Il jazz: storia e passione in musica

Nacque nei bordelli e nei locali malfamati di New Orleans e di altre importanti città americane e solo per questo, per le sue radici bohémien, la sua allegria, la sua capacità di mescolare generi diversi ed il suo essere una cartina al tornasole dell’America a cavallo fra gli anni Dieci e gli anni Trenta del Novecento, gode di un fascino pressoché immutato e, anzi, accresciuto dallo scorrere del tempo: parliamo del jazz che compie cent’anni e se li porta davvero magnificamente. 

Nacque anche grazie alla tenacia e alla caparbietà di alcuni musicisti italiani, primo fra tutti l’allora ventiseienne “Nick” La Rocca, figlio di un ciabattino di Salaparuta, il quale con “Original Dixieland Jass Band” diede il via a questo stile “jazzy” (sporco) tanto umile nelle origini quanto travolgente nello svolgimento e in grado di incidere in maniera incredibile nell’immaginario collettivo, al punto che questo primo disco jazz diede inizio non solo all’affermazione di uno stile inconfondibile e rivoluzionario ma anche ad un secolo, il Novecento, a sua volta inconfondibile e assolutamente rivoluzionario. 

Perché il jazz, al pari del ragtime, del fox trot e di altre espressioni artistiche risalenti a quei primi anni del Ventesimo secolo, non fece altro che accompagnare l’ascesa dell’America sulla scena internazionale, costituendone la narrazione interna, l’opposizione costruttiva al demone del protezionismo, la scialuppa di salvataggio nei ruggenti anni Venti e, ancor più, nella fase devastante della Grande Depressione e, infine, uno degli spunti principali per esercitare quel “soft power” che dal dopoguerra in poi ha consentito al marchio americano di affermarsi in ogni angolo del pianeta, penetrando nei nostri discorsi, nel nostro modo di vivere, di essere, di ballare, di immaginare il futuro e di progettarlo, trasformando gli Stati Uniti nel paese egemone non solo sul piano politico, economico e militare ma anche, per non dire soprattutto, dal punto di vista culturale. 

E il jazz, con la sua mescolanza di stili e di generi “bastardi”, con la sua capacità di riunire le ansie, le paure, le esclusioni, le denigrazioni e la voglia di riscatto di tutti coloro che, all’inizio del secolo scorso, costituivano l’anima oscura e da tenere nascosta di una Nazione che, in fondo, altro non era e non è che un crogiolo di culture differenti, il jazz rappresentava allora, come detto, il miglior contrasto possibile alla grettezza del decennio pre-rooseveltiano e rappresenta tuttora l’antitesi alla degenerazione provocata dall’ascesa del trumpismo, dalla sua visione del mondo arretrata e all’insegna del massimo provincialismo, dai suoi disvalori, dalla sua ignoranza, dalla sua prepotenza e dalla sua inutile e fallimentare arroganza. 

Per questo sono convinto che questa musicaccia “sporca” e ricca di passione, dopo essere stata una delle colonne sonore del “Secolo breve”, sopravvivrà anche alla barbarie contemporanea, incarnando la parte migliore di ciascuno di noi, quel sorriso interiore che proprio non riesce ad arrendersi all’ingiustizia e alla malvagità di un mondo sempre più fragile e diseguale.

Buon compleanno, meraviglia delle nostre vite e delle nostre aspirazioni!

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