C’è una mostra in biblioteca. Esposizione di Antonella Prota Giurleo

MILANO – Che il paradiso sia una stanza piena di libri ce lo ha detto per sempre Virginia Woolf ed è alla luce di questa felice intuizione che percorriamo gli spazi della Biblioteca Gallaratese, a Milano, dove è allestita la personale di Antonella Prota Giurleo, fino al prossimo 29 ottobre.

Le stanze della biblioteca, luogo di accoglienza, di raccoglimento e fulcro della vita sociale e culturale del quartiere: nulla di più simbolicamente atto a interagire con le opere, libri d’artista, collages, installazioni che proprio nell’oggetto libro, per il significato che ha nella nostra formazione, per la materia di cui è tradizionalmente fatto e per la pratica che nella lettura fonda le nostre relazioni, trovano il loro senso e la loro forza comunicativa.

È come se l’artista indagasse su progenitori, discendenti, madri simboliche che si sono espresse attraverso la scrittura, spulciando tra le pagine come per creare una serie di spettacolari “riedizioni” risolte nella forma dell’opera d’arte, perché in ogni circostanza, anche quelle più dure della vita di un artista o di uno scrittore, il faro del lavoro artistico e la stella della scrittura non hanno mai cessato di brillare.
Antonella è artista “nomade” nel senso etico del termine, non tanto perché il suo linguaggio è il frutto di esperienze, di legami forti che intreccia con gli artisti in luoghi “difficili” in Italia e all’estero, dove è presente in numerose mostre, ma anche per una scelta di fondo della sua poetica che si radica nel recupero dei materiali comuni, primari, ecocompatibili, nel rispetto innanzi tutto della madre Terra.

E così ogni libro destinato al macero, ogni testo, una biografia o un racconto di pura fantasia, ma anche spartiti musicali, mappe e materiali appartenenti a culture diverse; ogni materia è preziosa e non consente una manipolazione aggressiva: allo strappo a al taglio è sempre sotteso un intento riparativo (carte, corde, nodi, restituiscono alla materia la sua struttura e a noi la coscienza della devastazione inflittale).
Le installazioni, una sorta di sintesi dei lavori presenti in mostra, realizzate specificamente per questo “ sito” sono una delle parti più avvincenti del racconto dell’artista.
Esse rimandano a due opposte suggestioni: la colonna a soffitto da un lato sembra imporre una sorta di presa in carico, anche di un “peso” , un carico emotivo che fa parte della volontà di recupero; dall’altro i calchi di resina di mani amiche sembrano esprimere quei legami essenziali, talora dirompenti, con il mondo femminile restituendo alla fantasia e al sogno le pagine su cui si imprime e si dispiega il groviglio delle umane relazioni.

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