Jacko e la spogliarellista. Racconto secondo

A Gary, dietro la casetta dei Jackson,  dove ormai in  tre stanze abitavano in undici perché nel 1961 erano nati Randy e nel 1966 Janet,  c’era un campo di baseball: quasi tutti i pomeriggi i ragazzini si trovavano li per giocare e mangiare pop-corn. Le loro grida arrivavano alte,  si rincorrevano, saltavano, si picchiavano ridendo. Guardandoli dalla finestra del piano terra Michael pensava a uno stormo di uccelli e li invidiava.

Lui, obbligato al chiuso per far musica, si sentiva in gabbia. A volte gli amici lo chiamavano:
–    Michael ne manca uno, entri tu?
–    Non posso, tra un po’ arriva mio padre…
–    Fuck off!

Jacko tornava al  lavoro. Da bambino non capiva molto di quello che stesse facendo né perché, però  cantare era la sua passione e questo lo ripagava. Inoltre , se lui e i  fratelli non si fossero esercitati, suo padre sarebbe andato su tutte le furie. Nel salotto di casa  i piccoli Jackson provavano e riprovavano chitarra, batteria,  basso, bongo, tamburelli. Jacko la voce e i passi di danza, talmente naturali da inventarseli.

Un giorno, dopo averlo ammirato in una esibizione, Jackie gli si avvicinò e disse:
–    Mike sei proprio un “dancemonster!”
–    Diventerà anche un grande cantante  – si accodò la madre compiaciuta.
–    Più mostro che ballerino – lo canzonò Tito
–    Tutta invidia! –  Jacko gli diede un calcio
In fondo era vero che i fratelli lo invidiavano: lui attirava l’attenzione perché era il più giovane e il più dotato. Michael ricordava a cinque anni il primo concerto al Big Top, centro commerciale di Gary:  quando si erano piazzati in mezzo al corridoio, tra la gente che andava e veniva,  si era formato un capannello enorme, che batteva le mani e dava monetine. Michael godeva dell’ammirazione e dello sbalordimento dei clienti che avevano occhi solo per lui. Cresciuto con quel gusto, non avrebbe più potuto farne a meno: essere al centro dell’attenzione  era  la sola soddisfazione che aveva.  Giocare gli sarebbe piaciuto ma,  a malincuore e sentendosi sfruttato, vi rinunciava..  Molto più tardi,  Childhood,  una canzone sulle sue prime esperienze, parlava di quei sentimenti con parole illuminanti per capire Michael Jackson:

Avete visto la mia infanzia?
Sto cercando il mondo dal quale provengo,
 è un po’ che cerco
tra gli oggetti smarriti del mio cuore.
Nessuno mi capisce,
pensano siano stranezze eccentriche
perché continuo a scherzare            
come un bambino.
La gente dice che non sono a posto
perché amo le cose semplici…
Vi sono stato costretto per compensare
l’infanzia che non ho mai avuto.
Avete visto la mia infanzia?
Cerco il senso di meraviglia della gioventù,
i pirati e i sogni avventurosi,
sogni di conquista, di re sul trono…
Prima di giudicarmi cercate di amarmi,
guardate dentro il vostro cuore e interrogatevi.
Avete visto la mia infanzia?
Cerco il senso di meraviglia della gioventù
con storie fantastiche da raccontarsi,
sogni in cui si osa, guardatemi volare.

Michael Jackson – Childhood

***      

Se non avesse sentito la musica nel sangue non avrebbe retto quei ritmi faticosi. Joe, sempre più convinto che i figli fossero una gallina dalle uova d’oro, stava loro col fiato sul collo. Era un  allenatore esigente. L’uomo aveva lasciato il lavoro di gruista per diventare il loro manager, puntava tutto sui ragazzi,  non sopportava nessuna trasgressione alla regola.

