Michael Jackson, “wacko Jacko” dalla pelle bianca – racconto tredicesimo

Michael, da poco rientrato da una tournée insieme ai  fratelli, più faticosa che esaltante, aveva bisogno di prendersi una pausa: sperava quello fosse l’ultimo tour. Non erano mancate tensioni e il re del pop avvertiva, suo malgrado, che  Tito, Jackie e gli altri  erano gelosi del suo successo, bastava un nonnulla a farli esplodere. Ma lui, se la sua stella li oscurava, che poteva farci? Non ne aveva colpa! Jacko si sentiva solo. Il telefono squillò mentre  era in queste riflessioni.

–    Sono Quincy,  Michael… mi hanno contattato per produrre un disco i cui incassi andranno in beneficenza per le popolazioni africane…  tipo quello che han fatto gli inglesi …   se ne sta occupando Lionel Richie ….  Posso contare su di te?
–    Lionel Richie?! Ma certo!Mi fa piacere rivederlo… – rispose la pop star.

Lionel Richie,  cantante, compositore, attore, frontman dei Commodores, famoso gruppo degli Anni Settanta, dal 1982 aveva intrapreso la carriera da solista. Era amico di Michael sin dai tempi dei Jackson 5, quando le rispettive band avevano viaggiato insieme. Cogliendo l’occasione al volo, felice di poter parlare con un amico, Jacko lo invitò a cena e fu una rimpatriata. Entrambi emozionati, non pensarono alla canzone da comporre, si confidarono impressioni e preoccupazioni.
–    Sei diventato una star – gli diceva Lionel – lo avresti mai pensato?
–    A me non fa quest’effetto, vorrei di più…
–    Incontentabile!
–    Mi sta creando un sacco di problemi… tensioni in famiglia… i miei fratelli si stanno allontanando…  e poi ho paura che tutto voli via da un momento all’altro…
–    E perché?
Michael pensò alla patologia che gli era stata diagnosticata, ma si trattenne. La sua pelle non tradiva ancora segni evidenti: nel mondo dello spettacolo, e non solo in quello,  per sopravvivere non bisognava esibire le proprie debolezze perché l’adorazione dei fan si basava sull’illusione di crederti speciale e superiore. Cosa sarebbe stato se avessero scoperto la sua malattia inguaribile?  Jacko era in ansia,  avrebbe voluto sfogarsi, ma sviò la domanda e gli chiese:
–    Sai cosa ho fatto nelle pause della tournée?
–    Lo so…  – rispose Richie – mi han detto che vai  a Disney World…
–    Adoro il Luna park, i giochi dei bambini… è un mondo di sogno… non mi stanco di tornarci…
–    Sei tutto suonato!

Michael Jackson e Lionel Richie si incontrarono tante e tante volte per mettere a punto la composizione corale, finché non sentirono il bisogno di coinvolgere Quincy Jones perché mediasse tra esigenze di persone diverse, ciascuno una prima donna,  e questo spiega la difficoltà.
– Non riusciamo a concludere – sbuffava Michael – il motivo deve andar bene per ogni tipo di voce: da Bob Dylan a Stevie Wonder a Bruce Springsteen… roba da diventar matti!
Ma cogliendo l’occasione della cerimonia degli American Music Awards, mentre tutte le stars erano a Hollywood per partecipare alla serata, esattamente il 20 gennaio del 1985, la canzone fu pronta.  L’ appuntamento era in sala di registrazione. Molti artisti arrivarono in limousine, Bruce Springsteen guidando un pick up.  Quincy Jones, forte della rete di relazioni, aveva messo insieme  i migliori: la risposta ricevuta era stata così imponente da averne dovuti rifiutare addirittura cinquanta. Tra questi, aspettarono Prince con ansia: cantare con Michael sarebbe servito a smentire le voci  di rivalità tra i due. Ma Prince, come temevano,  non si presentò e Quincy Jones  disse a Jacko:
–    Canterai in coppia con Diana Ross.
Bob Dylan se ne uscì a un tratto:
–    Troppa gente! E’  imbarazzante registrare così…
–    Calmo Bob… – lo redarguì il produttore
–    Io sono calmo… ma quando è troppo è troppo… ho bisogno di concentrazione…
–    Ti sostengo con il piano… – lo rassicurò Stevie Wonder.
Bob  Dylan lo guardò con aria scettica, quindi i presenti videro Quincy Jones andare all’ingresso della sala di registrazione e appendere fuori un cartello con su scritto: “Lascia alla porta il tuo ego”. E dopo ore, finalmente, al segnale, la canzone partì. Fatica di Tantalo mettere tutti d’accordo,  ma per un motivo intitolato “We are the world” sarebbe stato il colmo non farcela! L’iniziativa divenne un successo mondiale,  che raccolse 50 milioni di dollari e vinse un Grammy.

