Jacko, il pericoloso paese dei balocchi – racconto diciottesimo

ROMA – Dopo aver conosciuto Jordie Chandler, il re del pop prese l’abitudine di telefonare al ragazzino. Jordie si mostrava molto interessato ai video games e Michael lo invitò nell’appartamento californiano di Century City,  che la sua famiglia e lo staff non avevano mai visto, spiegandogli che lì avrebbe trovato un mondo di divertimenti. Per svariate ragioni il bambino non riuscì ad avere il permesso dalla madre, ma ciò non impedì ai due di diventare amici.

Intanto  stava prendendo forma il tour per la promozione di “Dangerous”, l’album pubblicato da Michael nel 1991  che avrebbe nel tempo venduto ben 32 milioni di copie, sponsorizzato ancora dalla Pepsi Cola che sborsò per l’occasione 20 milioni di dollari, esordì come stabilito allo stadio Olimpico di Monaco di Baviera il 27 giugno del 1992. Dando vita a ottantanove concerti, pur terminando tre mesi in anticipo per vicissitudini di un tragico 1993.  Toccò oltre all’Europa, l’Asia,  il Sudamerica e l’Africa, che Michael desiderava rivedere perché terra dei suoi avi.

Alla stampa Michael aveva presentato la tournée così: “Scopo principale dell’impresa è raccogliere fondi per la Heal the world foundation, organizzazione che si occupa del sostegno ai bambini bisognosi,  che porterà cibo, medicine e quanto serve nella città di Serajevo martoriata dalla guerra”. Per l’attrezzatura furono necessari due Boeing 747, circa 235 persone viaggiavano su tredici pulman con la scritta “Dangerous world tour”  applaudite come re magi dai  passanti stupiti. Il 30 e il 31 luglio Michael fece il tutto esaurito a Londra: 144.000 fan nello stadio di Wembley. Poi, per la prima volta nella storia, la carovana approdò in Romania.  Evento ancor più grandioso in un paese dell’ex cortina di ferro che richiamò settantamila persone, record indiscusso per l’Europa dell’est. La rete via cavo HBO, acquistati dallo staff del cantante i  diritti televisivi per la cifra mai sentita di venti milioni di dollari, trasmise le riprese dello spettacolo che si tenne a Bucarest il primo ottobre 1992: distese di giovani   osannanti diedero a Jacko le vertigini, non solo per paura d’essere sbranato ma perché scopriva che lo stavano innalzando a Dio.  

Michael Jackson – Beat it – Live in Bucharest Dangerous Tour 1992

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Nelle pause di lavoro, con ritmo settimanale, il re del pop trovava il tempo di telefonare a Jordan Chandler, quel bambino sincero e fragile era la sua connessione con la vita reale: un fan del quale non aveva paura. Quando si ritirava in albergo, prima che fosse tardi e il piccolo dormisse, componeva il numero: sua madre rispondeva compiaciuta, elettrizzata dalla novità, ritenendo assolutamente naturale la confidenza tra i due, nonostante la differenza d’età. La pop star  con i piccoli si intendeva meglio che con gli adulti, anche quando raccontava a Jordie gli sforzi per aiutare l’infanzia:
La Heal the worl foundation – stava dicendo Jacko quella sera – è un’organizzazione che ho voluto per aiutare tutti i bambini che hanno patito la guerra,  i bambini sono la speranza del mondo…
E gli regali dei giocattoli? – chiedeva Jordie interessato
Certo… se vieni a Neverland ce ne saranno anche per te…
Cosa è Neverland?
Un posto dove i bambini hanno i loro diritti.
Che bello! La tua è una vita bellissima… mio padre avrebbe voluto fare la tua vita e pure io…
Mi hanno detto che sei molto creativo… e vero che hai aiutato tuo papà nel suo lavoro per il cinema?
Si, ma più che il cinema…  vorrei essere come te Michael!

Michael Jackson non aveva idea  quanto invece le luci della ribalta fossero effimere, precarie come la sua emotività,  mortali come la vita. Le sue stravaganze, l’essere ai confini della realtà , la sua “isola che non c’era”, lontana dai normali, costituivano la premessa di una tempesta  che gli rese ancor più difficile mettere i piedi per terra  nel momento in cui il piedistallo idolatrico si infranse. Gli eventi scoppiarono imprevisti come un temporale estivo,  tanto che il 25 gennaio 1993, durante la ventesima cerimonia degli American Music Awards,  il re del pop fu ancora premiato  per il miglior album pop rock e per il miglior singolo soul & RB. Tuttavia, parafrasando la canzone con cui inscenò una coreografia memorabile,  si può affermare che stava entrando in un periodo davvero “dangerous”, pericoloso.

Michael Jackson – Dangerous – American Music Awards – 1993

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Per fortuna nessuno conosce il proprio futuro e nell’estate 1992, durante una pausa del tour,  Michael Jackson tornò a Neverland di ottimo umore, deciso a riposarsi. Calmanti, antidolorifici, sedativi che aveva cominciato ad assumere, quasi senza accorgersene, con rischiosa frequenza per tener testa ad uno stress superiore alle sue forze, non potevano certo dargli quella tranquillità che cercava attraverso  relazioni affettive disinteressate perché, malgrado la  frenetica esistenza sui palcoscenici del mondo, motore di un ingranaggio che sputava dollari, bramato da una folla amorosa e crudele, quando scendeva dal podio, voleva riposarsi  con i pochi che aveva scelto come amici. Lui, pur con continuo timore di essere fagocitato,  li frequentava senza calcolo perché timido, complessato,  ingenuo,  borderline: in parte,  un ragazzino di trentaquattro anni.

