La mezzanotte di Michael Jackson – racconto trentunesimo

Il 3 febbraio 2003 la rete televisiva inglese ITV mandò in onda nel Regno Unito il documentario di Martin Bashir  “Living with Michael Jackson”  e  dal 6 all’8 febbraio venne trasmesso da ABC negli Stati Uniti. 

Michael aveva spalancato al giornalista anglo-pakistano i cancelli di Neverland, come Lady Diana gli aveva aperto il suo castello, si era fidato perché Bashir era famoso e autorevole, ma molti  amici della popstar  ritennero questa mossa la più scellerata  che Michael potesse fare per la sua carriera, per la sua stessa vita. A sollevare scandalo non furono solo le  ingenue ammissioni di invitare bambini nel suo letto,   proposito espresso con candore anche a “Prime time” nel 1995 durante l’intervista insieme a Lisa Marie Presley (vedi racconto 25) , ma altresì la spesa folle e capricciosa di sei milioni di dollari in un negozio di Las Vegas, dove il cantante aveva affittato sette suite di un grande albergo:  per i molti squattrinati uno schiaffo in piena faccia.

Gavin Arvizio che aveva trepidato nell’attesa di vedersi in TV a fianco della star, rimase malissimo quando i suoi amici, non senza invidia,  iniziarono a prenderlo in giro:
–  Sembravate due piccioni…  fate l’amore tu e Wacko Jacko? – gli gridarono i  compagni di scuola. Gavin li strattonò e finirono per pestarsi sonoramente.  Il piccolo Arvizo tornò a casa graffiato e ammaccato e  piangendo raccontò tutto a sua madre Janet.  Si sentì a lungo depresso e solo,  lo zimbello della classe e dei vicini. In pubblico mostrò di essere molto arrabbiato per le affermazioni infondate e  per i pettegolezzi: “Mi hanno dato dell’omosessuale” – dichiarò Gavin – “Hanno detto che sono un bugiardo e che non ho nemmeno avuto il cancro. Insomma, dai! Ho sofferto tutto l’anno per dosi massicce di chemioterapia. La chemioterapia è velenosa. Fa male. Vomitavo così tanto, vomitavo acido, vomitavo sangue. E i reporter e tutti gli altri dicono che non è mai successo”.

Dopo la   messa in onda di “Living with Michael Jackson”  il re del pop era di nuovo su molte prime pagine raffigurato come “pazzoide”, “wacko”,  mostro.  –  Mi hanno pugnalato ancora! – urlava Michael, riuscendo a contenere l’angoscia solo con dosi massicce di tranquillanti.  Il suo ufficio stampa divenne un megafono per il pubblico ma non contento dei comunicati diffusi, la popstar ne buttò giù uno di suo pugno dove, tra l’altro, diceva:    “Oggi mi sento più tradito che mai; che qualcuno, al quale ho dato la possibilità di conoscere i miei figli, il mio staff e me stesso aprendogli il cuore e dicendo la verità, possa poi aver sacrificato la fede che avevo riposto in lui per produrre un così terribile e poco realistico documentario. Tutti quelli che mi conoscono sanno la verità, che i miei figli vengono prima di tutto nella mia vita e che mai farei del male ad alcun bambino”.  Non solo, per contrastare il filmato,  venne realizzato una sorta di controdocumentario “Michael Jackson take two: the interview they wouldn ‘t  show you”,  “Michael Jackson parte due: l’intervista che non vi hanno mostrato” – utilizzando materiale girato ma non usato dal giornalista,  e quello del cameramen della  star  che aveva seguito passo passo tutte le riprese .

***

In quel periodo, una mattina in cui  Michael era a letto, sonnecchiante e confuso, una cameriera  portò un vassoio sul quale stava la busta di uno studio legale.  Il re del pop pensò che era importante, visto che disturbavano il suo risveglio,  l’aprì e lesse: seppe che Myung Ho Lee, che aveva curato i suoi affari, direttore della Union Finance and Investment,  lo aveva denunciato e  ora gli rimproverava di non saldare conti e bollette, di non aver onorato stipendi per dodici milioni di dollari. Diceva anche che la Bank of America, tra il 1998 e il 2000, gli aveva prestato ben 192 milioni. Michael sospirò pensando che nel 2002, per ragioni fiscali, anche la “Heal the world”, l’organizzazione benefica che aveva fondato, era stata chiusa.  Periodo durissimo per lui, e non solo dal punto di vista economico: aveva più debiti che guadagni e, a causa della salute precaria,  non sempre riusciva a mantenere gli impegni.  Dieter  Weisner, suo consulente e manager dal 1996 al 2003,  molto preoccupato per le sue condizioni fisiche  e per le sue finanze,  asseriva che Michael a quel tempo non era in grado di firmare alcun documento perché era sempre “strafatto”.