USA for AFRICA – We are the world


A

***

Il 1985 non fu un anno felice per Michael Jackson. Oltre ad aver contrasti in famiglia, con Diana Ross e con i Testimoni di Geova che gli rimproveravano comportamenti poco ortodossi,  il suo estro sembrò inaridirsi per le troppe pressioni. Decise allora di occuparsi solo delle sue finanze, ma  anche i nuovi investimenti fecero fiasco:  “Magic beat”, un profumo che aveva lanciato, non vendette quasi nulla  e lo stesso fu per gli abiti della sua linea. Non bastasse, la stampa prese a scrivere su di lui notizie al limite dell’assurdo e i tabloid cominciarono a chiamarlo “wacko Jacko”, Jacko lo strambo, Jacko il pazzo.
In proposito su wikipedia oggi si legge: << i tabloid diffusero la notizia che Jackson dormiva in una camera iperbarica, per non invecchiare. Si scoprì poi che essa era stata acquistata dal cantante per conto di un ospedale che non aveva il capitale per comprarla: la falsa notizia era stata messa in giro dal suo manager, Frank Di Leo. Da altre fonti si seppe anche che Jackson aveva tentato di acquistare lo scheletro di Joseph Merrick, notizia in seguito smentita dall’artista. Tale fatto gli valse il soprannome di “Wacko Jacko”, presto detestato dal cantante >>.       Joseph Carey Merrick (al quale per errore inizialmente fu attribuito il nome di John) visse in Inghilterra tra il  1862 e il 1890,  divenne famoso a causa della sua estrema deformità. David Linch su di lui imperniò il film “The elephant man” che a Jacko piacque molto. Nel personaggio il cantante si identificò dopo l’incidente durante lo spot della Pepsi Cola, quando ebbe paura di essere stato sfigurato per sempre.

A proposito del soprannome Jacko, associato all’aggettivo “wacko” affibbiatogli dai tabloid, con un salto di ben dodici anni, guardiamo ora cosa dice  Michael a Barbara Walters :

Michael Jackson su “Wacko Jacko” a Barbara Walters (1997)

