Ogni giorno è necessario battersi contro la violenza alle donne

Patria Mercedes (27 febbraio 1924), Minerva Argentina (12 marzo 1926) e Antonia María Teresa Mirabal (14 ottobre 1936) erano tre sorelle della Repubblica Dominicana che con coraggio animarono la lotta contro la dittatura di Rafael Leónidas Trujillo

ROMA –  Dopo molte vicissitudini conseguenti alle diverse insurrezioni popolari che videro opposti i domenicani alla Spagna, alla Francia e, anche alla confinante Haiti, nel 1844 un movimento di sollevazione popolare guidato da Juan Pablo Duarte portò all’indipendenza della Repubblica Dominicana sancita da un manifesto che segnava l’uguaglianza di tutti gli uomini, senza discriminazioni. Un’indipendenza segnata, però dalla precarietà dovuta alle contrapposte posizioni di quelli che volevano l’indipendenza assoluta e quelli che preferivano l’opzione di protettorato di una nazione sviluppata. Fu così che, quando nel 1860, l’allora presidente Santana firmò un trattato di riammissione alla Spagna vi fu la sollevazione di alcuni generali che diedero inizio ad una guerra civile, definita di “Restaurazione”, che si concluse con la definitiva dichiarazione d’indipendenza del 1863.

Da quella data, la Repubblica Domenicana fu formalmente una democrazia presidenziale anche se, tutti i presidenti che si successero erano sostenuti dall’esercito e, nei fatti, rappresentavano soltanto le oligarchie dell’isola.

Nel 1916, a causa dell’insolvenza nel debito estero contratto principalmente nei confronti degli Stati Uniti, questi ultimi attuarono un’occupazione militare che mirava, soprattutto, a difendere gli interessi nordamericani legati alle coltivazioni di canna da zucchero.
L’occupazione nordamericana si protrasse fino al 1924 quando i marines abbandonarono l’isola non prima, però, di essersi assicurati i favori di un governo fantoccio che continuasse a garantire gli interessi USA.

Non contenti di ciò, nel 1930, il governo di Washington appoggiò l’ascesa al potere di un generale, Rafael Leónidas Trujillo – cresciuto Guardia Nazionale addestrata direttamente dall’esercito statunitense – che depose l’allora presidente domenicano, Horacio Vásquez, in una tornata elettorale talmente truccata che alla fine nelle urne si trovarono più voti a favore di Trujillo di quanti non fossero gli elettori.

La dittatura di Trujillo, osteggiata fra gli altri dalla Legione Caraibica, si protrasse – sotto l’ala protettiva dell’alleato nordamericano, fino al 1961 ed è ricordata come una delle più feroci di tutto il continente latino americano al punto che, nel 1937, il dittatore – in cerca di popolarità – ordinò l’uccisione di oltre 18.000 haitiani che vivevano nelle zone di frontiera dominicana facendo passare il massacro come una rivolta del popolo dominicano iniziando, poi, una campagna di “dominicanizzazione” della frontiera attraverso la ri popolazione della zona con famiglie dominicane, fedeli al governo, a cui distribuiva terre e compensi economici frutto degli espropri dei beni – nazionalizzazione, la chiamava Trujllo – degli oppositori del regime.

Tra questi, si distinse la famiglia Mirabal, una delle prime a fare le spese della voracità del dittatore che, prima della sua morte, nel 1961, era riuscito ad accumulare un patrimonio personale – depositato in banche straniere – di oltre 800 milioni di dollari dell’epoca.

In questo clima di lotta contro la tirannia crebbero, dunque, le tre sorelle: Patria, Minerva e María Teresa Mirabal che, soprannominate “Le Farfalle” – animarono il movimento democratico “14 di Giugno”. Incarcerate in varie occasioni, non abbandonarono mai la lotta contro la dittatura fino al punto di essere considerate da Truijllo un vero e proprio problema per i suoi interessi e i suoi traffici illeciti.

Il 25 novembre 1960, quindi, lo stesso dittatore inviò degli uomini ad intercettare la macchina su cui viaggiavano le sorelle Mirabal che si erano recate alla prigione di Santo  Domingo a visitare i mariti detenuti.

Le sorelle, totalmente disarmate, furono portate in una piantagione di canna da zucchero, bastonate e strangolate, quindi la loro auto venne fatta cadere in un burrone per simulare un incidente a cui, però, nessuno credette. L’uccisione delle sorelle Mirabal, quindi, non solo non risolse “il problema” di Truijllo ma, anzi, si trasformò in un boomerang tanto che, nonostante la censura, vi furono gravi ripercussioni nell’opinione pubblica dominicana.

Molte coscienze – sia nell’isola sia internazionalmente – si scossero e alzarono la loro voce contro il dittatore fino a costringere l’alleato nordamericano ad abbandonare Truijllo al suo destino che si compirà con un assassinio, il 30 maggio del 1961.

Il 17 dicembre 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134 in onore delle sorella Mirabal, scelse la data del 25 novembre per celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne invitando i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG ad organizzare – in quel giorno – attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica.

In Italia solo dal 2005 diversi Centri antiviolenza e Case delle donne hanno iniziato a celebrare questa giornata finalizzata a mettere sotto i riflettori la condizione di violenza, non solo fisica, a cui sono sottoposte ancora oggi, milioni di donne.

Secondo i dati raccolti dai numerosi centri anti violenza, la vita di molte ragazze e di molte donne continua a essere spezzata, le loro capacità intellettive e affettive brutalmente compromesse. Sono, infatti, oltre 14 milioni le donne italiane che sono state oggetto di violenza fisica, sessuale e psicologica nella loro vita.

La maggior parte di queste violenze arrivano dal partner (come il 69,7% degli stupri) o dall’ambito familiare e oltre il 94 per cento di queste non è mai stata denunciata.
Solo nel 24,8 per cento dei casi la violenza è stata ad opera di uno sconosciuto, mentre si abbassa l’età media delle vittime: un milione e 400 mila ha subito uno stupro prima dei 16 anni.

Impressionante, poi, come la cultura maschilista, avallata dagli organi d’informazione, che considerano la violenza alle donne come una devianza di singoli derubricata a fatto di cronaca o, peggio, a fatto ineluttabile, passi anche come vulgata e venga acquisita anche dalle vittime.

Secondo quanto rilevato dall’ISTAT, infatti, solo il 18,2 per cento delle donne considera la violenza subita in famiglia un ‘reato’, mentre il 44 per cento lo giudica semplicemente “qualcosa di sbagliato” e ben il 36 per cento solo “qualcosa che è accaduto”.

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