Il cantante si girò su un fianco lasciando cadere la lettera dell’avvocato: “Tutto sta crollando”, mormorò mentre lacrime gli rigavano le guance. Stava male,  non sapeva come fermare il dolore del corpo  e dell’anima. La sua depressione si aggravava, cercava di tamponarla con farmaci peggiorando la sua condizione. Appartiene a quel tempo il colloquio con un legale, avuto proprio in preparazione di un processo,    nel quale ammette di fare uso di antidolorifici. Dichiarazioni non nuove,  perché nel 1993  aveva raccontato di un ricovero per disintossicarsi nel video  a sua discolpa sul caso Chandler (vedi racconto 22). I sottotitoli italiani della clip che vi proponiamo  appaiono premendo sull’icona CC  in basso a destra.

Michael parla della dipendenza dagli antidolorifici

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Il colpo di grazia definitivo arrivò nell’inverno del 2003:  come l’incantesimo per Cenerentola finiva allo scoccare della mezzanotte,  quello fu il momento in cui  la fiaba di Michael Jackson si trasformò tragedia.  Il 18 novembre settanta agenti della polizia di Santa Barbara fecero ancora una volta irruzione a Neverland per perquisire la sua reggia. Lo aveva denunciato Janet Arvizio, madre di Gavin che ora aveva tredici anni, perché sosteneva, senza supportarlo con prove, che il cantante avesse commesso “atti osceni ed immorali” servendosi del corpo di suo figlio “o di parti di esso con l’intento di soddisfare i propri desideri sessuali”. Nel ranch la polizia trovò riviste a contenuto erotico, sequestrò tre computer, tra cui quello personale della popstar,  dove furono rinvenute tracce d’accesso a siti  hard, anche se non a carattere pedopornografico.

Il mandato d’arresto gli venne formalizzato il 20 novembre, mentre era a Las Vegas per la clip di “One more chance”, singolo della raccolta di successi compresi nell’album “Number one”. Blazer nero e maglietta rossa, teso in volto, Michael partì insieme all’avvocato Mark Geragos e in aereo, a insaputa dei passeggeri, fu girato un filmato, che non fu mai diffuso a causa di controversie legali. Quando il jet atterrò sulla pista la star non provò il sollievo che, a volte, l’aveva portato a battere le mani per  scampato pericolo:  “se precipitava era meglio”, disse tra sé. Appena messo il piede a terra  Michael riconobbe Tom Sneddon, lo stesso procuratore distrettuale del caso Chandler.  Il re del pop fu prelevato dagli agenti, lo ammanettarono e lo trasportarono negli uffici dello sceriffo della contea.   Sistemato contro un pannello,  gli furono scattate foto segnaletiche con il numero identificativo  #621785.  Nome: Jackson Michael, Razza: nera,  Sesso: maschile, Data di nascita: 29-8-1958,  Altezza: 1,78,  Peso: 120 Wgt (54,5 kg), Capelli: neri, Occhi: bruni

In carcere Michael si chiese se ciò che gli accadeva fosse reale, ebbe l’impressione di sognare, pensò alla sua morte, come sempre più spesso, sentì paura, molta paura, per non aver con se i farmaci con cui calmarsi, stordirsi, dormire.L’incubò fini dopo un tempo che a lui sembrò eterno.
Sei salvo! E’ stata pagata la cauzione… – disse il suo avvocato arrivando di corsa.
Quanto? – chiese Jacko
Tre milioni di dollari…
Sono davvero libero?
Non scherzare…
A Michael girava la testa, non era sicuro di niente, nemmeno di esistere, aveva un terribile dolore alla schiena, l’ansia gli chiudeva la gola: riposare, dormire, piangere, morire, questo il problema. Ma lasciando lo stabile della polizia, scorgendo i reporter, si fece forza ancora una volta e atteggiò le dita nel segno della vittoria: tra la sua anima e l’immagine pubblica non c’era accordo. Salì in macchina. Squillò il cellulare e il portavoce Stuart Backerman  disse:
–   Voglio leggerti il comunicato da diramare…
–   Ti ascolto… –   Jacko aveva  un filo di voce
–   “Michael non farebbe mai del male ad un bambino – disse il portavoce – La falsità di queste accuse totalmente infondate sarà dimostrata in tribunale…”
Il re del pop chiuse gli occhi.

