Jacko, signora morte sirena droga – racconto dodicesimo

Agli inizi degli anni ottanta Michael Jackson si era comprato per duecentodiecimila dollari un appartamento di lusso, con tre camere da letto e tre bagni, in un quartiere elegante di Encino. Sua madre aveva voluto collaborare all’acquisto, malgrado il figlio non avesse bisogno di danaro, con 35.000 dollari messi insieme a fatica e Jacko, che in famiglia si fidava esclusivamente di lei, pensò bene di intestare la casa a tutti e due.  

Nei fatti però il cantante continuava a vivere ad Hayvenurst con i suoi: lì si sentiva protetto, c’era il passato, le sue abitudini, gli era sempre piaciuto essere il piccolo di casa e volentieri sarebbe rimasto tale. Quel giorno ad Hayvenurst in giardino, dove arrivava l’ultimo sole d’autunno, stava parlando al telefono con Paul Mc Cartney col quale aveva duettato in un motivo inserito in  “Thriller”uale a.
–    Siamo andati alla grande   –  gli diceva l’ex Beatles
–    Grazie Paul, sto pensando anch’io a scrivere qualcosa per te.
–    Hai in cantiere nuovi progetti?
–    No Paul, solo uno spot per la Pepsi…
–    Uno spot non lo fare… ne va della tua immagine…
–    Me lo ha detto anche Audrey Hepburn….
 

Ma il 27 gennaio 1984 Michael Jackson, che malgrado le fragilità e l’estrema sensibilità, negli affari era scaltro, dietro compenso di cinque milioni di dollari si trovò allo Shrine Auditorium di Los Angeles, insieme a tremila fan e ai suoi fratelli,  per lo spot commerciale della Pepsi Cola. La scenografia,  gasata come la bibita che Michael rifiutò di bere, prevedeva fuochi di artificio. L’atmosfera era calda, elettrizzante, Jacko aveva appena iniziato a cantare e ballare, quando un’esplosione imprevedibile con scintille di lampi al magnesio piovve sulla sua testa mentre scendeva da una scala. Non si rese conto delle chiome in fiamme, del cuoio capelluto che bruciava, il dolore lancinante lo stupì: se non lo avesse salvato la sicurezza,  sarebbe morto,  letteralmente arso vivo.

Michael Jackson – L’incidente

Fu deciso il trasporto in ospedale. Malgrado la sofferenza,  quando seppe che fuori c’erano delle telecamere,  indossò il guanto bianco che lo distingueva e con quello si coprì il volto.
–  Sono sfigurato? – chiese preoccupato a un  infermiere
–  State tranquillo…
I dottori del reparto, accorsi nella sua stanza, lo trovarono sudato e con gli occhi sbarrati dal terrore. Sragionava in preda all’ansia. Credeva di aver perso la “faccia” e, dunque, tutto. Gli fu somministrato un forte calmante. Ricoverato per due giorni,  non fece altro che sonnecchiare. Una volta dimesso,  il medico personale lo costrinse, minacciandolo di serio pericolo,  a prendersi un periodo di riposo. A casa, durante la convalescenza,  divenne intrattabile. Non sopportava il dolore  fisico. Gli prescrissero analgesici forti e gocce contro le crisi di panico. Non dormiva all’idea che le ustioni di terzo grado su cuoio capelluto e  viso lo sfregiassero in maniera perenne:  si era sempre sentito brutto,   ora  temeva  di trasformarsi in  “Elephant man”,  individuo deforme vissuto nell’Inghilterra vittoriana  che aveva visto in un film di David Lynch.

Casualmente, proprio in quel periodo, Michael Jackson scoprì che gli antidolorifici gli davano ebbrezza, che immergersi in una ampolla ovattata, estatico,  era il momento più piacevole in ore di noia e depressione. Per protrarre la sensazione di orgasmo prolungato ,  quando l’effetto dei farmaci finiva,  ne chiedeva ancora.
–    Vi fanno male…  se sopportate è meglio… – si raccomandava il  medico
–    Ho fitte lancinanti…  non riesco a lavorare…
Esagerava perché gliene prescrivessero: non lo sfiorava l’idea del pericolo, non capiva  che si trattava di stupefacenti che avrebbero potuto dargli, col tempo,  un’ assuefazione peggiore dell’eroina. Psicofarmaci e antidolorifici sono invece le dipendenze più subdole e difficili da combattere,  lasciano sul cervello conseguenze indelebili ,  come gli esperti di droga sanno bene.

