quotidianità. Ma non è cedendo all’odio, alla xenofobia e alla cieca ricerca di un capro espiatorio che si sconfiggeranno le violenze o il terrorismo: dobbiamo avere il coraggio di immaginare una società diversa, in cui l’immigrato, il rifugiato e tutte le persone di origini e culture diverse siano finalmente riconosciuti come una risorsa: vogliamo una società che faccia dell’integrazione un principio essenziale per l’attuazione della libertà e della democrazia. Per costruire una società basata su uguaglianza e solidarietà si deve ripartire dall’istruzione, strumento prioritario per veicolare questi principi. Dove regna l’ignoranza cresce la paura e trovano terreno fertile l’odio e il razzismo. Il Governo deve finalmente investire nel diritto allo studio e nel libero accesso alla cultura: solo così torneremo a credere in un futuro diverso”.

Conclude Alberto Irone, portavoce nazionale della Rete degli Studenti Medi: “L’Italia deve tornare ad avere come priorità l’investimento nell’istruzione, indispensabile strumento per appianare, da Nord a Sud, le tante disuguaglianze che soffocano la nostra società. L’Italia è già in ritardo rispetto a molti altri paesi: la si potrebbe considerare il Mezzogiorno d’Europa. Ma ancora più disarmante è il forte divario che permane tra il Nord e il Sud della penisola e che si amplia sempre di più. L’alto tasso di disoccupazione, la mancanza di servizi ed infrastrutture pubblici efficienti e l’illegalità estesa in alcuni territori, sono solo alcuni dei fattori che rendono il compito dell’istruzione ancora più difficile in quest’area del Paese, e i dati lo dimostrano: la dispersione scolastica in alcune aree sfiora il 30% e gli atenei del meridione si stanno svuotando, perdendo nell’ultimo anno ben 37 mila iscritti. Abbiamo chiaramente scritto a Mattarella che non è questa l’Italia che vogliamo: c’è bisogno di investire nell’istruzione pubblica, affinché si abbattano le divisioni sociali e si restituisca dignità ai giovani del nostro paese”.

Il testo integrale della lettera

L’Aquila, 16 novembre 2015

Egregio Presidente Professor Sergio Mattarella,

quanto successo a Parigi venerdì, oltre che lasciare una ferita assai profonda in tutti noi, ci obbliga a fare una seria riflessione sulla fase storica che stiamo vivendo. In molti, ormai da giorni, parlano di terza guerra mondiale, una guerra che non si combatte su un unico campo di battaglia, ma caratterizzata da numerosi focolai diffusi in tutto il mondo: dalla Siria al Nord Africa, passando per la Palestina.

Gli attentati di Parigi hanno certamente avuto un impatto emotivo assai forte su di noi, come Italiani e come Europei, ma non dobbiamo assolutamente commettere l’errore di indignarci e mobilitarci solo perché sentiamo il pericolo più vicino: non possiamo permetterci di avere una visione limitata ed europacentrica, non possiamo dimenticarci di ciò che avviene fuori dai confini del Vecchio Continente.

In un momento storico come questo, è fondamentale reagire a questi fatti in modo collettivo e democratico. Non possiamo rispondere all’odio con altro odio, soprattutto in vista del rischio concreto che la reazione a questi attacchi si traduca, come sta già in parte avvenendo, in intolleranza.

Invece, oggi tornano, purtroppo, sempre più forti i movimenti fascisti, razzisti e xenofobi, che, alimentando sentimenti quali paura e odio, propongono quasi un ritorno agli Stati nazionali, alla chiusura delle frontiere: non è questa la risposta che l’Europa è chiamata a dare.

Davanti al proliferare dei conflitti e ai massicci flussi migratori che ne derivano, e che sono ormai cronaca quotidiana, l’Italia e l’Europa devono rispondere in maniera forte e chiara, mettendo al bando qualsiasi pulsione razzista: umanità e solidarietà devono essere i concetti chiave da cui ripartire, per dimostrare che non abbiamo paura. Anzi dobbiamo finalmente essere capaci di considerare l’immigrazione, oggi troppo spesso percepita in modo del tutto negativo, come qualcosa di positivo e necessario a far crescere la società nella sua interezza, ormai sempre più multiculturale: immigrazione come risorsa, integrazione come strumento fondamentale.

Venerdì abbiamo vissuto da vicino quello che per molti altri popoli da anni è la quotidianità, ma non è “sparando ai gommoni” o “aiutandoli a casa loro” che si possono sconfiggere le violenze o il terrorismo: dobbiamo avere il coraggio di immaginare una società diversa, in cui i migranti non siano emarginati nelle periferie delle città, o in generale siano relegati ai margini della società , ma piuttosto siano riconosciuti come un valore aggiunto.

La fase che stiamo vivendo ci rende ancora più consapevoli di quanto sia necessario sentirsi parte del progetto e della comunità europea, rafforzandone i valori fondanti, consci di doverlo fare ripartendo dalla coesione sociale e territoriale del nostro stesso Paese. Rafforzare la nostra identità e inserirci in un contesto comunitario non può passare dall’illusione facile dei nazionalismi, dall’isolamento e dalle divisioni sociali.

Riteniamo che per avere una società basata su uguaglianza e solidarietà si debba ripartire dall’istruzione, strumento prioritario per veicolare questi principi. Dove regna l’ignoranza cresce la paura e trovano terreno fertile l’odio e il razzismo. 

