Michael Jackson, le lacrime vere – racconto nono

Alla fine degli anni ’70 The Jackson erano un complesso sulla cresta dell’onda, che suscitava la curiosità e la morbosità popolare.  Katherine Jackson, orgogliosa, li elogiava in televisione, dove veniva intervistata soprattutto quando il quintetto non accettava di farlo. Quel giorno Michael la guardava disteso sul letto dell’albergo che lo ospitava durante una  tournée.

Michael è un ragazzo modello – diceva in video sua madre –   non fuma, non beve, non ha mai avuto niente a che fare con le droghe e con il sesso, è un tipo molto religioso, crede in Dio molto più dei suoi fratelli. E’ un ragazzo molto equilibrato, e questo credo che dipenda dal modo in cui è stato educato. Da quando è diventato famoso è il bersaglio delle male lingue…
Basta… – mormorò il ragazzo immaginando dove andava a parare.
Chi dice che Michael è gay – continuò Katherine – dice una bestemmia: lui non può esserlo perché sarebbe contro la religione, contro Dio, e la Bibbia parla chiaro!
Falla finita! – Jacko si rizzò a sedere.
Il segreti sessuali delle persone importanti sono quelli cui tutti aspirano, perché violare questo tabù significa umanizzarle e detronizzarle. In quel periodo le lettere dei fan che gli ponevano la stessa domanda erano tante e il re del pop, inviperito, non voleva si rispondesse. “La vita privata è mia” – sosteneva – “il pubblico finisce con le canzoni”. Era molto geloso della sua intimità,  soprattutto perché la rigidità della madre ormai era parte di lui.

Jacko continuava ad abitare a Encino, nella comoda casa di famiglia, fragile e bisognoso di protezione,  da solo sarebbe morto di solitudine. A quel tempo si interessava ai lavori di ristrutturazione di Hayvenhurst,  fatti anche per accogliere quanti più animali possibile: il cantante voleva un nugolo di pavoni perché bellissimi e soprattutto vanitosi  come lui, come lo sono in fondo tutte le star. I giornalisti  invece insistevano a chiedergli se era vero che flirtasse con l’attrice Tatum O’Neal, proprio perché non lo avevano mai visto accanto a nessuna. Alla fine Michael finì per confermare: un modo come un altro per togliere di mezzo la seccatura di dover render conto della sua intimità. Quel giorno però, mentre sfogliava un rotocalco specializzato in gossip, sotto una foto di Tatum lesse quanto aveva dichiarato lei: “Una relazione con Michael Jackson sarebbe impossibile,  è timido al punto che non riesce a rivolgermi la parola”.
Lui sbuffò, fece spallucce, andò verso il pappagallo e gli sillabò:
Michael scopa con chi gli pare…
Gli pare – ripeté la bestiola
Sei l’unico che mi capisce – e uscì dalla stanza.

***

Michael Jackson, malgrado il successo, continuava a sentirsi un diverso. La sua pelle nera era un marchio di inferiorità: la prestigiosa rivista  “Rolling Stones” non aveva mai voluto dedicare una copertina ai Jacksons perché erano afroamericani. MTV, l’emittente di musica giovane che sbandierava la pace e l’amore, aveva molte remore a mandare in onda video con artisti neri. Il razzismo, non dichiarato apertamente, era nell’inconscio collettivo. Jacko ne soffriva tantissimo, anche perché non si accettava per primo lui stesso.

Nel 1979  lo chiamarono a girare “Wiz”, un film nel quale tutti gli interpreti erano neri: si trattava della rivisitazione cinematografica del musical “Il Mago di Oz”. Nel cast c’era anche Diana Ross. A Jacko pensarono di assegnare la parte dello spaventapasseri. Il re del pop era contento di dover recitare camuffato e con tanto cerone sul viso che  copriva l’acne dalla quale si sentiva sfigurato. Sul set Michael quel giorno doveva leggere una citazione di Socrate.
–  Ecco cosa  dice  Socr-e- i- t…. – sentenziò ispirato con  voce adamantina
Seguì una risata generale,  il ragazzo si guardò intorno ma era accecato dai riflettori.
Lo devi leggere in greco…. Socrate… – disse qualcuno
Non riuscì  a distinguere chi fosse l’uomo che aveva parlato. L’altro si avvicinò e gli tese la mano.
Piacere … sono Quincy Jones.
Musicista, compositore, arrangiatore, produttore discografico, direttore musicale, produttore e attore cinematografico e televisivo, il primo afroamericano a comporre colonne sonore originali per Hollywood, anche quella di Wiz. Probabilmente molti di coloro che non hanno mai sentito nominare Quincy Jones,  hanno ascoltato almeno un brano scritto o prodotto da lui. Nacque così tra i due, in quell’esatto frangente, dopo quella battuta passata alla storia, una simpatia che il tempo consoliderà in un rapporto che rappresenterà per Michael quello col padre mai avuto.

