I racconti di Versailles. L’amore segreto di Maria Antonietta. Ventesimo

In quella mattina di fine ottobre una folla immensa, che affluiva dai viali antistanti alla reggia, superò il cancello blasonato e invase il cortile dei marmi mentre Luigi XVI, apparso al balcone, salutava raggiante.

Madame…. venite…

Maria Antonietta lo raggiunse con il neonato in braccio.

Guardate… vi adorano… – disse il re

La regina sollevò il piccolo Luigi Giuseppe Saverio Francesco, l’atteso delfino, mostrandolo fiera.

Urrà! – il fragoroso boato della piazza sfociò in battimani.

     I tamburi anticiparono la sfilata delle delegazioni venute a festeggiarlo: apparvero le corporazioni di arti e mestieri, in costumi caratteristici, ciascuna accompagnata da una banda musicale, con simboli del proprio lavoro in omaggio.   Teatrali gli spazzacamini, in camicia decorata, il primo con un bambino sulla spalla: l’erede al trono del carbone.  I portatori di sedie avevano accomodato una balia su una poltroncina dorata. I macellai avanzavano con quarti di bue, i fabbri con le chiavi del regno, i calzolai con gli stivali del re, i sarti con le divise del suo reggimento. Andavano disponendosi con sapienza e gusto, formando nel cortile un presepe. 

     A un tratto madame Sofia, zia di sua maestà, lanciò un grido dal balcone:

     – Mio dio, guardate!

     Indicò una corporazione vestita a lutto che entrava sulla terrazza. Ci fu un silenzio pesante. Tra la folla, anche la piccola Marianne Chevrier, figlia dell’ambulante che non mancava un appuntamento, si alzò sulle punte dei piedi chiedendo:

       – Questi chi sono? 

     – Beccamorti… – rispose sua madre 

    La bimbetta fece in tempo a vedere la delegazione dei becchini avanzare provocatoriamente reggendo una minuscola bara per il delfino. Scambiò con la mamma uno sguardo eloquente e soffocò una risata.

Finalmente Maria Antonietta comprese. Madame Sofia si sentì mancare:

Insolenti! Chiamate la polizia! Cacciateli!

***

Il delfino era nato il 22 ottobre 1781, attorniato solo da una dozzina d’intimi, poiché il parto in pubblico, dopo la crudele esperienza della prima volta, era stato abolito. Quel Saverio Francesco, imposto dopo i nomi degli avi, veniva dall’infanzia del padre: così si chiamava Borgogna, il fratellino la cui scomparsa aveva segnato il carattere del monarca. Il lutto ora sarebbe stato esorcizzato da questa nuova vita che proseguiva un cammino non compiuto. 

      Luigi Giuseppe era scivolato fuori dall’utero nel silenzio più totale. Dopo più di undici anni chi sperava in un maschio? Anzi chi, come il conte di Provenza, aspirava al trono, pregava Dio che non lo fosse. Ma quando fu chiaro che il “messia” era arrivato, Versailles si svegliò dallo stordimento e fu percorsa dalla frenesia: la principessa di Guemené, governante dei figli di Francia, prendendo in braccio l’erede, lo espose all’ammirazione dei presenti come di fronte alla patria intera.

     Maria Antonietta, certo meno provata dopo la tortura del parto in pubblico, non realizzò comunque la sua gloria. Il pensiero andò alla madre: “Avrei tanto desiderato comunicarle questa notizia…”. Una lacrima le rigò la guancia. “Di lassù sarà orgogliosa di me… mamma, dove sei?”, il vuoto e l’assenza di una guida erano più acuti in quel momento fondamentale. Comunque, da quando Maria Teresa era morta e Fersen partito, quello era il giorno del suo trionfo: così si adeguò alle circostanze e nessuno si accorse del suo velo di tristezza.

***

   La benedizione della puerpera ebbe luogo tre mesi dopo. Quella mattina, mentre un sole pallido fugava il freddo, la carrozza regale percorreva i lungosenna diretta a Notre Dame. La cattedrale apparve con le torri campanarie, i fregi, la solennità del portone aperto a una folla festante. Maria Antonietta entrando fu emozionata dall’aroma d’incenso e dalla sacralità dell’organo, inginocchiata davanti all’altare, pensò di essere veramente regina grazie a suo figlio. Seguì poi la preghiera nella chiesa di Saint Geneviève e il pranzo al municipio di Parigi, per sessantotto ospiti esclusivi con finale ai tavoli da gioco.