Un pomeriggio d’estate, quando la famiglia era riunita per esercitarsi suo padre, constatando che Michael era in ritardo di un quarto d’ora,  si innervosì:
–     Dov’è quella testa di cavolo?
–    Adesso arriva – disse Jermaine – si sarà fermato a scuola.
–    Quante volte devo ripetere che gli orari vanno rispettati?
Jacko in quel momento entrò in silenzio, poggiò la cartella sul tavolo, tirò su le maniche e si mise in posizione davanti ai fratelli.
–    Allora? – chiese Joe
–    Cosa?
–    Nasone, arrivi adesso?
–    Smettila di chiamarmi così!
–    Ritardi perché  ti pesa il naso?!
–    Non voglio più cantare  – urlò Michael scappando via.
Suo padre lo rincorse mentre infilava la camera da letto dei genitori per nascondersi sotto il lettone, lo afferrò per un piede, lo trascinò fuori, lo sollevò  e lo lasciò penzolare.
–    Basta pa’…
–    Lo dico io basta! – Joe lo lasciò cadere sul materasso.  Prima che Michael avesse tempo di realizzare  una cinghiata gli lasciò il segno.

***                                                                    

Il Mr Lucky’s Lounge era un bar ristorante di Gary dove si tenevano spettacoli di cabaret e di steaptease. I Jackson 5 vi suonavano cinque o sei sere a settimana e Joe passava tra gli spettatori seduti in penombra con il cappello in mano. I ragazzi si esibivano illegalmente perché, in quanto minorenni, non avrebbero potuto entrare in locali dove servivano alcolici. La questua rendeva bene, i clienti erano gentili. Al suono di un motivo di Joe Tex  “Gambe secche e anche il resto”, Michael faceva la gag di infilarsi sotto i tavoli,  alzava  le sottane delle donne e il pubblico applaudiva divertito, scoppiando a ridere.

Una notte al Mr Lucky’s Lounge,  accadde un fatto che lo marchiò a vita e che probabilmente ha avuto peso nel determinare le sue inclinazioni sessuali.  Sul tardi,  al centro di un fiotto di luce, c’era uno spettacolo di spogliarello . Quella volta si esibì una donna davvero procace e gli uomini gridavano. Un tipo muscoloso a un tratto le lanciò un biglietto da cinquanta dollari.  Lei  lo raccolse e gli tirò un guanto. Quando le cadde l’ultima foglia di fico,  il cow-boy  col suo metro e novanta,  balzò sul palco, la prese per la vita e si avventò in quello che a Jacko sembrò un corpo a corpo. “Cosa fanno?!” si chiese allibito. Aveva paura eppure non staccò gli occhi. Per un bambino di nove anni quel sesso crudo era un pugno in pieno stomaco: quando smisero provò uno schifo  tale che si sentì sporco e pensò che in quel posto non avrebbe più voluto cantare.    Appena furono a letto chiese angosciato a suo fratello:
–    Jermaine  hai mai fatto quelle cose?
–    Si fanno quando si è grandi….
–    Non voglio diventare grande… io non lo farò mai…

***  

I Testimoni di Geova tengono moltissimo alla moralità, condannando apertamente i rapporti sessuali prematrimoniali, l’adulterio e i rapporti omosessuali: chi trasgredisce e non si pente viene espulso dalla comunità. In casa Jackson c’era conflitto tra la madre,  che era una testimone osservante e il padre, donnaiolo,  gaudente, che ogni notte portava fuori i figli. Le discussioni in famiglia erano accese, soprattutto a tavola, quando la povera Katherine doveva preparare per undici.
–  Ancora mais Joe?
–  No, non sa di niente…
–  Perché non ti fai servire da una sgualdrina del night?
–  Smettila!
–  Sono preoccupata per i bambini! Michael ha solo nove anni, non sta bene che vada a dormire così tardi…
–  E’ proprio pensando al futuro dei ragazzi che faccio questo!
–  Ma se  sei stato accusato di sfruttamento!   Vuoi vedertela col tribunale dei minori?! Non va bene che così piccoli frequentino gente di malaffare…
–  Quale malaffare?! Chiudi quella boccaccia. Guarda che cosa sono stato capace di ottenere invece dalla Steeltown!
Tutti ammutolirono.
–    Un  contratto! – urlò Joe e buttò i fogli sul tavolo.

Gordon Keith, proprietario della  Steeltown, letteralmente “Città d’acciaio” perché era un’etichetta discografica con sede nella siderurgica Gary, nel 1967 fece firmare a Joe Jackson il primo contratto dei Jackson 5. Con la Steeltowm  incisero alcuni singoli. Esordirono con  “Big boy” nel quale la voce infantile di Michael  aveva tutto il fascino che avrebbe deciso il suo destino.

Michael Jackson – Big boy

(continua)

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