Lettera di un’antirazzista ad un amico immigrato

Insomma, attenzione: il razzista a volte è più amato di noi. Come ci raccontava Malcom X e come tuttora qualcuno interpreta. Qualcuno sostiene che noi siamo ipocriti, che ricordiamo il liberal dell’est degli Stati Uniti orientali, che aborriva la schiavitù e disprezzava i sudisti retrogradi, ma poi non elevava il “black” a suo pari, mai. Davanti a queste obiezioni, mosse da un africano impegnato nel sociale,  ci sentiamo di dare una risposta

Caro amico, perdona la confidenza, so che non dovrei darti del tu…anzi, ricomincio, perché deve finire la storia che a un “immigrato” si da del tu come se fosse l’unica opzione possibile. E poi, che ne so io se lei è immigrato, o è qui per diletto o era solo stanco di vivere altrove? Vede come già parto male. Non so come risponderle – perché devo, mi creda .

Tanti anni fa mi divertì molto la puntata di  un telefilm, mi pare  che la serie si chiamasse “Maude”: la padrona di casa,  newyorchese molto progressista, davanti alla nuova colf afroamericana, si sperticava in lodi, rivendicando la loro  reciproca parità e la propria apertura mentale, obbligando la malcapitata a uscire dalla porta principale anziché dall’uscita di servizio; finché quella, esasperata, le diceva chiaramente che voleva essere lasciata in pace, uscire dalla porta secondaria e casomai, di diritti civili si sarebbe occupata in proprio. Un film che ha circa quarant’ anni ma, a quanto leggo, ancora in certo modo attuale.

Però leggere certe cose fa male, sa. Prendiamo il mio caso ( e da dove altro potrei partire, se no?). Non nasco in una famiglia particolarmente progressista, come quella di Maude; non mi sono mai mossa dal quartiere dove sono nata se non per vacanze “tutto compreso”; non mi è mai mancato nulla ( non sono ricca, ma…), ho trascorso molti anni  di casa –  ufficio – casa , in giro per negozi a fare shopping, dal parrucchiere e così via, fino alla mia ora non più verdissima età. Mi sono  ragionevolmente commossa guardando “Radici”, ragionevolmente incollerita ascoltando frasi razziste, anche un po’ piccata davanti a qualche cittadino non italiano (come devo esprimermi, mi aiuti lei, extracomunitario no, immigrato, straniero guai!) che aveva, come dire, la puzza al naso, perché al suo paese magari aveva studiato e non si sentiva affatto grato al mio, anzi quasi in credito. Ho sempre detestato roba come “I Jefferson” perché gli afroamericani facevano i buffoni, secondo un cliché.

Lei riporta: Il mio amico Lampo mi ha detto una volta che ha più paura degli antirazzisti che dei razzisti. Per lui con i razzisti il conflitto è più onesto. Lo sai. Sai che non ti vogliono. Sai cosa pensano di te. Con gli antirazzisti non si sa mai. Cosa porta una persona a essere non razzista? L’amore dell’altro? Il sogno di vivere in un mondo di uguaglianza? La giustizia? E poi? In questi undici anni ho visto il mondo dell’immigrazione occupato da persone non immigrate. Parlano nel nostro nome. Parlano delle nostre cose. Presentano libri scritti sulle nostre storie. Video sui nostri drammi. Alzano la mano al posto nostro. Quasi vivono la nostra vita. Conoscono talmente le nostre cose che non hanno neanche più bisogno di noi. Orbene: lei è consapevole del male che fa con questa frase? E’ una provocazione? Lei infierisce ( o il suo amico, non è chiaro): ..con i razzisti il conflitto è più onesto…sai che non ti vogliono..cosa pensano di te. Con gli anirazzisti non si sa mai.

Personalmente non so mai esattamente  cosa pensi davvero chi ho davanti, che venga da Ulan Bator o da Casalpusterlengo, ma lei ( il suo amico) sostiene di sapere perfettamente cosa l’antirazzista pensa di “voi”. Ebbene, senta questa: lei  forse non lo sa, nemmeno lo immagina. Forse crede di saperlo, ne conosce una percentuale di pensiero, ma il peggio, non lo ha mai ascoltato. In compenso nutre dubbi (sani, a mio parere) su quanto pensa l’antirazzista, di cui opina che non abbia poi tutte quelle buone intenzioni. Forse non ha imparato ad amare il dubbio o la sfida del cammino verso un’idea, anche se a ogni passo te ne senti più lontano. Non crede che dalle cadute ci si possa rialzare e se io tendo all’antirazzismo, non lo faccio specificamente per lei, forse non mi importa di lei in quanto tale, ma di eliminare il male dentro di me, che si chiami avversione verso il diverso o paura dell’ignoto; e poi forse ci ricado e a quel punto non trovo lei ad aiutarmi, ma a dirmi: ecco, presunto antirazzista,  vedi che avevo ragione?

Poi lei ( il suo amico) si chiede: cosa porta una persona ad essere antirazzista? L’amore dell’altro?Il sogno di vivere in un mondo di uguaglianza? La giustizia? Veda, io, per quanto mi riguarda, non ritengo sia molto importante il perché, quando mi tendono una mano, ma certo è opportuno rifletterci, poi, a mente fredda, se non altro per evitare pericolose trappole. Se l’antirazzista è animato da smanie di protagonismo o retropensieri interessati, che so, una carriera politica, capisco che ci si senta turlupinati, anche se, in fondo, non è poi così sbagliato approfittare di un’occasione: se serve ad aiutare chi ha bisogno, e non solo noi stessi, lei che ne dice? Potrebbe funzionare anche un interlocutore non disinteressatissimo, purché noi si stia in guardia e non ci si faccia manipolare? 

Ma vogliamo essere puri e duri? E sia! Vogliamo l’antirazzista senza se e senza ma, senza secondi fini, che sia pronto al martirio per la causa? Oppure l’antirazzista non ci serve proprio più affatto? Sarebbe importante per noi saperlo, per varie ragioni, non da ultimo in quanto può essere che a nostra volta, per cause diverse, siamo (siamo stati) a nostra volta bersaglio di razzismo: perché donne, perché gay, perché meridionali,  perché di religione minoritaria, perché diversamente abili o semplicemente un po’ tonti. E pensi un po’, a volte il razzista, in questi casi, magari era un immigrato (sì, proprio lui) e allora ti chiedevi : questo come si permette, invece di ringraziare? Lei ( il suo amico) parla di accettazione di differenze. Ma non ha visto che è solo la differenza a governare il mondo? L’antirazzista è uno che ha accettato di lottare con la differenza e lei gli da un calcio e afferma: vattene, tu in me vedi un sogno ed io non desidero questa responsabilità, questo peso. Non mi (ci) resta che chiedere scusa per il nostro antirazzismo di stampo umanista, positivista, o cristiano o radicale o comunista, e lasciarvi al costruttivo confronto con chi usa termini come ” bongo bongo” o locuzioni come ” sono tutti da cacciare a calci nel s…” e buon divertimento.

Con i più distinti ossequi

Carmen Gueye

Un’antirazzista senza causa.

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