Terapie omeopatiche tra pro e contro

“Allo stato attuale non ci sono prove scientifiche né plausibilità biologica che dimostrino la fondatezza delle teorie omeopatiche secondo i canoni classici della ricerca scientifica”, si legge sul sito di Fnomceo, la Federazione degli ordini dei medici italiani.

Nelle migliori delle ipotesi gli effetti sono simili a quelli che si ottengono con un placebo, cioè somministrando una sostanza inerte. Gli studi farmacologici che nel corso dei secoli hanno consentito di curare un gran numero di malattie, più che raddoppiando le aspettative di vita, si basano infatti sulla teoria della concentrazione del principio attivo: ogni specifico farmaco ha il suo; più ce n’è e maggiori sono gli effetti, finchè, superata una certa soglia massima, cessano i benefici e le medicine diventano tossiche. Secondo le teorie omeopatiche è vero l’esatto contrario; più il principio attivo è diluito, cioè meno ce n’è, e più il farmaco è efficace, producendo una specie di risveglio dell’organismo che combatte da solo la malattia.

Ma davvero i farmaci omeopatici sono acqua fresca? “Assolutamente sì, se si valutano secondo i dettami della farmacologia tradizionale, ci dice il dottor Mariano Marotta, presidente di Aio, Associazione Italiana Omeopatia. “Ma non sono questi i criteri per valutare oggettivamente l’efficacia delle terapie omeopatiche”.

“Un medico tradizionalista che parla di omeopatia è come un vegano che valuta una bistecca: non potrà che dirne peste e corna”, ci dice il dottor Gino Santini, omeopata tra i più famosi, nipote di Antonio Santini, il medico messinese che introdusse in Italia questa pratica medica.

Le statistiche dicono che gli italiani che si curano assiduamente con farmaci omeopatici sono 7 milioni, cioè oltre il 10 per cento, mentre 12 mila sono i medici regolarmente iscritti all’Ordine che prescrivono i piani terapeutici.

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