Distrofia Duchenne, terapia sperimentale sembra riattivare la produzione di distrofina

Lo studio di fase due, pubblicato sul Lancet, è del prof. Muntoni, ricercatore cagliaritano da anni a Londra

ROMA – Potrebbe essere stata trovata una strada, diversa da quelle battute fino ad ora, per ‘costringere’ il corpo dei malati di Distrofia di Duchenne a produrre la distrofina, una proteina fondamentale per il funzionamento muscolare che, a causa di alterazioni genetiche, in queste persone non viene prodotta causando così la progressiva degenerazione tipica della malattia. Lo studio appena pubblicato sul Lancet e firmato dal Prof. Francesco Muntoni, cagliaritano da tempo in forze al centro Dubowitz dello University College London (Ucl), è dunque uno di quelli capaci veramente di accendere le speranze per le persone affette da Distrofia Muscolare di Duchenne.
Naturalmente si tratta ancora di uno studio di fase due e dovranno seguire sperimentazioni più ampie e nuove conferme ma i primi risultati sono incoraggianti. Lo studio pubblicato sulla restigiosa rivista scientifica riguarda una terapia sperimentale con antisenso Avi-4658, che sfrutta la tecnica dell’exon skipping, condotta in Gran Bretagna su 19 bambini fra 5 e 15 anni colpiti da questa malattia ma ancora capaci di camminare. Si tratta di uno studio di fase due che aveva come obiettivo sia quello di valutare la sicurezza del trattamento che la sua efficacia biochimica. I partecipanti hanno avuto una biopsia muscolare prima di iniziare il trattamento e dopo 12 infusioni settimanali per via endovenosa di AVI-4658, al fine appunto di comparare la presenza di distrofina nei tessuti, un risultato comunque considerato per ora ‘ulteriore’ rispetto ad efficace e tollerabilità, che sembrano comunque confermate visto che nessun grave effetto avverso è stato riscontrato nei bambini.

La terapia sembrerebbe dunque  in grado di indurre le cellule malate dei pazienti a produrre nuovamente la distrofina, una proteina chiave per il loro funzionamento, espressa dal gene più grande che si conosca in natura e che nelle persone affette dalla malattia non viene prodotta. Tale effetto sembrerebbe essere ‘dose correlato’ cioè la quantità di espressione di distrofina sarebbe positivamente correlato alla dose stessa del trattamento. Secondo i diversi dosaggi infatti nei pazienti è stato riscontrato un aumento di distrofina variabile ma comunque significativo. Si è aperta così, secondo gli esperti, la strada ad una possibile alternativa alla terapia genica, ossia alla terapia che consiste nel correggere i difetti genetici trasferendo un gene sano all’interno della cellula. Comincia anche a farsi strada l’ipotesi che lo stesso approccio sperimentato contro la distrofia di Duchenne possa diventare un modello da seguire per combattere altri disordini neuromuscolari.

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