NAPOLI – Per personaggi storici come i nobili ed intellettuali del 1799, che hanno appoggiato la rivoluzione francese tentando di importarla a Napoli, non c’è nemmeno un mausoleo abusivo come quello della Gens Berlusconiana ad Arcore. Nella città partenopea le nobili ossa dei più noti rivoluzionari di fine ‘700 giacciono sommersi nel fango del pronao della Chiesa del Carmine Maggiore.
Fecero tanto per una città dissacrata e confusa, la cui identità popolare era stata stuprata dai viceré spagnoli. I conflitti generati da alternanze franco-tedesche avevano forgiato anche le architetture più sontuose della città, sorretta da un popolo che portava con sè un trofeo di fango e di fame. Napoli si era distinta per la sua capacità di perpetuare il degrado esattamente come nella sua capacità di rivoluzionare il presente. Le contraddizioni interiori di un popolo che cambia come cambia la marea, ma che rimane sostanzialmente uguale.
Napoli nel 1799 era una delle città più all’avanguardia: un polo storico per le arti e le culture, per la dottrina giuridica e per le frequentazioni della sua nobiltà. Era anche la base della massoneria più raffinata, e sarebbe diventata presto con i Borboni una delle città più ricche d’Europa.
Serviva un passo avanti, il passo verso la libertà. Bisognava seguire i rivoluzionari francesi per diventare completamente liberi, per condurre le redini di altri stati ed instaurare la Repubblica. La monarchia, soprattutto durante il periodo spagnolo, non aveva migliorato le condizioni dei ceti più bassi che avevano un’intima voglia di rinascere.
Per attuare il grande passo servirono menti di cultura, letterati ed intellettuali guardati con rispetto da ogni dove: parliamo di del principe Giuliano Colonna, Gennaro Serra, duca di Cassano, e del sacerdote Niccola Pacifico oggi murati sotto la sala del Capitolo della basilica e senza una sola lapide che ricordi almeno le loro iniziali. A questi si aggiungono anche Francesco Pagano, Ettore Carafa, Luigia Sanfelice, Domenico Cirillo, Giorgio Pignatelli, Eleonora Pimentel Fonseca, Margherita Fasulo e Laurent Prota e gli altri rivoluzionari impiccati o decapitati a piazza Mercato dopo la restaurazione borbonica.
Sono stati ritrovati “Inzuppati come il cartone” dalla paleopatologa Marielva Torino. A raccontarlo è Antonella Orefice che ha affiancato la studiosa nelle sue ricerche confluite poi nel libro “La penna e la spada” scritto dalla stessa Orefice che asserisce: “sono ancora lì, il gruppo di ricerca che presentiamo domani nasce con l’intento di dare giustizia a questi grandi personaggi della nostra storia che altrimenti saranno condannati due volte. Vorremmo portarli al Mausoleo Schilizzi di Posillipo”.
Insomma, dopo la distruzione saturnina del periodo Berlusconiano, ci auguriamo che la restaurazione arancione del Sindaco de Magistris che ultimamente si è rivolto al Maestro Muti affermando che la città di Napoli deve rinascere come città di cultura. Una città che avrebbe molto da recuperare, in primis i tagli alla cultura fatti dallo stesso Governo che hanno penalizzato grandi centri di cultura come l’Istituto Italiano per gli studi Filosofici di Via Monte di Dio, frequentato dalla stessa storica Antonella Orefice. Un istituto che fino a oggi è riuscito a sopravvivere grazie agli stessi risparmi di uno dei fondatori: l’Avv. Gerardo Marotta, allievo di Benedetto Croce.