Michael Jackson e “l’isola che non c’è” – racconto quindicesimo

Nel 1988 Michael Jackson aveva acquistato dal costruttore di campi da golf William Bone,  un ranch con 1400 ettari nella contea di Santa Barbara in California, un ritiro isolato, dodici chilometri a nord di Santa Ynez,  villaggio accovacciato lungo rettilinee autostrade,  con soli quattromila abitanti soprattutto bianchi e una manciata di afroamericani. Se ne era innamorato quando, andato a trovare Paul e Linda Mc Cartney, i due lo avevano accompagnato a vedere la tenuta  perché, se a quel tempo fosse stata in vendita,   avrebbero voluto comprarla.

Appena sul mercato, però fu Jacko a  entrarne in possesso: da anni aveva in mente di costruirci la sua Versailles americana con annessa sala giochi e luna park, vera e propria valle incantata per l’infanzia, dove ricevere soprattutto i bambini malati e bisognosi, sui quali sentiva di poter regnare perché affini a lui. Lui aveva trent’anni ma il suo corpo efebico non li dimostrava. Nel giugno1986 Jacko aveva fatto la sua quarta rinoplastica e aveva voluto che Steven Hoefflin, rinomato chirurgo estetico di Santa Monica – i cui clienti sono stati Liz Taylor, Silvester Stallone, Ivana Trump e tanti altri  – gli stampasse una fossetta sul mento. Lo psicologo Raymond Johnson ha commentato così l’avvenimento : “ Michael Jackson si è fatto sempre più incantare dalla sua immagine e apparentemente ha continuato la ricerca della faccia perfetta”. E la popstar ha confermato: “Io voglio essere perfetto. Mi guardo allo specchio, e voglio solo cambiare, essere meglio. Io voglio sempre essere migliore, forse è per questo che ho voluto la fossetta. Non saprei in che altro modo spiegarmelo”. Nel desiderio di perfezione c’è anche un’ aspirazione all’immortalità, l’ infanzia per Michael è stata il momento ideale, rispecchiandosi in  tanti bambini si  sentiva eccezionale ed eterno.

Aveva voluto chiamare il suo castello  “Neverland”, traduzione originale inglese de “L’isola che non c’è”, luogo immaginario delle avventure di Peter Pan,  personaggio preferito del re del pop,   creato dallo scozzese sir James Matthew Barrie nel 1902. Peter Pan é un bambino che vola e si rifiuta di crescere,  vive un’ infanzia senza fine a capo di una banda di Bimbi Sperduti,  in compagnia di Sirene, Indiani, Fate e Pirati sull’ “Isola che non c’è”. Sinistra casualità vuole che l’isola fatata della star nei fatti non ci fosse,  che sir James Matthiew Barrie si ispirasse per la sua narrazione fantastica a cinque fratellini, la cui frequentazione gli causò malignità e accuse di pederastia. Lo scrittore, quando i cinque rimasero orfani,  li prese sotto tutela.

Arrivando a Neverland da Santa Barbara, 150 km a nord-est di Los Angeles, la strada attraversa una collina brulla e di colpo scende verso il lago Cachuma circondato da vegetazione rigogliosa: altissimi pioppi, salici, sambuchi, palme. Natura sontuosa, adatta al sogno che Michael Jackson avrebbe voluto vivere ignaro del risveglio. A Neverland si stabilì nel novembre del 1988, quando ancora i lavori erano in corso, staccandosi definitivamente da Hayvenhurst e dalla sua famiglia. Traslocato, per prima cosa fece istallare ingenti misure di sicurezza. Sul cancello di ferro e acciaio volle una corona dorata sopra un busto con la scritta Michael Jackson: soglia di una reggia dove lo scimpanzé Bubbles correva indisturbato, uno zoo ospitava elefanti, lama, coccodrilli, orsi e persino tarantole. A Neverland c’era anche un cinema. Il ranch costato trenta milioni di dollari e   tenuto in vita da cinquanta persone, per la sola manutenzione necessitava di due milioni l’anno.

