Gli ospiti inattesi di Nazim Hikmet

È in libreria l’ultima opera di Nazim Hikmet, il romanzo Gran bella cosa è vivere miei cari, mai pubblicato il Italia 

ROMA – “Ho degli ospiti: Anuška, Ahmet, Neriman, Marusa, Ziya, SI-YA-U. (…) I miei ospiti non sono invecchiati. Hanno la stessa età di quando li ho visti l’ultima volta. SI-YA-U è ancora innamorato di Anuška. Ahmet è ancora geloso di SI-YA-U”.

Sul finire della sua intensa vita Nazim Hikmet incontra, nella sua dimora poetica, ospiti inattesi. Non sono i “personaggi in cerca d’autore” di Pirandello, quei “fantasmi” cupi e tragici che la sua servetta “Fantasia” ha fatto accomodare nelle studio del poeta siciliano. Gli ospiti di Hikmet sono giovani e solari; sono come la sua memoria inconscia ha trasformato donne e uomini incontrati, forse, nella sua intensa vita. Gli ospiti di Hikmet non portano con sé il dramma  di un fato incontrovertibile: essi sono, le nostalgie delle separazioni, il ricordo di un mare limpido, il sapore di un cibo caldo, mangiato insieme.
Altri ospiti egli aveva incontrato nel ’46, nel carcere di Bursa, in Turchia, quando pensava che la morte potesse venirlo a ghermire, da un momento all’altro: “Entrate, amici miei, accomodatevi/siate i benvenuti/mi date molta gioia./Lo so, siete entrati per la finestra della mia cella/mentre dormivo./Non avete rovesciato la brocca/né la scatola rossa delle medicine./I visi nella luce delle stelle/state mano in mano al mio capezzale. // Com’è strano/vi credevo morti/e siccome non credo né in Dio né all’aldilà/mi rammaricavo di non aver potuto/offrirvi ancora un pizzico di tabacco.”

Gli ospiti di Hikmet si siedono ora di fronte al lettore di questa romanzo/autobiografia poetico dove, con la sapienza di un cesellatore di immagini, egli li evoca per noi, per raccontarci, non il vissuto, ma le sensazioni di quel vissuto, e di come ha attraversato le loro carni con il suo sangue pulsante di amore infinito. Negli occhi degli ospiti passa la vera storia, fatta in silenzio, da chi non è entrato mai nella storia che troviamo nei libri: la nascita dell’Unione sovietica, il dramma del genocidio armeno, la storia della nascita della Turchia moderna attraverso l’assassinio, la tortura e il sangue dei suoi figli migliori. Tutto questo esce dal libro attraverso il dolore per un amico torturato, la rabbia per un padre giustiziato, lo sgomento per la morte improvvisa di una madre durante il colloquio nel carcere.
Nessuno come Nazim Hikmet ha saputo esprimere una fusione totale tra l’amore incondizionato per le donne e per l’umanità intera tranne, come scrive nel libro, per i nemici dell’umanità. “ Non sono nemico di nessuno. Tranne chi ha fatto uccidere Mustafa Suphi. A parte le classi sfruttatrici; a parte l’ufficiale biondo che ha ucciso il padre di Anuška, …” . L’amore per gli esseri umani in Hikmet che sia eros, o amicizia, è sempre impeto e passione, non è un scialbo agàpe cristiano che è, in primo luogo, amore per la divinità, e poi, se ne avanza, per gli esseri umani.

Nazim lo troviamo nelle pagine del libro, ventenne, stordito, accanto al feretro di Lenin, e dopo pochi giorni lo sentiamo infuriarsi e perdere la testa geloso fino all’ossessione per una ragazza, come egli scrive anche nella poesia, Autobiografia, del ‘62 : “ero di guardia davanti alla bara di Lenin nel ’24/e il mausoleo che visito sono i suoi libri (…) matto di gelosia delle donne ch’ho amato”.
Gli ospiti di Hikmet sono la nostalgia di non aver dato loro e al mondo abbastanza di sé; sono coloro con cui ha diviso odio e complicità contro i carnefici, amore, speranza, uguaglianza, … desiderio; sono la sua nostalgia perché egli sente che potrebbe dare loro ancora il suo cuore che pulsa per il mondo degli umani.”I miei ospiti non sono invecchiati, ma io sono sulla sessantina. Potessi vivere cinque anni ancora”. Non vivrà ancora cinque anni, vivrà all’infinito nei pensieri di chi non ha perso la speranza di una umanità possibile.

Gli ospiti di Hikmet emergono dalla sua “fantasia ricordo” puri e gioiosi nella loro umanità per dire “Gran bella cosa è vivere miei cari” e sono così struggenti nella loro semplicità che divampa nelle pagine bianche del libro per raccontare perché un uomo semplice diventa un poeta.
Poi “il cuore si sfa” come scriveva Montale, e ci sussurra che nessun boia, nessun aguzzino, nessun carceriere potrà mai domare l’amore per gli esseri umani che nasce all’alba della vita, alle prime sue luci. “Un proletario io sono,/ fino al  midollo amore./Amore: vista, pensiero, intelligenza./Amore: il bimbo che nasce, la luce che avanza …”.

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