Quella che verrà

Sabato mattina 2014, fuori fa caldo, quaranta gradi. Decido di restare seduto sul divano con il ventilatore acceso. Le pale smuovono l’aria. Prendo il telecomando, accendo la televisione e vedo un servizio del TG che parla di una nuova protesta contro le riforme volute dal governo Berlusconi! Viaggio con la testa, lontano dal lavoro, dalle bollette da pagare, dalle altre persone, da me!

Avevo 14 anni, ero uno studente modello, e ricordo le proteste contro le politiche scolastiche del primo governo Berlusconi.                                                                                                                           Avevo il compito in classe di matematica, ma all’entrata un ragazzo più grande mi ferma, mi porge un volantino.                                                                                                                                              
“Piccoletto, guarda qua. Non sei neanche entrato che ti cambiano le cose! Ci rubano il futuro”.
Mi rimase in testa solo una parola: futuro. Avevo 14 anni e devevo già pensare al mio futuro?
Poi un’assemblea improvvisata con fischi ad ogni professore che ci chiedeva di entrare e di farla finita, passammo ad occupare. Un mese iniziato con la voglia di essere grandi, di dimostrare di poter fare gruppo, di poterci autoformare. Un mese finito con dei corsi di educazione sessuale fatti di racconti fantastici, di pettegolezzi e di tentativi di approccio andati a male con le poche ragazze presenti. Tornammo in classe col rimprovero dei nostri genitori e con le regole cambiate.

Pensando al mio futuro, ricordo di essere cresciuto e di essermi trovato nel mezzo della riforma universitaria di un altro governo Berlusconi.
Avevo scelto Ingegneria…forse proprio grazie a quel ragazzo che parlò per primo del mio domani.
“Ma che fai? Sei matto!”
Me lo dicevano tutti. Ma ero sicuro: ce la potevo fare! I miei avevano faticato per mantenermi fino a quel punto. La laurea doveva essere la porta d’accesso al mondo del lavoro. Più difficile fosse, più probabilità avevo di ripagare tutte le persone che credevano in me.
L’impatto era stato difficile, ho subito scoperto il sapore della bocciatura e sono sceso con i piedi per terra. Frequentavo la mattina, consegnavo la posta il pomeriggio ed uscivo la sera.
Il tempo di trovare un equilibrio e anche qui qualcosa è cambiato.
Un ciclone investì la mia Facoltà e tutte le altre. I corsi si quintuplicarono, gli esami si triplicarono e il traguardo della Laurea cambiò posizione. Passai dal Vecchio Ordinamento al Nuovo e il gigante che mi attendeva furioso, la fine degli studi, divenne un gigante di Primo Livello. Per entrare nel mondo dell’Ingegneria ne avrei dovuto superare un altro, di secondo livello. Non incontrai studenti più grandi pronti ad invitarmi a manifestare. Non so nemmeno se lo avrei fatto, ma nelle pause tra un corso e l’altro mi affaciavo a Lettere e vedevo ragazzi come me che non la mandavano giù. Che volevano fare qualcosa, ma non sapevano bene cosa. Occorreva tempo, forza e spensieratezza…
Alla fine ci furono proteste, ma niente, nulla fermò l’ennesimo cambiamento che spiazzava la mia generazione.

Ad un tratto mi sono svegliato quasi “adulto”, laureato e ridotto in un callcenter. Un contratto a progetto, dove se non vendi un abbonamento non guadagni un soldo. I miei amici si dicevano di sinistra, ma non so come abbiano fatto ad andare avanti, senza lavorare. Volevo sindacalizzarmi, ma non ho trovato nessuno.
I colleghi mi ripetevano:
“Siamo in un magazzino, lontano dal mondo, ma chi vuoi che ci caghi?”
Mi feci forza, pensai che era la gavetta, che era un lavoro di passaggio. Che non dovevo mollare.
In piazza erano cambiati i tempi, i modi, i numeri della protesta. Non c’era più un Movimento No Global capace di attirare milioni di persone. Le proteste erano meno compatte, forse di più, ma con meno presenze per ogni manifestazione. Si presentavano come gocce d’acqua che non bagnavano. Cento cassaintegrati di qua, qualche migliaia di studenti di là. Venti cittadini sotto il Comune, due operai su una gru. Per quelli come me non c’era più l’opportunità di farsi sentire. Di compiere il rito del battesimo della contestazione. Stavo perdendo il mio status di giovane e per tutti dovevo abbassare la testa e sentirmi fortunato.
“Hai studiato! Beato te!”.                                                                                                                              
“Lavori! Ma che vuoi di più? Pazienza, c’è chi sta peggio”.
“Non sei mai stato ad una manifestazione, ora non ti lamentare!”.
Leggevo i giornali e cercavo i motivi delle tante, piccole proteste: erano per le riforme del lavoro, il precariato, gli stipendi. Ma tutte avevano un colore politico, sindacale, che non mi apparteneva. Mi aveva tradito sul nascere. E se i miei amici si ritrovavano assieme contro Berlusconi, io mi imbattevo in un sistema più complicato. Che non poteva aver messo su il solo Berlusconi. Non avevo voce, non avevo la possibilità di fare meglio di quello che stavo facendo. Eppure io la voce l’ho sempre avuta! Le mie idee le ho sempre dette, le ho sempre “manifestate” ma non le ho mai portate in piazza.

Mi sveglio questa mattina, con un altro lavoro, sposato e col mutuo da pagare. Fuori le cose sono ancora uguali! Corre l’anno 2014, le elezioni hanno visto rieleggere Berlusconi. E’ il mio solo giorno libero ed è un film già visto. Alle riforme rispondono delle proteste, ma vincono sempre le prime. Sono io che dormo troppo poco o sono le cose che non cambiano mai? Non lo so, forse chi comanda è troppo potente?

Diventerò padre, non ci saranno ostacoli, per quella che verrà, io ci sarò.

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