Istruzione pubblica e aperta a tutti, indipendentemente dalla provenienza geografica, sociale o economica. L’istruzione deve essere un diritto universalmente riconosciuto, a chi non ha capacità economica così come a chi fugge dalla guerra e dal suo paese in cerca di un futuro migliore, di un lavoro o di un riscatto sociale che solo l’istruzione potrà dare loro. 

Dobbiamo tornare ad essere un paese che cresce investendo sull’istruzione e sulla cultura, da nord a sud, mettendo tutti nelle stesse condizioni di partenza e appianando le diseguaglianze che soffocano la nostra società. L’Italia è già in ritardo rispetto a molti altri paesi europei: la si potrebbe definire Mezzogiorno d’Europa. 

Ma ancora più disarmante è il forte divario che permane tra il Nord e il Sud del paese e che col passare del tempo sembra sempre più difficile da appianare. Il rapporto Svimez fotografa accuratamente le condizioni economiche di quest’area: il rischio è quello di sfociare nel sottosviluppo permanente e chi vive questo territorio può testimoniarlo. Tantissime problematicità vengono messe di lato e godono di scarsa considerazione, nonostante rappresentino vere e proprie emergenze sociali: crescono le diseguaglianze e la povertà e mancano strumenti per contrastarle, il tasso di famiglie si trova in condizione di povertà relativa se non assoluta, ospiti forzate delle periferie disagiate, è altissimo. In queste aeree la disoccupazione cresce a vista d’occhio e i giovani sono costretti a migrare, privati della possibilità di immaginarsi un futuro nei luoghi dove sono cresciuti, costretti a portare altrove le proprie speranze.

Chi rimane vive in un contesto dove l’illegalità permea la società, insinuandosi nei luoghi delle decisioni, nelle strutture pubbliche e in quelle private. Chi rimane vive in un contesto in cui muoversi è complesso se non impossibile perché i trasporti non sono efficienti e non si è fatto nulla per migliorare la viabilità e per contrastare il dissesto idrogeologico. Chi rimane vive in un territorio che possiede patrimoni culturali immensi che però non vengono adeguatamente valorizzati. Troppo spesso abbiamo sentito annunci e parole spesi per la causa ma mai abbiamo sentito un’attenzione reale da parte delle istituzioni che si potesse risolvere in atti concreti ed efficaci, necessariamente frutto di un’elaborazione lunga e di prospettiva. E’necessario che questo tema rientri a pieno nel dibattito pubblico ed è necessario che vi sia una risposta da parte della politica: noi studenti viviamo il peso di questa condizione di arretratezza sulla nostra pelle giorno per giorno in ogni scuola e in ogni università del meridione. 

Basti pensare al fatto che l’istruzione, ad oggi, non è realmente garantita per tutti: privi di welfare, in assenza di diritto allo studio chi nel mezzogiorno non ha le possibilità economiche non può permettersi di andare a scuola: il trasporto pubblico ha un costo e il servizio è spesso insufficiente, chi vive in contesti sociali disagiati non viene recuperato e inserito nella comunità scolastica, ormai poco inclusiva e priva degli strumenti adeguati per esserlo. Questo alimenta la dispersione scolastica, che ha picchi che arrivano intorno al 30%: non è pensabile che ci siano persone costrette a vivere di microcriminalità o di lavoro nero minorile private della possibilità di accedere all’istruzione. Non è pensabile l’idea che si possa rilanciare il paese senza passare da un investimento sostanzioso mirato a garantire formazione gratuita per tutte e per tutti: se nel sud un ragazzo su cinque, una percentuale del 20%, non raggiunge il diploma di scuola media superiore e quindi non accede all’università è evidente che vi è una situazione emergenziale che va presa subito in considerazione. 

Dati che peggiorano drasticamente se si prende in considerazione il mondo universitario: sempre meno studenti in Italia decidono di intraprendere questo percorso, troppo spesso impossibilitati per motivi economici. Una situazione che diventa drammatica nel Sud, dove gli atenei si sono svuotati sia da un punto di vista numerico (71000 iscritti in meno, di cui 37500 al Sud) che per quanto riguarda la loro funzione economica, sociale e culturale per il territorio su cui si trovano.

In un momento di forte e persistente crisi economica, “diritto allo studio” avrebbe dovuto significare un impegno dello Stato per far si che tutti potessero accedere ai massimi gradi dell’istruzione, a prescindere dalle proprie condizioni di partenza, così come previsto dalla nostra Costituzione: la realtà dei fatti è che solo l’8% degli studenti iscritti all’Università ha accesso alle borse di studio; numeri che scendono al Sud dove meno del 6% degli universitari riceve una borsa, con picchi negativi come la Campania, dove si arriva al 4,4%.

Non è questa l’Italia che vogliamo, non è questa l’Italia di cui abbiamo bisogno.

Ci rivolgiamo a Lei, Presidente, perché abbiamo bisogno di un sistema di diritto allo studio e di servizi adeguatamente finanziati, perché per appianare le disuguaglianze del nostro paese è necessario partire da scuola, università e diritti, motori propulsivi della società: è necessario che i luoghi di formazione, spesso poco sicuri e non a norma tornino ad essere luoghi privi di qualsiasi rischio, è necessario che l’istruzione torni a essere centrale nel paese, torni a fare da ascensore sociale, tanto al sud quanto al nord. Solo così potremo abbattere le divisioni sociali e restituire dignità ai giovani del nostro paese. Solo così potremo costruire una società diversa, perché investire nell’istruzione significa investire nel futuro.

UDU Unione degli Universitari

Rete degli Studenti Medi

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