***

Non molto dopo, sprofondato sui divani di Neverland, isola violata che non amava più,  casa nella quale si sentiva accerchiato, gli capitò di ascoltare suo fratello Jermaine dichiarare alla Cnn: “Questa è una forma moderna di linciaggio. La nostra famiglia sostiene Michael al mille per cento. Stanno cercando di distruggerlo sfruttando una delle cose più dolci della sua vita: l’amore per i bambini”.
I suoi  avevano fatto quadrato,   temevano la sua morte e a fatica riuscivano a nascondere la tragica realtà agli occhi del pubblico.  Quel giorno sua madre,  ai piedi del letto,  gli aveva tenuto la fronte mentre ansimava e sudava, dilaniato dalla “scimmia”  che gli mangiava la schiena. Un medico, in silenzio, lo seguiva passo passo, dosava i farmaci,  entrava, usciva dalla stanza, non parlava. Lui e Katherine speravano nel miracolo: di un luminare, di un Dio, di un destino non previsto, volevano vivere. La mamma, il volto severo e invecchiato, sorrise dolorosa:
Devi farti ricoverare, rischi di morire…
Mamma  so quel che faccio… ho sempre un dottore con me…  qui  hanno scoperto un locale al quale si accede dalla mia stanza con un passaggio segreto… ne hanno fatto un problema anche se  l’avevano  già visto dieci anni fa… perché mi perseguitano?
Pensa a curarti… manda via tutte le sanguisughe che ti girano attorno.
Voglio andare via da questa casa…
Devi liberarti degli sfruttatori e del veleno che prendi…
E’  quello che sto facendo…
Ma devi liberartene per sempre!
Oh, mamma…. finiscila…
Ti faccio portare una tazza di brodo?
Abbracciami…
Katherine si avvicinò: si strinsero, piansero,  formularono un voto, avevano bisogno di quella fede incrollabile che sostiene contro ogni evidenza.   Seduti su un trono senza regno,  pregarono come mai era accaduto.

***

Il 19 dicembre 2003 arrivò l’incriminazione ufficiale. Dieci i capi d’accusa. Sette per atti di lascivia nei riguardi di un minore, tre per la somministrazione di alcol a un bambino a scopi ambigui. Poco prima del processo il cantante comparve in TV  intervistato da Ed Bradley e si scagliò contro la polizia :“Mi hanno maltrattato – disse – mi hanno slogato la spalla, mi fa male, non posso dormire la notte”.  I più  furono esterefatti. Il rabbino Shmuley Boteach   che vide il programma, perplesso, si chiese se il suo senso della realtà fosse compromesso. Il suo manager Dieter Weisner, quando lo apprese, ricordò come in quel periodo fosse  alterato da non riuscire a sollevare una forchetta: “Michael sta morendo”,  mormorò e quella certezza fu un pugno allo stomaco . Lo sceriffo di Santa Barbara pensò che delirava e irato dichiarò alla stampa:  “Se le lagnanze di Jackson risultassero infondate, sarà incriminato per false dichiarazioni!”

L’ udienza preliminare era fissata per il 14 febbraio 2004. L’ira dei fan fu un’onda sollevò il mondo, lo fece ruotare e percorse,  a più echi e per più giorni, il tam-tam della rete. Sul capo del procuratore distrettuale Tom Sneddon fioccarono minacce tali da costringerlo a comprarsi un fucile, avere una scorta,  studiare un piano di difesa con un nucleo specializzato. Il processo si profilava quale luna park mediatico di sanguinarie meraviglie, folle di curiosi affluivano come le “tricoteuses” francesi ai patiboli della rivoluzione. E   il singolo “One more chance”,  partito in sordina,  ora scalava vertiginosamente le classifiche: tanta  pubblicità sinistra corroborava la musica del re del pop che, invece,  tragicamente stava rischiando 28 anni di carcere e pensava al suicidio come fine di ogni dolore.

Michael Jackson – One more chance – 2003

(continua)

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