Danilo Dolci. “Ostacolare la creatività è un aspetto della violenza”

A Sesana, un comune fino al 1947 friulano, attualmente Slovenia,  nel luogo dove nacque nel 1924  Danilo Dolci, oggi sorge un albergo, nel suo atrio una targa marmorea ricorda che lì ha visto la luce il nostro connazionale Danilo.

Sociologo, poeta, educatore e innovatore sociale, Dolci fu protagonista di storiche battaglie per il pane, il lavoro, l’acqua, la democrazia.  Consapevole che l’infanzia è decisiva per ogni uomo,  diede vita al Centro Educativo di Mirto e alla casa aperta di Borgo di Dio, a Trappeto in Sicilia, sua terra d’ elezione. Forte della convinzione che “ostacolare la creatività è un aspetto della violenza” si impegnò fino alla fine dei suoi giorni a promuovere il suo metodo di lavoro, centrato sulla collaborazione creativa, la comunicazione autentica, la nonviolenza.

Un messaggio profetico ha bisogno di tempo ad essere compreso ma in alcune  città del nostro paese oggi si ricorda questo studioso, più volte candidato al Nobel per la pace. E’ accaduto recentemente a Verona durante “Il festival dei giochi di strada”. A Torino, in occasione della Giornata Mondiale della Nonviolenza, indetta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’associazione Ritmi Africani Onlus in collaborazione con Centro Studi Sereno Regis e l’associazione culturale bin11 hanno organizzato una serie di incontri aperti dedicati alla figura e all’opera di Danilo Dolci.  Attraverso le testimonianze e gli interventi di Amico Dolci, figlio di Danilo Dolci e presidente del Centro per lo sviluppo creativo “Danilo Dolci” di Palermo, e di Giuseppe Barone, suo biografo ufficiale e collaboratore dal 1985, vi è l’urgenza di conoscere e approfondire i momenti salienti e i nodi essenziali dell’opera e del metodo di Danilo Dolci, protagonista di una vera e propria rivoluzione nonviolenta nella Sicilia degli anni Cinquanta e Sessanta, per scoprire la sua scottante attualità in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo.

La genialità di Danilo Dolci sta nell’essere vissuto in un periodo in cui si etichettavano i buoni e cattivi a seconda delle ideologie e, ciò malgrado, non aver mai pensato che  il credo di una persona, fosse sufficiente a definirlo. Da qui il suo non aver fatto parte di un gruppo politico, scelta che gli è costata l’isolamento. Dolci non ha lasciato una ideologia di riferimento, piuttosto indicazioni pratiche cui attenersi, superandole. Leggeva la realtà come processo continuo di trasformazione e costruzione, ”creatura di creature” dove ciascuno contribuisce alla crescita dell’altro, se il rapporto è scambio bilaterale e osmotico. La creatività, da incoraggiare maieuticamente, antidoto allo spreco e alla violenza del mondo,  motore di sviluppo economico, necessità vitale anche in presenza di benessere finanziario, nel solco del concetto cristiano che “non di solo pane vive l’uomo”. 

 


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