Condizioni disumane per i 300 rom sgomberati a Giuliano, Napoli

ROMA – Amnesty International, Associazione 21 luglio Onlus, Associazione Garibaldi 101, Centro europeo per i diritti dei rom, Associazione Cinema e diritti – Festival del cinema dei diritti umani e OsservAzione hanno duramente condannato lo sgombero forzato eseguito il 21 giugno dalle autorità del comune di Giugliano, in provincia di Napoli, ai danni di circa 75 famiglie rom (oltre 300 persone), che dal campo di Masseria del Pozzo sono state trasferite in un’ex fabbrica e si trovano in condizioni inumane. 

Le sei organizzazioni hanno sollecitato tutte le autorità competenti ad assicurare che alle famiglie colpite dallo sgombero forzato sia immediatamente offerto un riparo adeguato e che verrà approntato e realizzato per loro un piano a lungo termine, in consultazione con le famiglie interessate e nel pieno rispetto degli standard in materia di diritti umani. 

Il caso di Giugliano, così come molti altri documentati dalle sei organizzazioni, mostra una volta di più la realtà quotidiana dei rom in Italia, spesso collocati in campi segregati, a rischio di sgomberi forzati e discriminati nell’accesso a un alloggio adeguato: gravi violazioni dei diritti umani, vietate dalle norme internazionali e da quelle dell’Unione europea. Per questo motivo, le sei organizzazioni chiedono alla Commissione europea di intraprendere un’azione decisiva nei confronti di queste violazioni, attraverso l’avvio di una procedura d’infrazione contro l’Italia per violazione della Direttiva anti-discriminazione razziale.

Lo sgombero forzato

Il 21 giugno oltre 300 rom, tra cui decine di bambini e alcuni neonati, sono stati costretti a lasciare il campo di Masseria del Pozzo, dove erano rimasti per quasi tre anni. Quel campo per soli rom era stato costruito nel 2013 dal comune di Giugliano nelle vicinanze di una discarica di rifiuti tossici, dopo che in precedenza le famiglie rom erano state ripetutamente sottoposte a sgombero forzato.

Le sei organizzazioni riconoscono il fatto che le famiglie rom dovevano essere urgentemente spostate da Masseria del Pozzo per ragioni di salute e d’incolumità. Infatti, il campo di Masseria del Pozzo non avrebbe mai dovuto essere costruito. La necessità di risolvere la situazione d’emergenza, creata dalle stesse autorità attraverso la costruzione di un campo in una zona inabitabile, non giustifica però il ricorso a uno sgombero forzato, che costituisce una grave violazione dei diritti umani.

Le autorità non hanno mai notificato per iscritto lo sgombero, limitandosi a fornire qualche informazione a voce. A partire dal 14 giugno, le autorità locali e la polizia avevano informato le famiglie rom che lo sgombero sarebbe stato realizzato il 16 o il 23 giugno. 

Invece, lo sgombero forzato ha avuto luogo il 21 giugno e le famiglie rom sono state trasferite sul terreno di un’ex fabbrica di fuochi d’artificio. 

La comunità era stata informata che lo sgombero era necessario poiché i terreni di Masseria del Pozzo erano stati posti sotto sequestro dall’autorità giudiziaria sin dall’ottobre 2015, in quanto potenzialmente pericolosi per la salute e l’incolumità dei residenti. Purtroppo, le famiglie rom non sono state coinvolte in alcuna autentica consultazione per esplorare soluzioni alternative. Dopo aver inizialmente preso in considerazione un terreno lontano, privo di servizi igienico-sanitari e di forniture d’acqua, le autorità locali hanno deciso di trasferire le 75 famiglie rom nel terreno abbandonato dell’ex fabbrica di fuochi d’artificio. Le famiglie hanno ricevuto pochissime informazioni al riguardo.

Decine di rom, incontrati da Amnesty International il 22 giugno, hanno dichiarato che non erano stati informati sulle condizioni della nuova area e che non avevano avuto la possibilità di vederla prima dello sgombero. Le famiglie rom si sono sentire dire che quella era l’unica alternativa esistente e sono state poste di fronte al dilemma se accettare il trasferimento in un luogo sconosciuto o rimanere del tutto senza tetto.