   Prima di dirigersi al Castello di La Muette, dove avrebbe trascorso la notte col marito, riuscì a scambiare due parole con l’amica del cuore:

   – Yolande… rincasando ho pensato di fermarmi a salutare il marchese di la Fayette…

   – Glielo dovete… se tornassero Fersen e Vaudreuil è anche grazie a lui. 

   Gilbert du Motier, marchese di La Fayette, ancor prima che la Francia entrasse in guerra, aveva solcato l’oceano nel 1777, disobbedendo agli ordini del re e lasciando una moglie incinta, per portare soccorso alla causa delle colonie inglesi in rivolta. Adesso rientrava a Parigi circondato dall’aureola della guerra d’indipendenza americana, soprattutto dopo la recente vittoria di Yorktown, in Virginia, conseguita dalle forze di Giorgio Washington, che aveva servito come generale restando ferito. 

    Anche se il tempo aveva placato il ricordo di Axel Fersen, Maria Antonietta associò a lui il militare slanciato che usciva dall’Hotel di Noailles: 

Marchese La Fayette quale grande onore – riceverlo sulla porta era un gesto di raro riguardo.

Il generale s’inchinò:

Maestà l’onore è solo mio… sono lieto di annunciarvi che la vittoria di Yorktown permetterà di negoziare una pace vantaggiosa.

“Volesse il cielo”- si augurò lei pensando a Fersen.  – Vi prego, venite sulla mia carrozza… ho molte domande da farvi… voglio sapere quello che succede nel nuovo mondo… torneranno presto i nostri soldati?

Abbiamo lottato perché l’America diventasse simbolo di libertà e tolleranza … ora il gioco è finito, il quinto atto è appena terminato – sentenziò la Fayette.

   Salendo in vettura il cuore della regina si colmò di speranza e Luigi XVI, seduto di fronte, riferendosi a un testo di gran moda, chiese curioso al militare:

Avete letto “La rivoluzione dell’America?” 

A Filadelfia non avevo il libro dell’abate Raynal…

Maria Antonietta s’intromise cambiando discorso.

Generale non dovete mancare al ballo in nostro onore… una festa così non l’avete mai vista…

Lo so… dicono che costi quanto l’equipaggiamento di un’intera spedizione! 

In altro frangente l’osservazione sarebbe suonata offensiva, ma il re e la regina pensarono che quell’uomo venisse proprio da “un mondo nuovo” e non c’era da farci caso. La folla di Parigi al passaggio della vettura con i gigli di Francia, riconoscendo al suo interno l’eroe , emozionata batteva le mani “Viva la Fayette! Viva la rivoluzione!”: nemmeno una volta inneggiò ai sovrani. Benché il militare provasse imbarazzo, la coppia reale non notò la mancanza di attenzione, credendosi osannata, rispose con soddisfazione e larghi, schiocchi, sorrisi di convenzione. In realtà l’innamoramento della collettività per il “divino monarca” stava esaurendo lo stimolo.

***

    

In una giornata di fine novembre, togliendosi il cappello firmato Rose Bertin, Madame Campan scese dal calesse davanti al castello di La Muette, dove la sovrana si era recata per la vaccinazione di Madame Royale, la figlioletta che ora aveva quattro anni. Con passo deciso si recò agli appartamenti di sua maestà:

Mi avete fatto chiamare?

Vi aspettavo… ho bisogno di un vostro consiglio… sedete vi prego.

Si adagiò compita. Maria Antonietta domandò:

Sapete della bancarotta della principessa di Guémené ? 

Posta a bruciapelo la questione suscitò ansia nella prima cameriera: era finito il tempo per cui onore e denaro spettavano a coloro che, servendo il re, avevano diritto a prestiti ingenti? Pensò al conte di Artois i cui debiti ammontavano a ventuno milioni e disse tremante:

Un fallimento di trentatré milioni di luigi… avranno curato l’agiatezza non sapendo che a tassi così alti non potevano pagare… il notaio è in prigione.

Meglio che affrontare i creditori – sospirò la regina – il punto, però non è questo… la principessa di Guémené è governante dei miei figli… dopo uno scandalo simile non può conservare un incarico tanto delicato… sono obbligata a licenziarla.

Madame Campan deglutì, solo un anno prima quella famiglia sembrava invulnerabile! 