Ripresa la routine californiana, isolato con una schiera di monelli festanti che mangiavano, dormivano e giocavano senza orari né regole nella sua tenuta, si ricordò della promessa fatta a  Jordie Chandler decidendo di aggiungerlo ai piccoli  del ranch con lo stesso primitivo affetto che nutriva per i cuccioli degli animali. Raccolti alcuni CD con suoi video,  un paio di album  di sue foto, una batteria di pistole ad acqua,  gli fece consegnare il pacco con il biglietto: “Facci molti gavettoni… ma se vuoi andiamo insieme a mamma e a Lily alle splash mountain di Disney World …  Michael”.   

Era nota la predilezione di Jacko per il Luna Park, in modo particolare  per le splash mountains, le  montagne d’acqua, perché c’era stato più volte con Macauley Culkin,  sponsorizzato da major importanti che usavano l’infantilismo del cantante a scopi commerciali. Quando Jordan Chandler, inatteso,  ricevette l’invito della pop star  dalle stesse mani della madre, l’abbracciò e le chiese.
Mamma per favore ci andiamo?
Certo – rispose June oltremodo lusingata – telefonagli… fatti dire come .

June, Jordie e la sorella più piccola Lily,  arrivati a Neverland fecero anticamera ed ebbero  il tempo di intravedere la dimora principesca. Il suo senso di calore e di eleganza lì stordì al punto che quando il re del pop chiese loro: “Vi piace la mia casa?”, esterrefatti accennarono un timido sì con il capo. Michael  disse che doveva darsi  gli ultimi ritocchi al trucco e poi sarebbero partiti. A Disney World Jacko, nascosto dietro una barba da rabbino e lenti spesse, senza fotografi e giornalisti alle calcagna, sembrava il padre di una famigliola qualsiasi ed era felice. June Chandler e i bambini emozionati non parlavano quasi.  Il viaggio dell’ andata, con autista e cellulare incorporato nella limousine, per l’epoca un lusso,  fu imbarazzante per la giovane signora,  si sciolse solo quando comprese  di essere al fianco di una persona alla mano. Michael l’aveva pregata di dargli del  tu e  sembrava finanche impacciato, lei si sentì protetta dalla sua timidezza e   si abbandonò al punto da riuscire a fargli domande ritenute inconfessabili:
Tu sei davvero un ragazzo bellissimo… ma dicono che ti sei fatto tanti interventi di chirurgia plastica… è vero?
Certo!
Perché?! Non c’era  bisogno…
Non puoi capire quali siano le esigenze di una pop star…
E quali sono?
Follie…
Entrambi scoppiarono a ridere.

Alla fine di  una faticosa giornata sulle montagne russe, sulla ruota, nella caverna degli orrori, sulle splash mountain tra schizzi fatati dei torrenti disneyani, tutto a spese di Michael Jackson,   non restava che concludere la serata  in uno dei ristoranti più belli e più costosi,  affittato solo per loro.
Possiamo ordinare ostriche e champagne… ogni vostro desiderio sarà realizzato – disse il cantante,  soli a un tavolo centrale, riservato, lussuoso, scintillante di candele.
La madre, stringendo tra le braccia la sorellina addormentata, non parlò, guardò  Jordie  che aveva l’aria stanca.
Tartufi e sfizi italiani? – chiese Michael .
Il bambino alzò su di lui uno  sguardo  bieco e il re del pop gli accarezzò la testa:
–    Non è obbligatorio… è permesso mangiare anche Pop Corn.
Nessuno fiatò.
Allora? – Michael attendeva
Una cosa normale… – disse June.
Il re del pop amava la semplicità, l’impreparazione , il non calcolo  in un mondo in cui tutto lo era. Soddisfatto scoppiò a ridere.
Patate fritte e pop corn per tutti?  
Annuirono e Michael ordinò sentendosi felice.

***

Michael Jackson e Jordie Chandler,  ormai legati da grande confidenza,  si incontrarono altre volte a casa di Michael o in quella del bambino, dove Jacko si fermava anche a dormire,  sebbene più spesso fosse Jordie, per ovvi motivi,  ad essere accompagnato alla tenuta del cantante.  Una sera di fine estate a Neverland i due sedettero sui gradini,  nella veranda che dava sul giardino dove statuine di bronzo facevano il girotondo.
Perché ti piace tanto il Luna Park? Ne hai messo uno in giardino… – chiese Jordie
Il ricordo più bello che ho di mio padre è quando mi ha fatto sedere sopra una giostra e sopra un pony… – Michael sospirò pensando come si fosse sforzato di credere, bambino che manteneva la famiglia,  che quella era l’indiscutibile prova dell’amore di Joe.
Andavi d’accordo con lui?
No, mi faceva soltanto lavorare… si arrabbiava…
Io con mio padre adesso non lavoro … ma anche lui si sta arrabbiando…
Perché? –     Michael  lo fissò curioso
Dice che passo i weekend con te invece che con lui…
Non devi, dì a tua mamma di regolarsi…
Ma sono io che lo voglio…
Non devi farlo arrabbiare…
Il bambino lo guardò incerto:
Mio padre fa il dentista e dice che le caramelle di Neverland mi fanno male… fanno venire la carie…
–    A me sembra che tu abbia denti sani…
Anche a me pare
Michael buttò lì:
Tuo padre è un tipo geloso?
Non lo so…
Tra loro scese un improvviso silenzio.

(continua)

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