Alter ego (Parte seconda)

“Cosa bevi?” – gli chiese di fretta il cameriere dietro al bancone. “Un liquore alle erbe” – disse Sil. Accanto a lui sedevano due ragazzi che si vedeva essere di qualche paese del nord. Loro erano felici, con le loro borse di studio, i loro genitori che gli pagavano i divertimenti e i viaggi, i loro discorsi da sballati.

Sil non era invidioso, ma infastidito da come la vita fosse così ingiusta. O non possiedi niente e avrai tutte le sfighe di questo mondo oppure hai tutto e la vita ti sorride. Avrebbe voluto tornare indietro, non essersi iscritto all’università che gli aveva rovinato la vita e aver viaggiato di più; ma no viaggiato come facevano quei turisti europei. Lo avrebbe fatto a modo suo,  sarebbe di sicuro andato nella taverna più lugubre per conoscere le verità e vedere il marcio di quel posto. Finito il liquore alle erbe sempre più ubriaco si dirige fuori dal bar per chiedere una sigaretta a una delle tante figure che erano all’entrata o se si vuole all’uscita. 

Strette di mano, baci sulle guance, saluti, auguri, complimenti, tutto per dire alle volte il contrario. Che cosa c’è di bello nel vivere una falsa relazione di amicizia, di concordia e armonia? Perché non si è coerenti e si agisce come si pensa? L’ipocrisia pervade le umane menti e non cessa di avanzare nella sua perversione. Il cervello dopo i 25 anni comincia a degenerare dicono, comincia il conto alla rovescia. E Sil cosa era riuscito a fare fino ad allora? Niente. Il denaro ora dettava le sue esigenze, ora era lui ad essere tornato al comando, o meglio la sua disperata ricerca che porta l’individuo a fare cose che nemmeno un animale si presterebbe a fare. Come riuscire a vivere senza questa ipocrisia di fondo? Impossibile, la società obbliga l’individuo a conformarsi al comportamento generale perché sennò sei un maleducato, un pazzo, uno stronzo, un delinquente. Devi dire quello che gli altri si vogliono sentir dire se non vuoi avere problemi gli aveva detto una volta un rumeno suo collega di schiavitù. “Si e i problemi che senza sapere stai accumulando tu schiavo del cazzo dove li metti?” pensava Sil a voce alta camminando solo per una via al di fuori del centro abitato, circondata da palazzi, parchi industriali vuoti e cemento. Chiaramente è difficile andare in giro a mandare tutti a fare in culo anche perché qualche bel borghesotto potrebbe avvalersi di questa possibilità per denunciarti e ingabbiarti in un processo che ti porterebbe a dover entrare a far parte della tanto amata perversione sociale, la burocrazia.

Ma i contemporanei giovinetti dell’epoca erano felici del loro falso benessere, di non sapere nulla riguardo la propria esistenza e di poter farsi ammaliare dal dolce abbraccio del capitalismo. Il continuo comprare, spendere, consumare, usare, era ciò che rendeva sicura la vita di ognuno. Una società fatta di vecchi puzzolenti, che non vogliono morire. Sempre meno giovani, bambini brutti a causa dell’età avanzata dei loro padri, fatti male, vecchi. Che schifo attorniava Sil e non c’erano altre parole che questa per descrivere al meglio quella situazione. Che conformismo dilagante abitava nelle coscienze spente degli esseri umani, che vivevano per la loro ipocrisia, per apparire, per essere il loro ideale sbagliato, inventato, artificiale e inutile. La modernità nella quale viveva Sil non lasciava spazio a libere interpretazioni, dovevi per forza vivere in quel modo oppure…. niente oppure niente.

Questo era il vero problema, non c’era un’alternativa, tutto era in mano a quelle persone del cazzo che tutti i giorni andavano a lavorare e che pensavano di essere realizzate e superiori alle altre. “Buffoni, inutili, ignoranti, sprovveduti, idioti, continuate a vivere la vostra vita del cazzo però adesso è ora di finirla di rovinarla al prossimo” pensava. “A chi non vuole vivere come voi, soffocati, nel sonno perpetuo, come morti viventi. Illusi, marionette di un teatrino di poveri viandanti che vi danno la vita, la falsa esistenza alla quale siete tanto attaccati, merde!”. “Ciao Sil! Trovato lavoro?!” gli chiese uno che conosceva a malapena di vista e che sapeva che stava cercando qualcosa da fare. Sil intanto ancora incazzato a causa delle sue riflessioni cercava di entrare nell’ipocrisia generale per non far vedere i suoi sentimenti che se captati da qualcuno forse avrebbero potuto ritorcersi contro e rispose “No, non ancora, ma insistiamo!” aggiungendo un bel sorriso di felicità, falsa, la loro. L’altro salutandolo se ne andò per la sua strada. Sil si chiedeva che cazzo volesse quello sconosciuto da lui; “se mi chiedi queste cose significa che forse hai qualcosa di utile da dirmi, siamo “giovani”, dovremmo aiutarci…”, e invece no; infatti secondo Sil, che qui potrebbe essere scambiato per paranoico, questi reagivano come se dalla sua risposta negativa avessero ricevuto una buona notizia perché loro un posto dove farsi sfruttare e maltrattare già lo avevano ed erano felici e orgogliosi di tenerselo. “Buah che tristezza tutto, Tebra dai che andiamo! Dai!!” esclamò smettendo di pensare a quei fantasmi della vita e chiamando la sua unica amica per andare a fare una passeggiata al parco.

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