Cannes 70. “Blow Up”, quando Antonioni faceva scandalo

CANNES – I francesi sono sempre stati grandi ammiratori di Michelangelo Antonioni. Il suo Blow Up, che è del 1966, fu premiato sulla Croisette l’anno dopo con la Palma d’oro, che allora si chiamava ancora Grand prix.

Da noi il regista ebbe solo il Nastro d’argento per il miglior film straniero. Sì, perché Blow Up è più inglese che italiano, anche se è una coproduzione: Antonioni, infatti, ce la mise tutta per girare quello che definiva “il mio primo film inglese”. Forse pensava di farne ancora a cavallo della Manica. Tutti inglesi gli interpreti: David Hemmimgs, nei panni del fotografo protagonista di una poco chiara vicenda al limite del poliziesco, e poi Sarah Miles, Vanessa Redgrave, la top model dell’epoca Veruska, unica francese Jane Birkin.

Apprezzato in Francia, in Italia Blow Up ha passato i suoi guai con la censura, che lo giudicò non proiettabile in pubblico a causa di frequenti scene di nudi maschili e femminili. A Cannes 70 il film di Antonioni torna oggi sullo schermo nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, che ha lavorato sul negativo originale in collaborazione con Cinecittà, Istituto Luce e con gli studi newyorchesi di Criterion. Naturalmente la tecnica è digitale e la copia offerta al pubblico della Croisette è splendida. Come tutti gli altri film restaurati dalla Cineteca di Bologna, oggi apprezzata in tutto il mondo per il lavoro che fa su opere cariche di anni.

Quando uscì sui nostri schermi, il film di Antonioni incappò subito nella disapprovazione della commissione ministeriale di revisione, come si chiamava allora, con ipocrita eufemismo, la commissione di censura, che si riuniva nella sala di proiezione dell’allora ministero dello spettacolo. Ne facevano parte una mezza dozzina di persone, in rappresentanza di categorie diverse: era presieduta da un magistrato e composta dall’esponente di un’associazione di benpensanti, dei produttori, dei distributori, degli esercenti, questi ultimi direttamente interessati alla sorte del film in odore di osceno. La categoria dei giornalisti, la cui principale associazione il sindacato nazionale dei giornalisti cinematografici italiani (SNGCI) si è sempre rifiutata di nominare un suo esponente nelle commissioni di censura, era rappresentata da oscuri pubblicisti dietro i quali si nascondevano membri di organizzazioni e di testate cattoliche.  

Il nuovo film di Antonioni, un regista che aveva già attirato gli strali della censura con alcune scene de L’avventura, e quindi era visto come un sulfureo pregiudicato nell’oltraggio al pudore, fu addirittura sequestrato. A decidere la sua immediata esclusione dai patri schermi, su precisa denuncia di un pruriginoso spettatore della prima proiezione in provincia, fu appunto il procuratore della repubblica di Pescara, dove il film era stato prudentemente programmato nella speranza di non essere subito bollato come osceno. La commissione di censura chiamata a dare il necessario nullaosta alla programmazione chiese e ottenne dal produttore (il regista si guardava bene dall’intervenire nella polemica) il taglio di alcune scene di nudi maschili e femminili, nelle quali peraltro Antonioni non aveva affatto indugiato proprio perché già scottato. Sforbiciato a norma di legge Blow Up, tornò finalmente sugli schermi ma con il divieto per i minori di 14 anni e cominciò la sua peraltro non brillantissima carriera commerciale. 

Oggi a Cannes, il pubblico in sala vedrà Blow Up come Antonioni l’ha girato, senza un centimetro di pellicola di meno. E molti si chiederanno: ma sono cambiati i tempi o in Italia erano allora davvero bacchettoni? Le scene di nudo ieri incriminate oggi fanno sorridere anche in Italia, dove del resto le famigerate commissioni di censura sono state da tempo abolite. Se un film viola l’articolo del codice penale preposto alla tutela del comune sentimento del pudore, il produttore ne risponde direttamente in tribunale. Era meglio prima? Qualcuno avrebbe voluto mantenere la censura preventiva a scanso di guai, ma finalmente è prevalso il buon senso e il buon gusto. E intanto il comune sentimento del pudore si è, a sua volta, evoluto. Almeno al cinema. 

 

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