Andrea Carloni è un autore romano, un poeta e un esperto traduttore che ha curato l’edizione de “Le lettere a Nora”: l’epistolario sentimentale tra James Joyce e la sua adorata Nora Barnacle. Un’unione, la loro, consumata, per lo più, fuori dal matrimonio – la coppia si sposò alla fine della loro vita insieme – e ritenuta, pertanto, oltraggiosa e peccaminosa per l’epoca.
Le lettere d’amore raccolte nel volume edito da Alter Ego Edizioni, rispecchiano questa loro intimità senza inibizioni, rivelando, missiva dopo missiva, la vera personalità dell’autore dublinese, ricca d’idiosincrasie e contraddizioni, ma anche capace di grandi slanci passionali, soprattutto, nei confronti del suo unico vero amore: Nora Barnacle, compagna di vita, donna emancipata, madre dei suoi figli e spregiudicata “musa ispiratrice”. Per conoscere più a fondo questa storia d’amore “moderna” ante litteram, approfondiamo il testo con il curatore.
Con quale criterio ha selezionato le lettere di questa raccolta?
Ho voluto offrire una consistente selezione di corrispondenza fra James Joyce e Nora Barnacle, a partire dai testi curati in originale da Stuart Gilbert e Richard Ellmann fra il 1966 e il 1975 . Sono state escluse soltanto alcune lettere il cui contenuto ho ritenuto trascurabile, perché non apportava rilevanti contributi alla selezione stessa e al filo conduttore: la storia fra James e Nora. Il carteggio si concentra chiaramente negli anni in cui i due non si trovavano insieme, ovvero, in prevalenza: nel 1904, da giugno a ottobre, quando a Dublino si incontrarono e si frequentarono prima di lasciare assieme l’Irlanda; nel 1909 e nel 1912, quando essendosi stabiliti a Trieste si separarono per delle brevi visite a Dublino; nell’agosto 1917 in Svizzera, quando Nora aveva preceduto James nel trasferimento da Zurigo a Locarno.
Cosa ha apprezzato maggiormente in James Joyce?
La caparbietà e la perentoria dedizione con cui ha portato avanti la realizzazione del proprio essere “artista”, nonostante l’abbandono del proprio paese, le obiezioni degli editori e della censura, le continue difficoltà finanziare, i delicati e persistenti disagi fisici. In altre parole, penso che la sua ferma volontà di diventare se stesso sia stata fuori dal comune e desumo da ciò che non sia stato affatto facile vivergli accanto e non mi riferisco solo alla compagna Nora, ma a tutti i suoi familiari, amici, conoscenti e collaboratori. Era, infatti, una persona molto schietta, intransigente, talvolta inamovibile, e questo non ha giovato neppure alle complesse vicende editoriali che hanno ostacolato la pubblicazione dei suoi libri. Era capace di lavorare instancabilmente per 18 ore al giorno, senza nessun calo di attenzione: ritengo, pertanto che un individuo di tale talento – una volta rivoluzionata la letteratura con il suo operato – non poteva che consumarsi prematuramente, morendo, difatti, in pessime condizioni di salute a meno di sessant’anni.
Come definirebbe l’amore che ha unito James e Nora?
Un amore profondo, duraturo, complicato e discontinuo. Fin dai primi tempi, la coppia non visse una convivenza sempre tranquilla. Nora lo seguì in Europa, di città in città, di appartamento in appartamento, fra gente estranea, lingue sconosciute, ingenti debiti e sfratti. Joyce ha sempre voluto vivere oltre le proprie possibilità: elemosinava costantemente soldi dal fratello Stanislaus, dagli amici e dai suoi studenti e, una volta ottenuti, li spendeva subito in cene e biglietti per il teatro. Nora, pure, dal canto suo, era poco dedita alle faccende di casa e di conseguenza alimentava questa sua inclinazione. Joyce, d’altronde, non si faceva problemi a lasciarla sola, per dedicarsi a scorribande etiliche notturne in città o per tornare a Dublino per visitare la famiglia e risolvere, tra l’altro, le sue controverse questioni editoriali. Tuttavia, nonostante i dissapori, i disaccordi, i litigi e le minacce di lasciarsi, il loro sentimento fu reciprocamente intenso e passionale: probabilmente nessuno poteva capire Joyce tanto quanto Nora e il loro amore resistette fino alla morte di lui, nel 1882.