Quando il film fu terminato Jacko, che ormai con Quincy aveva preso confidenza,  mirando da tempo unicamente ad emergere come solista, ansioso di liberarsi della pressione e dell’invidia dei fratelli,  pensò di chiedere all’amico consiglio. Gli telefonò un giorno civettando disteso sul  letto:
Qiù… sono Michael… hai idea a quale produttore discografico mi potrei rivolgere per incidere un disco? Uno solo mio…
Quincy Jones emise un risolino.
Mi stai prendendo in giro?
Perché?
Ti vergogni a chiedermi di produrlo?
Seguì una pausa.
Non avevo pensato a questo – rispose Jacko con sincerità.
Parliamone.

In quel momento nacque tra i due un sodalizio fruttuoso, un lavoro esaltante che condusse Michael e Quincy a un long-playng dal quale venne estratto il brano “Off the wall”, sul quale Jacko si fece fotografare con calzini bianchi e luccicanti sotto lo smoking:  segno distintivo che gli piaceva molto. Autentico biglietto da visita di una stagione inedita. Il singolo vendette sette milioni di copie.  Jacko non aveva mai raggiunto un simile traguardo con i fratelli, il solista Michael Jackson scaldava i polmoni per decollare.

Michael Jackson – Off the wall

***

Suo padre, sentendosi messo da parte, non si congratulò di quel successo, del resto era anche sinceramente convinto che la famiglia avrebbe raggiunto la prosperità sole se unita. Curava ancora gli interessi economici del figlio, sebbene adesso a Jacko la cosa non andasse giù. Una sera discussero animatamente nel camerino del ragazzo.
La vuoi smettere con queste smanie soliste? – protestava Joe –  I tuoi fratelli ci hanno provato tutti senza concludere niente… Jermaine, Tito, Marlon , Jackie… per Jackie è stato meglio così …
Non hanno venduto quanto me… – precisò Michael
Ma è l’unione che fa la forza…  ricordati che prima vengono i Jackson e dopo tu…
Quando suo padre uscì Jacko si sentì alleggerito da un peso. Finì di leggere l’intervista rilasciata dal genitore a un magazine popolare:  “Il mio compito – dichiarava suo padre – è quello di tenere i miei ragazzi in riga, lontani da strane tentazioni. Sono il loro tutore, il loro guardiano, e loro mi danno retta al cento per cento. Lo show business è pieno di pericoli e schifezze, molti vorrebbero ingannare o fare del male ai miei ragazzi, distruggere l’armonia della nostra famiglia… ” Michael distolse lo sguardo, sospirò, la rivista gli cadde di mano e non la raccolse.

***

Quando stava sul palcoscenico Jacko si sentiva nel suo elemento. Una volta calato il sipario era un pesce fuor d’acqua. L’idea di essere solo di fronte alla folla, di dovere affrontare la popolarità, lo aveva angosciato sin da bambino: dopo gli spettacoli i suoi fratelli si  tiravano addosso cuscini e palle di carta igienica. Lui, in un angolo, non si lasciava andare. Non aveva mai rivelato a nessuno chi era, ne lui stesso si conosceva sino in fondo. Aveva sempre cercato di essere quello che gli altri si aspettavano: perdere il loro consenso, la loro  adorazione, lo atterriva perché di se non si fidava. Il delirio dei fan, una droga che lo teneva su di giri: quanta più ce ne era meno gli bastava. Il vero successo è interno e sta nell’accettarsi: lui odiava invece le proprie imperfezioni e più volte aveva confidato agli amici il desiderio di essere Dio.

La mancanza di amore per sé lo prostrava. Così come aveva voluto ora  incideva da solista, e tuttavia neanche questo lo rendeva felice. Si sentiva ancor più isolato, gli sembrava di non avere più nessuno con cui lasciarsi andare. La sera, dopo le registrazioni, girava per le strade di Encino alla ricerca di un confidente introvabile. A chi poteva aprirsi? Per scaricarsi parlava tra se, ma la tensione premeva. Un secondo Michael all’ interno gridava “ Sto male… fammi uscire fuori!”. Cercava di soffocare quella voce senza sapere che l’ assenza di armonia interiore fracassa i timpani.

C’era una canzone che gli piaceva particolarmente “She’s Out of my life”, “Lei è fuori dalla mia vita”, perché aveva la sensazione che parlasse delle barriere che lo separavano dagli altri. All’apparenza inesistenti, in pratica invalicabili. Non poter comunicare, non poter dire la nostra verità, non essere se stessi sino in fondo, è una prigione. Durante la registrazione Michael era scoppiato a piangere con tale intensità che la produzione avevano pensato di lasciare quel pianto nel disco come una trovata.  Ma le lacrime erano sgorgate così copiose proprio e soltanto perché vere, un dolore oscuro che tanto più grande diventava quanto più era tenuto segreto.

Michael Jackson – She’s out of my life

(continua)

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