Cannes 70. À la recherche du temps perdu

CANNES – Il festival di Cannes ha settant’anni. Non è una gran notizia: la Mostra di Venezia ne ha qualcuno di più, il premio Oscar  fu assegnato la prima volta in una saletta di un albergo di Los Angeles il 16 maggio 1929.

Per nascere, la rassegna cinematografica sulla Croisette ha dovuto aspettare che fosse finita la guerra. Era stata prevista già nel 1939, presidente avrebbe dovuto essere nientemeno che  Louis Lumière, e avrebbe rappresentato la reazione, tutta francese,  alla pesante ingerenza nazi-fascista sulla Mostra di Venezia. Ma lo scoppio della guerra fece slittare i tempi al 20 settembre 1946, quando nella sala di quello che non era altro che un casinò, e non poteva essere diversamente, echeggiò trionfante la Marsigliese. Fu un’edizione con molti problemi tecnici ma con un successo di contenuto innegabile: fra i film premiati  Roma città aperta, presente un Roberto Rossellini incredulo.

Quest’anno, dal 17 al 28 maggio, neanche un film italiano in concorso. I festival non dovrebbero essere sciovinisti, ma va  a dirlo ai francesi (il termine l’hanno inventato loro) e agli americani che a Los Angeles distribuiscono a piene mani statuette in similoro purché a riceverle  siano soprattutto  film americani. Come contentino abbiamo la nostra Monica Bellucci ammessa come madrina della manifestazione. Amata in Francia meno di  Claudia Cardinale e più  di Carla Bruni, la nostra attrice di Città di Castello condurrà la cerimonia di apertura e quella di chiusura dopo aver percorso nei due sensi il tappeto rosso (qui nessuno lo chiama red carpet, come del resto in Francia il computer si chiama ancora ordinateur). Tutto per  la gioia dei paparazzi.

E’  giusto chiamarli ancora così?   Ormai sono passati 56 anni  da quando la felliniana Dolce vita impose al mondo un neologismo che  appare un po’ desueto. Oggi i fotografi dei festival non impugnano  ingombranti Rolley con la lampadina per il flash, ma usano microcamere digitali che spesso passano inosservate. Di qui la decadenza del paparazzo nella sua accezione più nota. Del resto anche i film non si girano più come una volta, la macchina da presa è spesso sostituita dalla telecamera, Le pellicola è un ricordo del passato, la Kodak non ne produce più. Anche la cabina di proiezione dei cinematografi di provincia non può più prendere fuoco. Nuovo cinema Paradiso appartiene alla preistoria. 

A scorrere l’albo d’oro delle prime edizioni del  festival si ritrovano immagini che ai giovani di oggi non diranno molto, ma che valgono tutti settant’anni di Cannes. Il casto bikini di Brigitte Bardot diciottenne e fresca sposa di Roger Vadim: è il 1953 e BB non ha nessun film in gara al festival  ma è presente sulla Croisette come starlet che ne farà di strada. Sophia Loren, Vittorio De Sica e  Silvana Mangano sorridenti  in sala in prima fila nel 1955 alla proiezione  de L’oro di Napoli. Nel 1965 posano per i fotografi  Catherine Deneuve e la sorellina Françoise Dorleac, destinata a morire  due anni dopo in un incidente stradale. E ancora:  Yves Montand in smoking, François Truffaut in maniche di camicia,  Esther Williams in costume da bagno,  la coppia Alain Delon-Romy Schneider, Jeanne Moreau, Liz Taylor, e via via fino ai giorni nostri.

Ma se non c’è neanche un film italiano in concorso, che ci vanno a fare a Cannes tanti giornalisti italiani? Domanda  peregrina: perché Cannes è Cannes come “Sanremo è Sanremo”. E poi i francesi, si sa, sanno vendersi bene e di un misero villaggio di pescatori in pochi anni  hanno saputo fare la mecca europea del cinema. Anche per fare rabbia a Venezia.

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