Questa intervista si riferisce all’uso offensivo di “certa stampa” –  non ovviamente ai milioni di fan che dicono Jacko senza associarlo a “wacko”,  che hanno fondato con il soprannome gruppi su facebook e altri siti,  che continuano a chiamarlo così per affetto;   ai giornalisti che scrivono l’appellativo senza malignità, solo perché entrato nel linguaggio comune, e per rendersene conto basta digitare “Jacko” tra le news  – ma frange di sostenitori del re del pop, malgrado le parole evolvano con i sentimenti, si sono sentiti autorizzati a una campagna a favore della totale censura del nickname. Prova ne è,  per fare un esempio,  una conversazione su facebook postata in una bacheca che titola   “Se Cerchi Nel Dizionario Jacksoniano Dei Sinonimi La Parola Jacko…” :
–   trovi solo la voce suicidio…
–   in ke senso?
–   che se dici jacko vuol dire che vuoi morire
–    xkè noi jacksoniani lo ammazziamo
–    scusate ma nn l’ho capita..
–     jacko è sinonimo di suicidio
–     scusate ma nn l’ho capita..
– chiamarlo JACKO davanti a un jacksoniano è come dire: VOGLIO MORIRE, UCCIDIMI quindi è sinonimo di SUICIDIO… insomma, io se sento dire jacko mi prende la furia omicida
–   xk a lui nn piaceva…
–   ahhhhhh ora ho capito mi dispiace di averlo kiamato kosi povero michael, 🙁 🙁 🙁 scusa michael nn volevo :
Tali battute indicano come si possa colpevolizzare e censurare persone in buona fede. Ci sono siti di fan che invitano a postare tutti gli articoli con la parola Jacko, pronti ad assegnare il “Tapiro idiota” al giornalista che ne fa più uso, considerandolo denigratorio.  Ma c’è anche su yahoo un ragazzo che su Jacko come insulto testimonia: “non credo sono soprannomi che si danno , io ho vissuto un anno di superiori in america , un tipo si chiamava joseph e lo chiamavano jovo, uno freddy e lo chiamavan fredo , e per dire kid che sarebbe ragazzo a volte dicono kiddo, sono nomignoli ma non credo proprio offensivi, tendono a mettere la “o”:  jacko, jovo fredo,  kiddo”.
Visto l’uso innocente e frequentissimo di nomignoli come Jacko, è più facile pensare che l’aggettivo “wacko” sia caso mai stato un’aggiunta, il contrario non è provato e se lo fosse è la dimostrazione della vittoria dei malevoli. Sono convinta che se Michael Jackson  si fosse sentito chiamare Jacko con spirito amichevole,  lo avrebbe accettato. Jacko è uno dei tanti nickname simpatici e ciò spiega la sua diffusione. Senza contare che sono i sudditi a scegliere il soprannome del re, non viceversa: l’appellativo lo rende familiare, gli da colore e lo evoca. Personalmente ho preferito inglobare il linguaggio  popolare perché, piaccia o non piaccia, è benevolo. Jacko va  “sdoganato” visto che lo  si adopera in maniera cameratesca:   un nome fa parte della storia di chi lo porta,  come è storia questa controversia. Ciò premesso, non fu la stessa Diana Spencer a dire a Michael di non censurare “Dirty Diana” dimostrando senso della misura o, come sottolineò Michael Jackson,  dell’umorismo?

***

Fine modulo
Con stupore, in quegli anni difficili,  i fan si accorsero anche che era in atto una metamorfosi fisica:  lineamenti più sottili,  pelle più chiara, cambiamenti diversi dalle normali trasformazioni che una persona sperimenta con il passare degli anni. Michael Jackson fu accusato di voler diventare bianco: molti neri lo detestarono, molti bianchi inorridirono, molti comici lo presero in giro.
Un giorno Quincy Jones, convinto che il suo pupillo si rimpinzasse di porcherie, gliene parlò:
–    Michael dovresti pensare a comporre e lascia perdere le trovate dell’ ufficio stampa, quel soprannome “wacko Jacko” non è il massimo…
–    Ma quale ufficio stampa! I giornalisti fan da soli – il ragazzo scrollò le spalle – sono stato fotografato dentro una cabina di vetro in un ospedale per ustionati… da quel momento hanno scritto che dormivo in una camera iperbarica perché avevo paura di invecchiare…
–    Tu presti il fianco però…   parlo degli interventi al naso… dicono che tu voglia assomigliare a Diana Ross…
–    Dicano quello che gli pare! – si agitò Michael che in realtà non amava essere dipinto a quel modo
–    E la pelle?
Jacko alzò il tono di voce:
–    Tu non vuoi credere alla vitiligine e al lupus! Sto solo cercando di uniformare il colore… se diventassi a chiazze, sai che guaio!
Quincy Jones lo guardò negli occhi:
–    Ho frequentato tossici che mi han tirato fuori un sacco di scuse…  stai giustificando qualcosa di molto dannoso per la tua salute…
–    Credi a quello che ti pare, ma io  non prendo farmaci per schiarirmi!