La regina continuò:

Che ne pensate se la sostituissi con Yolande de Polignac? Mi piacerebbe tenere insieme i miei figli e l’amica…

Ma è un incarico adatto a lei? Sembra così indolente… – osò Madame Campan. 

Se acconsente, mi fornirà prova della devozione più grande…

E le invidie?

Quelle sì, mi fanno paura…

In capo a tre giorni però Maria Antonietta prese la decisione di sfidare la corte e Yolande De Polastron, duchessa di Polignac, divenne la nuova governante dei figli di Francia.

***

La camera matrimoniale aveva un ché di sinistro, o forse così sembrava a Luigi e Maria Antonietta. Obbligati in quella stanza a dar prova di sé, a tenere udienza, con responsabilità enormi di potere, ai due non pareva possibile realizzare tra le lenzuola la felicità: si ritrovavano lì  per dovere, ad appuntamenti fissi.

Non si vince una volta per sempre – disse il re quella notte alla consorte – monsieur il delfino non dà assicurazioni sulla sua salute… sembra una maledizione! Anche mio fratello Borgogna ha subito un destino che non meritava…

Per carità! Perché siete così pessimista?

Dobbiamo tutelarci con un altro figlio…

Luigi Giuseppe se la caverà… e poi c’è Yolande de Polignac…

La salute del piccolo non dipende da lei… la corte la odia per i troppi favori… solo a Versailles i Polignac hanno tredici stanze… voi sottovalutate i veleni…

Il suo quarto figlio è nato tre mesi dopo il nostro… con quel pensiero non voleva accettare l’incarico di governante! Avrò il diritto di scegliermi un’amica? Da quando è morta mia madre, mi sento sola.

Luigi XVI fece una pausa, la capiva e rispose rassegnato:

La morte di Maurepas è stata come la perdita di un padre…

Piangete il vostro mentore ma non avete voluto mio fratello come mediatore nelle trattative di pace con l’Inghilterra… Giuseppe II non è uno di famiglia?

Vi prego, non ricominciamo… – stanco delle rampogne il re si voltò dandogli le spalle.

*** 

   

    “Madama Tetta” la balia del piccolo Luigi Giuseppe, che si lamentava per misteriosi malesseri, stava cantando al delfino una ninna nanna che a lui piaceva molto 

Marlbrouck se ne va in guerra

Mirutun mirutun miruterra

Marlbrouck se ne va in guerra…

Chissà se tornerà!

   Appena smetteva il bambino, addormentato solo in apparenza, apriva di occhi e piagnucolava di nuovo. “Madame Tetta” era costretta ricominciare. 

    Quella canzoncina, che la donna aveva imparato nel suo villaggio, circolava con successo da quando a Versailles, il 20 gennaio 1783, era stato firmato l’armistizio con l’Inghilterra, perché prendeva in giro un generale inglese vissuto ai tempi di Luigi XIV. Parigi, inneggiava a Benjemin Franklin e a La Fayette augurandosi l’arrivo di un “mondo nuovo” . Rose Bertin, modista della regina, ebbe un gran da fare quell’anno a preparare la sfilata di carnevale con costumi ispirati proprio al generale Marlbrouck.

   Le abitudini furono dure a morire e il “mondo nuovo” purtroppo non si presentò: peccato, perché se avesse illuminato la corte, forse, l’avrebbe salvata dalla distruzione. I giorni a palazzo scorrevano monotoni, molto più di quello che la fantasia induce a credere, Maria Antonietta, nel fiore degli anni, si annoiava, sognando l’avvento di “un principe azzurro” come una ragazza qualsiasi, anzi, nei momenti di rigida etichetta, invidiava la normalità e la libertà di chiunque non fosse al suo posto. 

   Tuttavia dopo ogni inverno c’è sempre una primavera, finalmente l’estate giunse con i suoi profumi. Un giorno, la regina era seduta al Petit Trianon in giardino quando Yolande De Polignac arrivò di corsa:

   – Maestà, Fersen è sbarcato!

   Era il 17 giugno 1783.

***

    

Si erano dati appuntamento, come in passato, al Petit Trianon. La sovrana aveva chiamato Rose Bertin e Leonard perché la preparassero, ma nulla sembrava soddisfarla. Alla fine aveva scelto la pettinatura e l’abito più semplice.

