Biennale. Leone d’oro alla carriera del 61. Festival di Musica Contemporanea è Tan Dun

VENEZIA – Leone d’oro alla carriera del 61. Festival Internazionale di Musica Contemporanea è Tan Dun, fra i pochi compositori del panorama contemporaneo a diventare fenomeno popolare con 15 milioni di visualizzazioni su You Tube per la sua Internet Symphony e con il premio Oscar per la colonna sonora del film di Ang Lee La tigre e il dragone.

Sabato 30 settembre al Teatro alle Tese (ore 20.00) Tan Dun dirige l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai nell’esecuzione di Secret of Wind and Birds, The Tears of Nature e Concerto for Orchestra. Tre brani composti dallo stesso Tan Dun, mai eseguiti in Italia, e che esprimono il suo ideale di musica organica “in simbiosi con l’ambiente, nella quale elementi naturali come acqua, pietre, oggetti di carta e di ceramica interagiscono con i tradizionali strumenti dell’orchestra”, come recita la motivazione del premio. La cerimonia di premiazione e il concerto saranno trasmessi in diretta su Rai Radio3.

Un incontro pubblico con Tan Dun, moderato dal critico e saggista Andrea Penna, si svolgerà, inoltre, la mattina di sabato 30 settembre (ore 11.30) nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, sede della Biennale.

Compositore cinese da anni residente a New York, Tan Dun è tra gli autori di generazione più recente che meglio ha saputo realizzare una sintesi tra tradizione cinese (è stato musicista dell’Opera di Pechino), avanguardia europea e mainstream statunitense. La musica di oggi, secondo Tan Dun, non si svolge tanto tra avanguardia o tradizione, tra occidente o oriente, né tra semplicità o complessità: è un percorso verso la riconciliazione di un proprio personale passato e presente, alla ricerca delle radici umane. E’ musica per e sugli uomini. Come il trittico di brani scelto per il Festival della Biennale evidenzia.

Nell’arco teso tra tradizione e futuro si svolge la passacaglia Secret of Wind and Birds, originariamente commissionata dalla Carnagie Hall per l’Orchestra nazionale giovanile degli Stati Uniti. “Fin dagli albori della musica, l’uomo ha sempre cercato di imitare la natura”, osserva Tan Dun. Così sceglie sei antichi strumenti cinesi – guzheng, suona, erhu, pipa, dizi, e sheng – per registrare i suoni degli uccelli che aveva composto. Una registrazione poi formattata per essere suonata anche tramite cellulare, trasformando un dispositivo elettronico di comune e universale utilizzo in uno strumento capace di creare “una foresta poetica di uccelli digitali”. “Spesso le orchestre si allargano includendo nuovi strumenti; io ho pensato che il cellulare, contenente il mio particolare suono digitale degli uccelli, potesse essere un nuovo strumento meraviglioso che riflette la vita e lo spirito del nostro tempo”. E come Leonardo ha osservato il moto delle onde per studiare i venti e il volo degli uccelli, così Tan Dun si ispira alle onde per scoprire il movimento del vento e degli uccelli. Melodia, ritmo, colore sono strutturati da Tan Dun nella forma di una passacaglia, costituita da molteplici variazioni e ripetizioni nascoste, attraverso pattern di otto battute. Spiega il compositore: “Il pezzo inizia con il suono degli antichi strumenti cinesi suonati dai cellulari, creando un coro di uccelli digitali che fa slittare la tradizione verso la modernità. I pattern di otto battute evolvono in nove diverse ripetizioni raggiungendo un climax… Alla fine fiati, archi, ottoni e percussioni si uniscono in un unico grido come si trattasse del grido di un uccello gigante. Un grido che per me è quello della Fenice, il sogno di un mondo futuro”.

Anche per i suoni e gli strumenti percussivi di The Tears of Nature – il secondo brano in programma – Tan Dun si ispira alla natura. Il concerto è diviso in tre movimenti, ognuno dei quali rappresenta un diverso colore della natura secondo Tan Dun: quello del tuono, quello della passione, quello dell’energia, tutti uniti dallo spirito umano. Ogni movimento è originato dal ricordo di un terribile evento naturale avvenuto in tre diverse città, che in comune hanno una stessa memoria e una stessa capacità di resistenza: il terremoto del Sichuan nel 2008 ispira il primo, Threat of Nature, per cui utilizza i timpani, che esprimono la forza della natura nel suo duplice aspetto distruttivo e protettivo insieme; lo tsunami in Giappone ispira il secondo, Tears of Nature, con un dolente assolo di marimba, perché “credo – dice Tan Dun – che alla brutalità della natura segua il rimpianto della natura, le sue lacrime”; l’ultimo movimento, Dance of Nature, è suscitato – dichiara Tan Dun – “dal timore e dall’affetto che ho per New York e i suoi abitanti. Utilizzo diversi strumenti percussivi messi in cerchio a simbolizzare la natura e lo spirito umano che danzano insieme – ricordandomi proprio della capacità di New York di mantenere alto lo spirito e di danzare anche nella sofferenza della perdita (causata dall’uragano Sandy) – uno spirito imbelle. Il concerto commemora lo spirito umano che vive, combatte e danza con la natura”.

Interprete solista con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai è il ventiquattrenne percussionista Simone Rubino, definito dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung “un turbine di vitalità che potrebbe fare seriamente concorrenza a Martin Grubinger”, per cui il pezzo era stato originariamente composto.

Conclude Concerto for Orchestra, tratto dall’opera Marco Polo, per la quale Tan Dun ha vinto il Grawemeyer Award, a oggi il più prestigioso premio per la composizione. Nel brano – commissionato dalla Filarmonica di Berlino – il protagonista compie un triplice viaggio: geografico, musicale, spirituale.  “Nel primo movimento, Light of Timespace, gli archi e gli ottoni – scrive Tan Dun – scivolano avanti e indietro esattamente come fa la luce intermittente o come fa l’inchiostro che sgocciola quando si esercita la calligrafia. Il suono cessa, ma il significato delle note continua. Il secondo movimento, Scent of Bazaar, si apre ai profumi dei mercati orientali con le trombe e gli altri ottoni a rappresentare gli odori speziati e i potenti profumi. Con il terzo movimento, The Raga of Desert, ascoltiamo un raga indiano in cui ogni nota è viva e ha un numero infinito di espressioni. In questa parte mi sono concentrato sugli strumenti a fiato e ad arco e su come potessero suonare come gli strumenti a pizzico, come il sitar. Nell’ultimo movimento Marco Polo arriva nella Città Proibita e ho cercato di immaginare il tipo di luce, di colore e di suono che può aver visto e ascoltato. La Città Proibita ha molti significati per me: non è “proibita”, non è un ostacolo, ma mostra l’origine, il cambiamento e il mistero. Il cambiamento è circolare e noi siamo sempre costretti a tornare”.

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