Ciascuno si forma complesso tra fattori indotti dal temperamento, dall’ambiente, dal caso. La forza interiore sta nella capacità di ridurre le circostanze al servizio della vita, di stravolgere ogni difficoltà in occasione. Michael Jackson aveva l’indole dell’artista con ingredienti di ansia, perfezionismo,  sessualità problematica, esibizionismo,  insoddisfazione. Non era d’acciaio e la sua esistenza era esposta a stimoli stressanti, molto stressanti, per chiunque. Anche ad una persona forte avrebbe creato panico il perenne esame della folla. Non tutti i  biografi datano al 1984 il latente insorgere dei suoi problemi,  ma uno psicoanalista scenderebbe ancora più indietro nel tempo. Spesso la via dell’autodistruzione si imbocca in maniera banale,  senza rendersene conto, finché  una mattina, troppo tardi, ci si sveglia in panne. Michael iniziò a usare antidolorifici in quel periodo,  a venticinque anni. A mio giudizio  tutto questo non va sottovalutato se si vuole comprendere il suo dramma.

Come risarcimento per le ferite causategli dallo spot, Michael Jackson ricevette dalla Pepsi Cola un milione e mezzo di dollari, che volle devolvere a un centro californiano per ustionati. Da abile promoter di se stesso, lo rese noto con grande eco dei media. All’epoca sul mercato si vendevano, come reliquie, suoi oggetti simbolo: il guanto unico, giubbotti, calze bianche. Bambolotti lo riproducevano in quattro modi. I fan ora notarono che misteriosamente portava sempre occhiali neri e cercarono di imitarlo.

***

La vita per fortuna ha alti e bassi e appena un mese dopo, il 28 febbraio 1984, tornò a sorridergli. Lusingato Michael Jackson si recò a Las Vegas per ritirare i suoi otto Grammy Awards,  i riconoscimenti più ambiti in campo musicale, assegnatigli per “Thriller”.  Aveva portato con sé Brooke Shield,  con cui andava in giro perché era buona pubblicità. Gli era inoltre simpatica in quanto condividevano le stesse esperienze: Brooke era un’ attrice arrivata, come lui,  al successo da bambina. I giornali specializzati in gossip inventarono un flirt tra i due. Ma la loro conversazione, in quella occasione, come pure in altre, fu innocente. Michael, preparandosi a salire sul palco, le chiese:
–    Come sto?
–     Sei perfetto.
–    Si notano i segni sulla pelle?
–    Il trucco nasconde tutto…
–    Le ciocche posticce?
Brooke rise:
–    Ma sei proprio ansioso!
–    Che fatica essere sempre sotto i riflettori…
Lei si schiarì la voce:
–    Dopo  aver recitato in “Pretty baby” ho paura…
–    Paura che  finisca?
–    Si…  del cinema non potrei fare a meno…
–    Quando Thriller è sceso dal primo posto io ho pianto… – confermò Michael
La Shield sorrise enigmatica, lui chiese a bruciapelo:
–    Brooke   hai paura di invecchiare?
–    Mi sento vecchia già adesso –  rispose lei che aveva diciotto anni .

Stanco di sentirsi domandare se si amavano,   Michael disse di sì a un giornalista. Tutta la stampa si divertì a riempire pagine su pagine, con titoli a caratteri cubitali.  Ma anche questa volta, tempo dopo,  gli toccò leggere, per caso su un magazine,  la smentita di Brooke Shield : “ Con Michael siamo amici. Lui è carino ma non c’è romanticismo. Siamo in pochi ad avere un passato da bambini prodigio e noi siamo amici proprio perché sappiamo quanto sia duro”.

***

Dopo  la vittoria dei Grammy Awards una sera, mentre era a casa con i suoi, giunse a Jacko una telefonata  di Paul Mc Cartney. L’ex Beatles  voleva sapere come era andata a Las Vegas. Gli chiese nei particolari chi c’era e chi non c’era, quali i pettegolezzi divertenti, che vento tirasse nel futuro mercato americano. Chiacchierarono a lungo.
–    Il mio cruccio è come investire i soldi che guadagno… – disse a un tratto Michael – tu cosa faresti?
–    Io investirei nelle edizioni musicali – rispose Paul – sono un mezzo sicuro… come le opere d’ arte… bisogna comprare i  grandi, chiaro?

Michael Jackson deve aver dato peso al consiglio dell’amico e collega Paul Mc Cartney se nel 1985  decise di acquistare la ATV, con i diritti di 251 canzoni dei Beatles , per 47, 5 milioni di dollari, strappando l’acquisto allo stesso suo autore.
“Figlio di puttana!” urlò Paul, deluso, amareggiato, furente perché l’altro gli aveva carpito l’intera vita. Lo odiò e si disperò, ma non poté più rientrare in possesso del catalogo firmato da lui  e da John Lennon. L’amicizia con Michael Jackson  finì in malo modo e per sempre.

Il duetto tra Paul e Michael, inserito in Thriller anni prima, parlava di due giovani che si contendevano una donna: ciascuno invitava l’altro a lasciar perdere,  pretendendo fosse propria. Il brano aveva per titolo “The girl is mine”, “La ragazza è mia”. Paradossalmente se si volesse sostituire il sostantivo “girl”  ragazza, con “song” canzone,  in inglese “The song is mine” suonerebbe calzante: sarebbe l’imprevista parodia  di quello che realmente accadde.

 

 

Michael Jackson – Paul Mc Cartney – The girl is mine

(continua)

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