Neverland, “L’isola che non c’è” di Michael Jackson

Alla festa di inaugurazione il re del pop, felice ma ansioso, temendo le critiche al progetto e alla sua indipendenza,  non invitò i genitori,   ma volle i fratelli, le sorelle e gli amici, tra cui Steven Segal e la bellissima Bo Derek. Molti vennero con i figli, come Michael aveva raccomandato. Per l’occasione ai bambini fu prestata una  attenzione particolare, non furono offerti solo alcolici e sfizi salati ma montagne di caramelle e fiumi di limonata. La temperatura clemente della California benedisse tutti sino a tarda notte. Quando gli ospiti ripartirono Michael si raccomandò di mantenere riservatezza estrema, aveva scelto quella zona appartata per vivere con il massimo riserbo.  Ma aggiunse: “Venite a trovarmi appena potete, in fondo sono solo a mezz’ora di elicottero da Los Angeles…”  

Salutò affabilmente anche Macaulay Culkin, il bambino protagonista di “Mamma ho perso l’aereo” che era ormai suo strettissimo e abituale amico. Il piccolo quella sera dopo aver scorrazzato in lungo e in largo, stanco morto, si era rinchiuso in una stanza a dormire. Con gli occhi gonfi di sonno, dopo aver dato a Michael  un bacino sulla guancia,  Macaulay gli disse:
– E’ la casa più bella che ho visto,  il sogno dei bambini…  a te sarebbe piaciuto avere sempre otto anni?
–  Certamente – rispose Jacko sorridendo –  in realtà a me otto anni è sembrato di non averli mai avuti.
L’altro lo guardò interrogativo,  Michael si abbassò alla sua statura:
–   Come te ho dovuto lavorare…  a otto anni i bambini non lavorano,  giocano.
–   Ora fai i giochi che non hai potuto fare?
–    Direi di sì…
–    Magnifico! – convenne Macaulay  pensando che un giorno anche lui lo avrebbe fatto.

***

Nel febbraio del 1989 Michael Jackson, attraverso il suo avvocato John Branca,  chiuse il rapporto con Frank di Leo: il manager fino a quel momento aveva centrato per lui bersagli importanti ma da tempo la loro collaborazione si era logorata. Michael non sopportava le sue rampogne e aveva l’impressione che Di Leo non mettesse più nel lavoro la passione di un tempo. Frank fu colto di sorpresa, gli telefonò e non reagì con filosofia:
Sarebbe questo il ringraziamento per il contratto Pepsi?
Non prendertela Frank, sono stanco… non mi piacciono le trovate per i tabloid, non mi piace come va “Bad” e tanto meno “Moonwalker”…
O forse qualcuno ti illude di spalancarti le porte di Hollywood? – Frank sembrava saperla lunga –  Anche Captain Eo non sta dando risultati eccelsi e sai bene che non è colpa mia…
Il musical fantascientifico “Captain Eo”, diretto da Francis Ford Coppola e prodotto in 3D da George Lucas, malgrado i risultati inferiori alle aspettative, fu il cortometraggio più costoso mai realizzato:  20 milioni di dollari per 20 minuti. Durante la sua promozione Jacko, per la prima volta, indossò una mascherina sul volto. Gli avevano narrato le idiosincrasie del miliardario Howard Hughes –  aviatore, regista, produttore cinematografico morto nel 1976 –  il suo terrore di virus e batteri e, inspiegabilmente, il cantante ne era rimasto affascinato: non immaginava la leggenda che da quel gesto sarebbe scaturita, tesa a ingigantire la sua ipocondria e la paura della morte. Tutto ciò rafforzò l’odiato soprannome  “Wacko Jacko”, “Strambo Jacko”, colui che era ossessionato da persone e ambiente infetti,  che faceva il bagno nell’ acqua Perrier, che voleva un Buckingham Palace personale, che si coricava in camera iperbarica sperando di vivere sino a 150 anni. I tabloid insistevano ancora con l’acquisto, più volte smentito, dello scheletro di “Elephant man”. Michael allora addossava la colpa a Frank perché aveva amato spericolati espedienti pubblicitari.
Certo Frank – lo rimbeccò Michael – con la storia di “Elephant man” non si ottiene molto di più…
Il manager si arrabbiò:
Le favole nascono tra domestici e  pennivendoli per aumentare le tirature! Mi vuoi dire cosa c’entro io? E se “Moonwalker” costa più di quel che incassa, prenditela con Kramer e Chilvers…
Jerry Kramer e Colin Chilvers erano i registi di “Moonwalker”, una pellicola di 93 minuti con immagini di concerti, video, episodi della vita di Michael Jackson, sequenze di animazione, mixate in maniera surreale e inquietante.
Ho già il mio da fare a Neverland…
Sei indefinibile: in parte veramente Howard Hughes in parte sei E.T…  – disse Frank  e chiuse.  Sulle ragioni della rottura di quel rapporto Di Leo mantenne riserbo fino all’ultimo giorno di vita, il 24 agosto del 2011.