A chi consiglierebbe questa antologia?
Ho pensato di rivolgerla a tutti coloro che avrebbero sempre voluto avvicinarsi a Joyce, ma non hanno mai osato per via della reputazione di autore “oscuro” o “incomprensibile”. Forse, leggendo queste lettere, potranno incuriosirsi, prendendo confidenza con la condizione più umana, contraddittoria, vulnerabile e passionale della sua personalità. Le lettere sono, inoltre, corredate di un apparato di note che consente di riconoscere le vicende e le persone che facevano parte tanto della vita, quanto dell’arte di James Joyce: in lui, difatti, la scrittura ha sempre mantenuto un rapporto pressoché indissolubile con l’autobiografia. Le lettere si lasciano leggere senza difficoltà, pur rivelando l’unicità della cifra stilistica dell’autore dublinese.
Quale lettera le sta più a cuore?
Fra i molti passaggi che sarebbero da citare mi vengono in mente le considerazioni di James e Nora sull’Irlanda, la terra che decisero di abbandonare assieme, da giovani. Ebbero modo di tornarvi, anche separatamente, per brevi soggiorni ed ecco le conclusioni a cui giunsero in quelle occasioni; dalla lettera di James a Nora del 27/10/1909: «Detesto l’Irlanda e gli irlandesi. Loro stessi mi fissano per strada sebbene io sia nato in mezzo a loro. Forse hanno letto il mio odio nei miei occhi. Non vedo nulla in ogni dove se non l’immagine del prete adultero e dei suoi servi e delle donne astute e ingannevoli. Non mi fa bene venire qui o restare qui. Forse se tu fossi con me non soffrirei così tanto»; dalla lettera di Nora a James del 11/7/1912: «Mi sono già parecchio stancata dell’Irlanda […] mi sono molto stufata di Dublino è un posto orribile è proprio vero quando hai detto che mi sarei stancata presto». Lasciare Dublino fu la conditio sine qua non affinché i due potessero iniziare a vivere le proprie vite secondo le proprie aspirazioni.
Ha altri progetti editoriali in cantiere ?
Durante questo 2024, oltre alle Lettere a Nora (Alter Ego), sono uscite anche le Lettere contro la censura (Eretica) sulle complesse vicende editoriali di Dubliners (Gente di Dublino) e Ulysses (L’Ulisse) Allo stesso tempo, hanno visto luce delle pubblicazioni: come la traduzione delle Poesie di Thomas Ernest Hulme (Robin) e una raccolta di miei componimenti sperimentali intitolata FemminiciDio e altri stupri (Amazon). Tornando a Joyce, è imminente l’uscita della mia traduzione della sua seconda raccolta di poesie Pomes Penyeach / Po(e)mi da un penny (Samuele). Mentre, per una mia raccolta di componimenti poetici, ci sarà da attendere l’anno prossimo.
Come si definirebbe con un aggettivo?
A Joyce piaceva fare largo uso nei suoi libri degli aggettivi negativi costruiti col prefisso “un-”. Ne approfitto allora per proporne uno anch’io: “uneventful”, che potrebbe, in italiano, tradursi come “privo di eventi” o “senza incidenti” o “non movimentato”. In effetti, da sempre tendo a tenermi lontano dagli eventi e, laddove ne abbia fatto parte, ne sono spesso rimasto deluso. Per “evento” intendo tutto ciò che oggi viene ripetutamente e massicciamente presentato come un momento d’irrinunciabile partecipazione e condivisione. Credo che non sia una cattiva idea, ogni tanto, guardare agli eventi con una certa diffidenza e sottrarsi a essi, a discapito della volontà di onnipresenza.