95° congresso nazionale SOI. Riflettori sull’oculistica italiana

Più progressi clinici, sempre meno risorse. La SOI di fronte ai paradossi della sanità italiana

ROMA – Quattro giornate molto intense con una straordinaria scelta di argomenti, aggiornamenti scientifici e dibattiti su tecnologie e ricerche scientifiche. Tantissimi gli oculisti e operatori del settore che hanno affollato le sale e i corridoi del Centro Congressi Rome Cavalieri Hilton dal 25 al 28 novembre 2015.

Come ha giustamente sottolineato il Dott. Matteo Piovella Presidente SOI:”Il Congresso nazionale della SOI è l’occasione per scattare un’istantanea della situazione attuale dell’Oculistica italiana, sia dal punto di vista clinico sia di quello assistenziale. Per quanto riguarda la clinica, l’oculistica è una branca medica ad alta specializzazione tecnologica: i miglioramenti in fatto di diagnosi e di terapia sono costanti e trainati per l’appunto dal progresso della tecnologia. Non si tratta quindi di cambiamenti eclatanti delle tecniche chirurgiche, ma di un affinamento incessante di quelle esistenti, che diventano via via più sicure ed efficaci. Alla fine degli anni Settanta, ad esempio, l’intervento di cataratta, che rappresenta oltre l’80 per cento degli interventi oculistici aveva una percentuale di complicanze che arrivava all’80 per cento, mentre ora si sono ridotte al 3 per cento, una percentuale che riguarda casi che difficilmente è possibile prevedere o eliminare. Si tratta di un miglioramento che non ha confronti in nessun’altra specialità chirurgica. Lo stesso tipo di miglioramento continuo e incessante riguarda la chirurgia della retina e quella del glaucoma. Prendendo in esame l’assistenza, invece, si stanno presentando numerose difficoltà non solo dal punto di vista economico ma anche delle scelte politiche che da anni, come presidente della SOI, cerco di meglio indirizzare.

Ormai siamo al punto da non riuscire più a garantire le migliori cure possibili ai cittadini italiani e le maggiori criticità riguardano i costi troppo alti. Prendiamo come esempio l’operazione di cataratta, che, come ho detto, ha raggiunto un incredibile livello di sicurezza, il problema è che attualmente la sanità pubblica non riesce a rimborsare i cristallini trifocali di ultima generazione, che riescono a correggere anche la presbiopia, evitando al paziente la necessità di utilizzare gli occhiali da lettura per vedere da vicino.

Ciò significa che ai pazienti vengono impiantati quelli monofocali standard. Questo avviene, evidentemente, per i costi che le Regioni non possono sostenere: basti pensare che il rimborso per un intervento di cataratta è di 800 euro, mentre il costo del solo cristallino bifocale è di 800 euro. In altre parole, si sta arrestando l’applicazione della normale evoluzione dei materiali messi a disposizione dall’industria, materiali che fino a ora si sono succeduti nel tempo in modo naturale portando a notevoli miglioramenti della visione dei pazienti operati: i primi cristallini artificiali erano rigidi, poi è stata la volta di quelli pieghevoli, poi sono arrivati quelli asferici… ora ci sono quelli trifocali ma sembra che i cittadini italiani non se li possano permettere privandoli, in un certo senso, non del superfluo ma del necessario in molti casi. Un’altra situazione paradossale riguarda i chirurghi che sempre più spesso operano senza l’assistenza dell’anestesista, che invece è obbligatoria.

In definitiva il medico si trova sempre più spesso a non poter agire secondo coscienza e a non poter offrire la migliore cura possibile. Lo stesso si può dire dell’utilizzo del femtolaser nella chirurgia della cataratta, o degli stent per la cura del glaucoma, recentemente approvati dalla Food and Drug Administration negli Stati Uniti, e non rimborsabili in Italia. Dal nostro punto di vista, si tratta di una situazione inaccettabile. Un’altra questione riguarda le cure della degenerazione maculare e del caso Avastin- Lucentis, che lo scorso anno in questo periodo occupava le pagine dei giornali, anche per le dure proteste della SOI sulle decisioni politiche in materia. Come molti ricorderanno, nel marzo del 2014, l’Antitrust ha sanzionato le industrie farmaceutiche Roche e Novartis con l’accusa di essersi accordate affinché il farmaco anticancro Avastin (bevacizumab) non avesse l’indicazione al trattamento della degenerazione maculare, su cui è efficace, riservando l’uso oftalmologico alla molecola analoga e ben più cara Lucentis (ranibizumab), anche se i due farmaci, secondo diversi studi, sono equivalenti.

Nel maggio dello stesso anno, il Consiglio Superiore di Sanità ha quindi chiesto all’Agenzia italiana per il farmaco, l’AIFA, d’inserire Avastin tra i farmaci a carico del Sistema sanitario nazionale per l’uso oftalmologico. Il risultato è che l’AIFA ha accolto la richiesta, ma restringendo incomprensibilmente la rimborsabilità alla degenerazione maculare senile, che è solo una – e neppure la più diffusa – delle tante maculopatie. Inoltre, ha previsto una serie di norme, considerate “condizioni indispensabili a tutela della salute dei pazienti”, secondo cui la somministrazione di bevacizumab per uso intravitreale è stata riservata a “centri oculistici ad alta specializzazione presso ospedali pubblici individuati dalle Regioni”, e il confezionamento del farmaco è delegato alle rispettive farmacie ospedaliere.

Il risultato è che su 7000 medici oculisti italiani sono solo 100 quelli che sono nelle condizioni di prescrivere bevacizumab ai pazienti con maculopatie, e i numeri della Regione Lombardia dimostrano che con queste norme l’obiettivo terapeutico non è neppure lontanamente raggiunto. E mi preme sottolineare che non si tratta di un numero esiguo di pazienti: oltre i 75 anni, le maculopatie colpiscono una persona su tre, al punto che il problema, perfettamente gestibile se solo le norme prescrittive fossero allineate con quelle di altri paesi sviluppati, è diventato un’emergenza. Dal punto di vista delle norme che hanno creato tanti problemi è rimasto tutto invariato; l’unica novità è che la Regione Lombardia ha pubblicato alcuni dati ufficiali secondo i quali, in media, i pazienti con maculopatia senile fanno tre iniezioni in un anno, invece delle sette previste per avere una risposta terapeutica ottimale: è la dimostrazione che l’attuale sistema di dispensazione del farmaco non funziona e che al contrario di numerosi proclami della politica oggi Avastin si utilizza molto meno rispetto un anno fa”.
Che dire? C’è solo da sperare che in un prossimo futuro l’accesso alle cure migliori non sia più limitato dalla politica sanitaria del nostro Paese e dai ben noti problemi finanziari che affliggono il settore pubblico,

Condividi sui social

Articoli correlati