– Altezza Reale – lui s’inchinò profondamente, il cuore gli batteva, non riusciva a guardarla negli occhi.

Conte Fersen, siete il benvenuto…. 

Yolande de Polignac ebbe un momento di esitazione: a un cenno della regina si dileguò.  Sua maestà lo trovava smagrito, segnato, ma molto più sensuale di quello che ricordava. Ora era un uomo, non più un ragazzo. Mancava da tre anni.

Ultimamente non mi avete più scritto… – disse lei

Non potevo…

Ho saputo che state per sposarvi…

Lui la guardò stupito:

Chi vi ha raccontato queste cose?

Con la figlia di Necker, Germaine…

Lo svedese stava per lasciarsi andare a un riso soddisfatto, lusingato che la disturbasse un suo eventuale matrimonio. Si chiese quali sentimenti provasse sua maestà. Non si erano mai confidati, ma nei loro occhi l’emozione esplodeva. 

Sciocchezze! – rispose Fersen – Sono alloggiato insieme al pretendente di Germaine, un barone svedese come me… Germaine diverrà madame de Staël.

Ci fu un silenzio molto lungo. Maria Antonietta lo guardò più calma:

Anche voi non date retta a tutte le stupidaggini che vengono diffuse… il re continua a far bruciare libelli calunniosi su di me…

Non so nulla, sono sbarcato da un altro mondo.

 “Grazie a Dio” – pensò la regina.

Hans Axel de Fersen aveva ventotto anni, come Maria Antonietta: un’età in cui capivano di non dover sprecare tempo, soprattutto visti i soggiorni precari del conte a Versailles. Questo figlio di papà, che poteva contare su un genitore facoltoso, senatore e feldmaresciallo di Gustavo III, re di Svezia, dopo aver rivisto la regina di Francia fu sicuro di doversi installare in quel paese. Lì aveva scoperto una felicità che non si poteva tradire. Quando lo comunicò a suo padre, la cosa non piacque al genitore ma Fersen, a costo di mollare ormeggi e sicurezza, non rinunciò al richiamo della prima corte d’Europa e della sua prima donna.

***

La notte era chiara e si sentivano le cicale al Petit Trianon. I campi profumavano. Fersen aveva lasciato in cortile il cavallo. Yolande lo aveva raggiunto e lo aveva guidato attraverso la porta di servizio. Non era il primo appuntamento con Maria Antonietta, entrambi sapevano che se non si fossero incontrati si sarebbero persi, perché l’amore non sopporta ripetute delusioni. Tre anni lunghissimi: bisognava rompere gli indugi. Fersen sarebbe tornato in guerra? La morte li avrebbe divisi? Paradossalmente, la regina aveva superato ogni remora proprio perché incinta. Le mestruazioni non le venivano da maggio ed era stato Luigi XVI a pretendere un nuovo delfino: dunque non correva il pericolo di mettere al mondo un figlio che non fosse del re.

 La principale preoccupazione di Maria Antonietta, quella notte, era se l’amante si sarebbe accorto del gonfiore del ventre. Fersen le si distese accanto, insinuò le mani sotto la sua vestaglia. Lei sussultò. Lui chiese turbato:

Non volete maestà?

Sì.

Si accarezzarono senza parlare. Il conte esordì:

Ho scritto a mio padre di concedermi centomila luigi per acquistare il reggimento degli svedesi reali… non mi sembrava molto d’accordo ma ha detto che me li darà… non voglio rientrare nel mio paese, sono contento che Germaine Necker abbia trovato marito e anche che miss Leyel si sia sposata…

Lei gli fece una carezza.

Anch’io sono contenta… sapete che potete contare su di me…. Diverrete colonnello del reggimento, firmerò di mio pugno…

– In questi giorni in Francia ho mandato all’aria tutti i miei progetti, sapete cosa ho scritto a mia sorella?

     Maria Antonietta lo scrutò ansiosa, lui si pose a sedere guardandola negli occhi:

Che non voglio contrarre legami coniugali perché non posso appartenere alla sola persona cui vorrei appartenere… quella che mi ama davvero…

Nello sguardo della regina di Francia brillava una lacrima, si spinse contro il suo ventre per accoglierlo:

Avete ragione Fersen, vi amo.

Maria Antonietta e Fersen secondo Sofia Coppola – Video

https://www.youtube.com/watch?v=3XiT9hDCsWQ

 

Condividi sui social

Articoli correlati