Intervista a Simone Perotti. Oggi la crisi è del maschio etero e non delle donne o dei gay

 

ROMA – Simone Perotti si descrive con semplicità così: “Sono uno scrittore e un marinaio. Vivo in Val di Vara, entroterra ligure, quando non sono in mare. Trasferisco imbarcazioni, sono uno skipper e un istruttore di vela. Trascorro circa quattro mesi l’anno a bordo.

Ma per vivere senza essere costretto al tragico rituale della schiavitù del lavoro faccio qualunque cosa, solo quando ho bisogno di soldi, cioè raramente perché vivo con poco. Ho pitturato case, preparato aperitivi, fatto la guida per turisti americani, fatto conferenze. Vendo le mie sculture e i miei “pesci” di ardesia e legno antico, guardateli sul mio sito www.simoneperotti.com.

Simone Perrotti  è un ex importante manager della comunicazione. Possiamo credergli sulla parola ascoltando le sue ipotesi sul nostro “mondo nuovo” di interrelazioni tra   i due sessi. E dobbiamo farlo con attenzione leggendo il suo saggio “Dove sono gli uomini?”, la cui dritta è indirizzata non solo alle donne ma, con sicuro affetto, agli uomini.  Seguite l’intervista di dazebaonews.it per capire il suo pensiero rivoluzionario.

D.    “Dove sono gli uomini?” è una domanda soprattutto femminile, cosa ha spinto un uomo a cercare risposte?

S.P Io sono il primo a pormi la domanda. Pur essendo eterosessuale ho bisogno degli uomini come amici, compagni di viaggio e d’avventura, e per tanti anni ho faticato molto a trovarne. Sarà che sono un uomo un po’ inconvenzionale, con una parte femminile sviluppata, che pratico orgogliosamente, ma con la media degli uomini faccio fatica a relazionarmi. Questo non parlarsi mai intimamente, questo tentare di imporre la relazione, questo non guardarsi mai negli occhi, questo fuggire alla profondità, questo timore per la sensibilità, come anche la fatica della comunicazione, etc, sono tutti aspetti che mettono in difficoltà le donne, ma anche un uomo come me e come altri che conosco. L’assenza degli uomini com’erano configurati fino alla generazione dei nostri genitori e l’assenza degli uomini nuovi, come certamente vedremo in futuro è un buco di genere e generazionale che pesa sulla società, sugli assetti delle relazioni, sugli uomini e sulle donne stesse.

D.   Per indagare un malessere maschile è stato necessario far parlare le donne, perché?

S.P. Per due motivi. Il primo è che gli uomini non parlano, tanto meno con un altro uomo. Ho provato ad affrontare l’argomento, ma ho spesso dovuto sperimentare il silenzio, oppure il rifiuto. Sostenere che siamo in crisi, che siamo una generazione di passaggio da un modello che funzionava a uno che speriamo funzioni ma che non c’è ancora, equivale, spesso, a peccare di lesa maestà. Di solito scatta la reazione del silenzio o quella dell’invettiva contro le donne, che sono incontentabili, che sono ingestibili etc. In sostanza: difficilissimo parlarne con gli uomini. Il secondo motivo è opposto: le donne sono lì, ci aspettano, ci guardano, ci scrutano, ci sfidano, sanno tutto di noi, hanno una casistica pressoché infinita di disavventure e casi da studiare. E al contrario degli uomini parlano, anzi, non vedono l’ora di parlare. Soprattutto con un uomo, visto che con le amiche lo fanno tanto e da sempre.

D.    Nel  libro le protagoniste rispecchiano una difficoltà comune, come è stato scelto il campione sociologico?

S. P. Non si tratta di un campione rappresentativo di alcun universo. Non è un sondaggio né una ricerca demoscopica, ma un libro-inchiesta. Le donne che prendono voce nel libro sono tutte vere, tutte reali, e hanno valore di testimonianza. Non ho dovuto escludere, tuttavia, alcuna voce femminile di segno opposto alla maggioranza che analizzo. Lo dico perché, anche senza un valore statistico, in sede di inchiesta non ho mai trovato una sola donna che mi dicesse: “mah, senti, io problemi non ne vedo, conosco un mucchio di uomini in piena forma, energici, carichi, in equilibrio…”. Ecco, è proprio la dimensione di “coro” unanime che mi ha spinto a raccogliere quelle storie, nel tempo, anche perché m’incuriosiva terribilmente il dato empirico, che avevo io sotto gli occhi, in metropolitana, in barca, nei luoghi di aggregazione. Volevo vederci chiaro. Un libro inchiesta nasce sempre così.