Nella sua villa di Encino, che continuamente ampliava, Michael Jackson viveva come un recluso,  solitario, trincerato in un universo tutto suo. Passava le giornate a guardare cartoni animati di Walt Disney sognando un mondo di fiaba per sfuggire ad una realtà che non accettava. Quincy Jones cercava di spronarlo a scrivere, ma inutilmente. Un giorno Tito gli disse al telefono:  “ Mio fratello sembra aver paura di fare un nuovo disco”.  Il produttore preoccupato scosse la testa e sospirò. Jacko nei fatti, per timore di non riuscire a ripetere i successi passati, cercava di rinviare l’appuntamento con le platee: troppa fatica,  responsabilità snervante. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo,  riposare, essere accudito. Intanto viveva circondato da guardie del corpo e da animali esotici.

Un giorno portò a casa un nuovo inquilino: Bubbles, scimpanzé di tre anni che aveva salvato dalla vivisezione e dagli esperimenti in una clinica per ricerche sul cancro in Texas. Una sera volle andare con lui a una festa di Quincy Jones. Il produttore aprì la porta per accoglierlo e,   trovandosi davanti  Michael con in braccio la scimmia,  trasecolò:
–    Non vorrai farmi smantellare casa!
–    L’ho portata persino a una conferenza stampa – sorrise il ragazzo
–    Tu sei suonato!
–    Ci esibiremo nel moonwalk… – e  imperterrito entrò

Da bambino prodigio a star planetaria, a miliardario nevrotico “wacko Jacko”, Jacko lo strambo, lasciava di sasso parenti, amici, giornalisti, fan. Il personale di servizio,  ruotava in continuazione a casa sua, perché lui  era sempre più intrattabile. Quale il malessere segreto? Si bombardava di farmaci per sbiancarsi? Per dormire? Soffriva di malattie dermatologiche? Aveva un disagio psichico? La verità se l’è portata nella tomba. Forse era un mix di tutte queste  cose insieme.  Per gestire una carriera come la sua  serviva un carattere davvero molto forte,  considerato che alcuni cantanti dopo aver azzeccato un solo “singolo”, è risaputo,  sono andati “fuori di testa”. Fa male l’essere ridotti a numero,  come l’essere  divinizzati. Lui era salito molto in alto e  voleva salire ancora, ma era inquilino della Torre di Babele: la condizione umana è quella di avere limiti e bisogna accettarli, altrimenti la natura si vendica di questa mancanza di equilibrio.

Se la malattia che gli cambiava il colore della pelle fosse procurata da abuso di farmaci o fosse la disgrazia della vitiligine,  non è dato sapere con certezza, ma in fondo dalla causa originale si può prescindere, visto che entrambe le motivazioni potevano  procurargli uno  stress tremendo, perché Michael Jackson viveva , economicamente e spiritualmente,  di  sola immagine. Il dramma vero è che campare di immagine è impossibile: siamo soggetti a deterioramento  e nulla è per sempre, tranne l’anima. Eppure i suoi valori  non li coltiviamo come essenziali.

Se Michael Jackson abbia intenzionalmente cercato di diventare bianco, vuol dire che era  malato. Se la causa è stata una patologia genetica, anche in questo caso si è trattato di un incubo. Comunque  un uomo infelice. Per ragioni di essenzialità, in questa storia che vorrebbe, per quanto possibile, analizzare la sua vita, facciamo ancora un salto in avanti nel tempo e diamo a lui l’ultima parola:

La pelle bianca di Michael Jackson, stralci di intervista a Oprah Winfrey (1993)

(continua)

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