Save the Children: allarme bambini afghani

ROMA – Mentre i leader mondiali si preparano alla Conferenza di Bruxelles sull’Afghanistan, l’Organizzazione Save the Children chiede che gli aiuti dei Paesi donatori non siano subordinati al rimpatrio di migliaia di richiedenti asilo afgani.

Ogni anno in Afghanistan muoiono 94mila bambini sotto i 5 anni; i conflitti e le violenze sono in aumento in tutto il Paese e sempre più bambini e famiglie fuggono dalle loro case, si ricorda in una nota. In particolare, Save the Children chiede investimenti urgenti su salute, istruzione e protezione dei bambini nel Paese per impedire che si vanifichino i progressi faticosamente raggiunti fino ad oggi nel Paese. L’Organizzazione, dedicata dal 1919 a salvare la vita dei bambini in pericolo e a tutelare i loro diritti, è particolarmente preoccupata dalle recenti notizie secondo le quali gli aiuti europei all’Afghanistan saranno subordinati al rimpatrio dei richiedenti asilo afgani dall’Europa. Una situazione che porterebbe il Paese al collasso e che metterebbe a repentaglio la vita di molti civili, tra i quali tantissimi bambini. “Gli aiuti dovrebbero essere assegnati esclusivamente in base ai bisogni dei bambini afgani e dei loro genitori e non subordinati al rimpatrio di migliaia di richiedenti asilo afgani, soprattutto alla luce dell’aumento dei livelli di violenza e di conflitto in tutto il Paese”, ha dichiarato Ana Locsin, direttore di Save the Children in Afghanistan.

“Siamo molto preoccupati dal fatto che senza un sostegno consistente ed immediato della comunità internazionale e un forte impegno in materia di salute, istruzione e protezione, gran parte dei progressi faticosamente raggiunti fino ad ora potrebbero iniziare a sgretolarsi”, ha insistito Ana Locsin. Secondo il direttore di Save the Children nel Paese asiatico, “gli sfollati sono in forte aumento in Afghanistan per colpa dell’inasprimento delle violenze in tutto il Paese”. “Sempre più bambini e famiglie stanno fuggendo dalle proprie case alla ricerca di un posto sicuro. Queste persone sono particolarmente vulnerabili e necessitano del sostegno della comunità internazionale. La triste verità è che l’Afghanistan non è per nulla preparato ad affrontare il rientro di un così gran numero di sfollati,” ha affermato. Nonostante i grandi passi avanti in materia di salute ed istruzione raggiunti nel corso dell’ultimo decennio, la situazione per i bambini in Afghanistan rimane disastrosa. Ogni anno, 94mila bambini muoiono prima di compiere i 5 anni. Due bambini su cinque sotto i 5 anni sono malnutriti e il 41% lo è in maniera cronica. Ogni due ore una donna muore a causa delle complicanze del parto o della gestazione.

 L’Afghanistan è anche il Paese con il più alto livello di disparità di genere al mondo nell’istruzione primaria: solo il 21% delle bambine completa la scuola primaria. Il tasso medio di alfabetizzazione nel Paese è solo del 38%, ma meno di una donna su quattro è in grado di leggere o scrivere. A peggiorare le cose, negli ultimi due anni si sono intensificati i combattimenti in gran parte dell’Afghanistan. Il reclutamento di bambini soldato è raddoppiato rispetto al 2014. Il 2015 è stato l’anno in cui si è registrato il maggior numero di vittime tra i civili dal 2009. Nei primi sei mesi del 2016 circa una vittima su tre era un bambino. Nel frattempo, centinaia di migliaia di afgani in Pakistan sono stati costretti a tornare alle loro case per sfuggire a una situazione che l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha descritto come un “aumento degli episodi di violenza, degli arresti arbitrari, delle detenzioni e di altre forme di vessazioni” nel Paese, si ricorda nella nota. “Il potenziale ritorno improvviso di più di un milione di afgani, fuggiti negli anni Ottanta a causa dei conflitti, sarebbe un peso enorme per le comunità che dovranno accoglierli. È essenziale che i bambini che rientrano nel Paese abbiano gli stessi diritti degli altri bambini”, ha aggiunto Ana Locsin. “Allo stesso tempo, anche il numero di bambini afgani diretti verso l’Europa è notevolmente aumentato rispetto a qualche anno fa. Il fatto che i minori stiano lasciando l’Afghanistan in così gran numero e spesso soli, li espone ad un rischio enorme e rivela il livello di disperazione nel quale versano”

Più della metà di tutti i bambini non accompagnati richiedenti asilo in Europa nel 2015 proveniva proprio dall’Afghanistan. Si tratta in prevalenza di ragazzi tra i 13 e i 17 anni che vengono aiutati dalla propria famiglia a trovare le risorse per mettersi in viaggio. “Sono tante le motivazioni che spingono i bambini a lasciare l’Afghanistan, tra le quali la mancanza di accesso all’istruzione, i conflitti, la violenze e la povertà. Purtroppo nel viaggio verso i Paesi europei, si trovano a dover affrontare una nuova serie di pericoli. Rispondere alle esigenze dei bambini afgani con un incentivo agli aiuti è il modo più concreto per affrontare la causa principale di questo fenomeno. Fino a quando tali bisogni non saranno soddisfatti, i Paesi europei non possono costringere i bambini a tornare in un posto dove potrebbero subire minacce e discriminazioni per avere abbandonato la loro famiglia e ‘tradito’ il loro Paese”, ha sottolineato Locsin. Alla Conferenza di Bruxelles sull’Afghanistan parteciperanno fino a 70 Paesi e 30 organizzazioni e agenzie internazionali. A margine della conferenza si svolgerà anche una Dialogo ad alto livello sulla migrazione, che si concentrerà probabilmente sul rimpatrio dei richiedenti asilo.

Save the Children chiede all’Unione Europea e agli altri sostenitori internazionali di lavorare in modo costruttivo nel corso della conferenza, impegnandosi ad aumentare gli aiuti all’Afghanistan e a rispondere con urgenza alle crescenti richieste umanitarie sia degli afgani rimpatriati che degli sfollati interni. Save the Children chiede inoltre al governo afgano di far diventare i diritti e la tutela di tutti i bambini afgani una priorità politica. “Sia la comunità internazionale che il governo afgano devono impegnarsi per sostenere questi bambini vulnerabili e le loro famiglie”, ha concluso Ana Locsin. 

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