BERLINO – La sessantaduesima Berlinale si è inaugurata con Benoït Jacquot che in Les adieux à la reine ( tradotto con Addio mia regina ) narra gli ultimi giorni della monarchia francese, quelli del luglio 1789. Jacquot si è ispirato all’omonimo romanzo di Chantal Thomas – più fortunato che eccellente – nel quale traspare l’ossequio dell’autrice per sua altezza reale.
La storia di Jacquot è narrata da Sidonie Laborde (Léa Seyedoux), “lettrice” di Maria Antonietta (Diane Kruger) che arriva a detenere un ruolo importante negli ultimi giorni a corte prima che la regina, il re e tutti i più stretti collaboratori siano decapitati. Sidonie fino all’ultimo crede che i reali riusciranno a salvarsi grazie all’ascendente su un popolo che ha invece voltato loro le spalle.
Jacquot, vero o falso che sia, fa vedere una Maria Antonietta in balia di sentimenti morbosi e lesbici per l’amica del cuore Yolande de Polignac. All’epoca molti libelli raccontavano una regina in preda ad amori saffici, di storico però c’è solo la duratura passione per il conte svedese Axel von Fersen, nè vi è certezza alcuna che questo legame non fosse platonico.
Da rilevare che dall’ultima Maria Antonietta cinematografica, quella di Sofia Ford Coppola, che pure non ha avuto il successo sperato, non è passato molto tempo. Di nuovo, in piena crisi economica, in periodo di grandi cambiamenti, la necessità per il cinema di indagare nel nostro recente passato rivoluzionario : giorni che se non hanno assonanze con il presente, raccontano la fine violenta del potere assoluto, sul quale molti quesiti rimangono attuali e aperti. Maria Antonietta, personaggio emblematico ma ordinario, che eventi straordinari hanno reso fuori del comune, dimostra il suo inossidabile fascino, è entrata nel mito e nella leggenda: prima o poi arriverà un film che sarà anche successo di cassetta.