***

La madre di Michael andò a  visitare Neverland in un giorno di sole, durante una pausa di lavoro del figlio. Trasecolò quando vide all’ingresso il meraviglioso orologio di fiori ricordare a ognuno l’istante in cui entrava. Alla pop star piaceva starsene con  mamma, farsi preparare le zuppe dell’infanzia, raccontarle dei successi, spettegolare. L’unica di cui si fidava era lei,  colei che lo accettava com’era,  che lo avrebbe amato anche se fosse stato Elephant Man.
Hai i cassetti pieni di medicine… – osservò Katherine cercando un apriscatole in cucina.
A tavola,  immerso nella lettura di un fumetto di Walt Disney, suo figlio non rispose. Lei gli andò vicina e gli toccò una spalla:
Cosa dice il dermatologo?
Stiamo cercando di  uniformare il colore…
Lo hai rivelato nella biografia?
–     Scherzi? Ho confessato due interventi di rinoplastica e la fossetta sul mento…
Il libro di cui parlavano era “Moonwalk”, che Jacko aveva scritto con l’aiuto di un ghostwriter, una raccolta molto censurata e  idealizzata sulla sua carriera, delle amicizie, esperienze, ricordi, rapporti affettivi, pensieri.  Sua madre scosse la testa:
Tuo padre non sarà contento delle rivelazioni, ti toccherà chiamarlo al telefono…
Vorresti gli chiedessi  ancora scusa?! L’ho già fatto una volta… – Michael agitato si scandalizzò anche se,  tempo dopo, fu proprio questo quello che fece – Mamma non esagerare… il libro era un’idea di Jacqueline Onassis… insisteva che milioni di fan desideravano conoscere le mie storie, gli ho spiegato che la mia vita era all’inizio… quando è venuta a Los Angeles non mi ha trovato e si è arrabbiata… Jacqueline ha insistito tantissimo… diceva: devi soltanto essere come Peter Pan…
E’ lei che ti ha ispirato Neverland?
Certo che no!
Qui ad animali non scherzi – sospirò sua madre – mi ricordo quando tenevi i topolini, mettevi ragni nel letto di La Toya…
Michael scoppiò in una risata. Quegli scherzi a sua sorella, la lotta con i fratelli, erano ricordi che lo entusiasmavano! I momenti più divertenti della sua vita: quando suo padre non c’era si davano alla pazza gioia,  era come scoperchiare un formicaio.
Mi piace il giardino a forma di orologio – la mamma lo osservò perplessa –  ma tu hai litigato con il tempo… la tua casa è troppo infantile…   capisco la beneficenza ai bambini bisognosi ma come fai a passare ore con loro?
Jacko si inalberò:
Smettila di criticarmi! Ho sempre  guadagnato anche per voi, avrò il diritto di divertirmi? Ho pagato degli attori che vengono a recitarmi Biancaneve e i sette nani… che male c’è?!

***

Per Michael Jackson Neverland non era solo una casa o un parco giochi, era la terra che avrebbe voluto, un luogo di favola, privo di pericoli e brutture, nel quale circondarsi di bambini e di animali, gli unici a non mettergli paura, creature amate perché innocenti e primitive. La sua coperta di Linus, porto nel quale tornava al tempo perduto, affondava  nel proprio elemento: la giostra perenne. Per milioni di persone Jacko stesso rappresentava soprattutto un luna park. Tutti trovarono quel tran tran curioso ma  logico. La casa era una reggia, un’isola nella quale allontanarsi dalla realtà. Nessuno dello staff si oppose a questa “estraniazione dal mondo”, nessuno gli suggerì una terapia che lo riconducesse a patti con la realtà. Per ignoranza, indifferenza, soggezione, ma anche e soprattutto per non turbare la macchina da soldi, questo comportamento fu incoraggiato: chi entrava a casa di Michael Jackson entrava nella valle dell’Eden e non doveva mettere nulla in discussione.

Negli anni ’80 Jacko aveva guadagnato 250 milioni di royalties, il suo catalogo musicale  valeva 350 milioni perché vi aveva aggiunto i diritti di alcune canzoni di Elvis Presley.  Se era vero che folli erano i suoi introiti, altrettanto folli erano le spese: specialmente adesso che doveva mantenere il suo paese delle meraviglie. Quasi mai Michael Jackson chiedeva il costo di ciò che desiderava a Neverland: tutto doveva ricrearsi per misterioso istinto  Ma, alla lunga, chi vive nel distacco dalle cose tangibili,  può  trovarsi a pagare un prezzo assai caro e la fiaba da radiosa può farsi nera.

Il 1989 fu comunque un anno ancora grato: Michael vinse anche un Britt Award come miglior artista internazionale maschile e  come miglior video con “Smooth criminal”,  poi riadattato a  un vecchio film,  ballato dal suo idolo Fred Astaire.

Michael Jackson, Smooth criminal.

(continua)

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