D.  La crisi del secolare modello maschile  destabilizza gli uomini,  c’è coscienza del problema?

S.P. Nessuna. E questo è il fattore più preoccupante. Si possono avere tutti i problemi che si vuole, fa parte della vita, delle generazioni, del tempo. Ma saperlo, essere consapevoli dell’ostacolo, implica un pensiero e perfino a volte un’azione per reagire e procedere. Non sapere, non voler vedere, negare, come per l’alcolista che sostiene di non bere troppo e comunque di poter smettere quando vuole, significa essere nella crisi fino ai capelli, senza prospettive. Dalla violenza sulle donne fino all’assenza fisica, psicologica, relazionale degli uomini nella vita di ogni giorno, la crisi è ampia, visibile, enorme. Non siamo più nostro padre ma facciamo finta che le regole valide per noi siano ancora quelle. Nessuno alza la mano e si rifiuta di procedere così. Un bel guaio.

D. Il libro evidenzia grande vitalità e indipendenza delle donne, questo agli uomini fa paura fino a incrinare un rapporto?

S.P. Su questo molti hanno frainteso, e continuano a fraintendere. Qui il problema non sono le donne, che nel bene o nel male, sbagliando o con successo, ci sono, sono in movimento, tentano, provano, se le cerchi le trovi. Qualunque cosa facciano o dicano, le donne non devono provare alcun senso di colpa per il loro vitalismo, non stanno facendo tanto, poco, troppo, stanno solo vivendo come sanno e lo fanno con grande partecipazione. La loro energia non mette in difficoltà gli uomini perché è troppa o perché esagerano. Questo giudizio, che serpeggia, è gravissimo perché dietro c’è del sessismo strisciante e soprattutto l’antica cantilena che tende a mettere in mora le donne, a limitarne la vitalità e l’autonomia. La loro energia mette in crisi gli uomini solo perché noi siamo spossati, stanchi, senza verve, senza smalto, senza modello, senza meta. Donne come quelle di oggi sarebbero uno stimolo straordinario, altro che imbarazzo! Solo che per un dialogo, per un circuito elettrico, servono due poli. Con uno solo non fai accendere alcuna lampadina.

 D. Dal libro viene fuori molta solitudine maschile e femminile, anche se le donne reagiscono. L’amore é alla base del nostro equilibrio?

S. P. Assolutamente no. L’amore è la conseguenza dell’equilibrio, non la causa. Si può dialogare, come amici, come amanti, solo quando due persone stanno sulle proprie gambe come individui, cioè sono già in equilibrio. L’equilibrio non lo fa l’amore, che anzi viene distrutto dal disequilibrio.

D. La generazione sotto la lente è quella fra i trenta e i cinquant’anni, i giovanissimi sono diversi?

S.M. Non ne ho idea. Purtroppo non esco con una ventenne da molto tempo (). Da quel poco che vedo non mi sembra che i ragazzi di oggi, i maschi intendo, siano in grande forma. Ma ripeto, non posso davvero dire molto su questo punto.

D. Cosa dovrebbe fare una donna oggi per aiutare un uomo?

S.P. Niente. Basta chiedere aiuto alle donne. Queste povere donne da quando sono bambine devono aiutare la mamma, poi devono aiutare in casa, poi devono aiutare i fratelli, poi anche gli uomini… Si è chiesto anche troppo alle donne, per troppo tempo. Basta. Oltre al fatto che il problema è proprio questo: occorre alzarsi da soli, gli uomini devono mettere su prima un ginocchio, poi un piede, poi fare forza con una mano, e anche se faticoso devono alzarsi da soli, con calma, senza fretta, ma con dignità. Nessuno ha aiutato le donne ad emanciparsi negli ultimi 120 anni. Al contrario, sono state ostacolate. Ma hanno fatto il loro percorso. E oggi le quarantenni, figlie e nipoti di quelle donne coraggiose, vivono con estrema disinvoltura i risultati di quel percorso. Ecco, un sentiero analogo aspetta anche noi. Un sentiero lungo, in cui però il problema non è la lunghezza o la durezza della via, ma non aver ancora fatto il primo passo. Spero che questo libro abbia almeno il merito di stimolarlo.

D.  Esattamente si è capito dove sono gli uomini?

S.P In un luogo-non-luogo, come tutte le generazioni senza qualità. Si sa più precisamente dove non sono: non sono dove stava nostro padre; non sono dove staranno gli uomini nuovi, domani; non sono dove si troverebbero, dove potrebbero riconoscersi e sentirsi vivi; non sono dove si sogna, dove si tenta; non sono dove si crea, dove si progetta. Non sono dove si agisce.

Una piccola nota finale: quando parliamo di uomini, in questa chiave, intendiamo in verità una parte degli uomini, e cioè i maschi eterosessuali. Per i gay la faccenda è del tutto diversa: sono consapevoli, molto vitali, parlano con le donne, parlano tra loro, si sostengono come un gruppo coeso, un’enclave. Da questo punto di vista vivono in una condizione del tutto diversa, sono molto in forma e non mi paiono per nulla in crisi. Sono la fetta di umanità maschile più riuscita e moderna, più contemporanea ed evoluta.

 

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