Dato che le necessarie salvaguardie – la notifica adeguata per iscritto, la genuina consultazione con la comunità e la messa a disposizione di un’alternativa alloggiativa adeguata – non sono state poste in essere prima del trasferimento, le sei organizzazioni hanno concluso che il trasferimento ha costituito uno sgombero forzato, ossia una grave violazione dei diritti umani in contrasto con gli obblighi assunti dall’Italia rispetto a una serie di norme internazionali e dell’Unione europea, tra cui la Direttiva anti-discriminazione razziale, che garantiscono il diritto a un alloggio adeguato e la protezione da ogni forma di discriminazione basata sull’etnia o sulla razza. Questo sgombero forzato e il successivo trasferimento in un ulteriore campo monoetnico si pongono inoltre in contrasto con gli impegni assunti dall’Italia nel 2012 con la Strategia nazionale d’inclusione di rom, sinti e caminanti.

Un’alternativa gravemente inadeguata

Dopo lo sgombero forzato, l’alternativa messa a disposizione dal comune di Giugliano è risultata gravemente inadeguata. Il terreno di circa 1000 metri quadrati, situato all’estremità della zona industriale del comune campano, è un area chiusa circondata su tre lati da vegetazione incolta e sul quarto da un muro con una cancellata. Nei pressi del terreno si trovano due bagni chimici, uno dei quali inagibile e l’altro in condizioni tali da costringere i residenti a recarsi nei cespugli, col conseguente impatto sulla loro salute e sull’ambiente.

All’arrivo, le famiglie rom hanno trovato rifiuti, materiale arrugginito e residui della lavorazione dei fuochi d’artificio, la cui fabbrica era stata distrutta da un’esplosione nel 2015. I rappresentanti di Amnesty International hanno rinvenuto sul posto un contenitore aperto di polvere di natura non identificata, insieme a molti altri contenitori pieni di sostanze sconosciute classificate come “polveri” e “a combustione spontanea”, insieme a pezzi apparentemente di amianto della struttura ancora in piedi nonostante i danni provocati dall’esplosione.

Il 22 giugno, le famiglie rom non avevano ancora avuto accesso all’energia elettrica e stavano usando fuochi, torce a batteria e fari delle automobili per fare luce dopo il tramonto. L’accesso all’acqua era rappresentato da quattro cannelle, insufficienti per il numero di famiglie presenti.

Le autorità locali non hanno messo a disposizione alcuna struttura o riparo. Chi aveva una roulotte ha avuto il permesso di portarla con sé da Masseria del Pozzo. Nel nuovo sito, adulti e bambini sono costretti a dormire stipati nelle roulotte o all’esterno. Almeno tre famiglie, che a Masseria del Pozzo vivevano all’interno di baracche, ora sono senza tetto e sono costrette a dormire nelle automobili o per terra. Quando Amnesty International ha visitato il nuovo campo, le persone stavano iniziando a costruire baracche improvvisate coi materiali che erano riusciti a salvare dallo sgombero di Masseria del Pozzo.

Un piano a lungo termine destinato alla segregazione

Le autorità locali hanno detto alle famiglie rom che il trasferimento sarà una misura “temporanea”, in attesa che venga costruito un nuovo campo. Sulla base della documentazione esaminata dalle sei organizzazioni e delle dichiarazioni ufficiali, nel febbraio 2016 è stata approvata a livello locale, regionale e nazionale la costruzione di un nuovo campo segregato con 44 unità abitative prefabbricate. Alla costruzione dei prefabbricati il ministero dell’Interno e la Regione Campania hanno destinato 1.300.000 euro, mentre non sono state minimamente finanziate le parti del progetto relative all’integrazione. 

Non risulta inoltre esservi alcun piano per inserire nel medio e lungo termine le famiglie rom in alloggi adeguati. La comunità non è stata adeguatamente consultata nella fase definitoria del progetto e il trasferimento in un nuovo campo è stata l’unica opzione messa a disposizione. Il progetto dà adito a grandi preoccupazioni e solleva molti rischi, poiché rappresenta ancora una volta l’esempio di un modello di segregazione abitativa, per soli rom, vietata dalle norme internazionali e dell’Unione europea.

L’attiva partecipazione al progetto del ministero dell’Interno, anche attraverso il suo finanziamento, solleva forti preoccupazioni sull’effettiva intenzione del governo italiano di rispettare le norme e gli standard sui diritti umani a livello internazionale e dell’Unione europea così come la stessa Strategia nazionale per l’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti del 2012, che conteneva l’impegno a “superare i campi”. 

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