Caso Ruby. La verità secondo su Berlusconi

ROMA – Stiamo ai fatti. Veronica Lario già seconda consorte dell’attuale Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi scrisse una lettera pubblica nel maggio 2009 nella quale dichiarava:
“Ho cercato di aiutarlo…ho implorato le persone che gli stanno vicino di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene.

E’ stato tutto inutile. Credevo avessero capito…mi sono sbagliata “.
Dunque la persona che era allora più vicina a Berlusconi da tutti i profili, umani e personali, dichiarava che l’attuale Presidente del Consiglio è malato da tempo e la malattia è la ricerca compulsiva di giovani donne con le quali divertirsi ed esibire la sua potenza non solo sessuale.
La prova più clamorosa che l’affermazione della signora Lario ha un fondo di realtà è il famoso episodio della telefonata alla Questura di Milano il 27 maggio 2010 per far scarcerare l’allora minorenne marocchina, El Mahrotjg Karima, nota ai più con lo pseudonimo di Ruby, spacciandola per una nipote di Mubarak, attuale presidente dell’Egitto Questo sconcertante episodio è l’ innesco dell’indagine 55781/2010 della Procura di Milano diretta dalla procuratrice Ilda Boccassini, in cui è direttamente indagato Berlusconi per reati di concussione e prostituzione minorile. La Procura è stata quindi obbligato a chiedere l’autorizzazione al Parlamento per compiere perquisizioni degli Uffici della Presidenza del Consiglio, ubicati nel Parco di Segrate di proprietà di Berlusconi, ed attualmente riconosciuti come siti istituzionali quindi soggetti ad autorizzazione del Parlamento per ogni azione giudiziaria da compiersi in tali sedi.

Ad oggi 21 gennaio 2011 ancora nessun uomo politico italiano o autorità dello Stato, del mondo economico, della cultura e della società civile ha richiesto pubblicamente una visita specialistica nei confronti di Berlusconi per accettare la presenza o meno della malattia. Come è possibile che per 20 mesi tutti abbiano ignorato la dichiarazione della signora Lario soprattutto dopo l’episodio di Milano?

Per capire le ragioni di questa clamorosa omissione collettiva si deve comprendere il contesto in cui questi avvenimenti stanno verificandosi.

Il 14 gennaio il 54,04% dei lavoratori di Mirafiori approva un contratto aziendale che viola la Costituzione Italiana negando il diritto di sciopero: l’attuale amministratore delegato Marchionne, ex CEO della SGS società svizzera leader della certificazione aziendale di qualità, fa ripiombare la condizione del lavoro in uno scenario precedente alla nascita dei sindacati ed entra in diretta concorrenza con i mercati del lavoro di paesi come il Vietnam, la Libia, l’Etiopia o la Birmania. Ma non solo. Apre l’opportunità all’area dell’EURO di usufruire di uno dei più importanti apparati industriali e di servizi del mondo a condizioni e costi della forza lavoro propria dei luoghi descritti da Naomi Klein in NO LOGO. Un regalo non richiesto alla CONFINDUSTRIA EUROPEA, che evidentemente non sta gradendo troppo questa soluzione alla crisi economico-finanziara attuale come dimostra l’ultimo editoriale dedicato all’Italia del Wall Street Journal.

E’ opportuno a questo proposito ricordare che alcun serio e concreto industriale europeo non italiano ha intenzione di rinunciare a un costruttivo rapporto con i sindacati e soprattutto alla tutela del diritto di sciopero che in ultima analisi é una straordinaria arma di ricatto nei confronti dei governi in situazione di crisi per chiedere aiuti di Stato. Purtroppo è arcinoto che una parte importante della imprenditoria italiana vive con la testa rivolta al mitico periodo dell’antica Roma ove gli schiavi erano la forza lavoro gratuita ed abbondante.
La conferma di questo disegno di mercato di lavoro viene dall’appoggio dato dalla Presidente Mercegaglia, nonostante l’uscita di fatto da Confindustria della Fiat (che significano circa 5 milioni di euro in meno nelle malandate casse dell’organizzazione patronale italiana, già alle prese con il deficit del gruppo Sole24Ore). Ma soprattutto è la dichiarazione di Berlusconi del 13 gennaio a squarciare il velo in cui, contrariamente alla sua fama di imprenditore di grande rispetto dei diritti dei lavoratori, dichiarò: “qualora il referendum Mirafiori avesse esito negativo, è giusto che l’azienda si sposti fuori dall’Italia”. Berlusconi fu obbligato alla dichiarazione d’amore nei confronti della strategia Marchionne, per potersi garantire di poter continuare ad occupare la poltrona di Palazzo Chigi a fronte della bufera generata dal caso “Ruby”.

Ma il disegno Marchionne è ben più complesso e coinvolge direttamente il Presidente della Camera Fini e leader del PD Bersani. Il primo quale leader del centro destra post berlusconiano, il secondo quale mosca cocchiera della protesta sociale da canalizzare verso il binario morto del riformismo progressista che ha sostanzialmente destrutturato il mercato del lavoro italiano a partire dai provvedimenti del primo governo Prodi di Tiziano Treu ex sindacalista FIM-Cisl. Un lavoro di squadra realizzato seguendo scrupolosamente i dettami dell”Arte della Guerra” di Sun Tsu,, il vero manuale di management post89, e de “il Principe” di Macchiavelli, capolavoro insuperabile della strategia di conquista e gestione del potere.

Per realizzare questa strategia tuttavia era indispensabile costruire un evento tale da distrarre l’opinione pubblica in un gossip interminabile. E qui entra in campo il nostro povero Presidente del Consiglio. Un uomo malato solo privo di affetti sinceri di riferimento, spremuto da una moglie tanto astuta quanto banale e priva di cultura politica per le sue personali passioni: antroposofia, beneficienza e cultura elitaria. Berlusconi è sentimentalmente rimasto un adolescente complessato da una statura più bassa della media e da una calvizia incipiente fin da giovane. Fu facile quindi dopo la rottura con la signora Lario approfittare di lui. Una vera e propria circonduzione di minore. Purtroppo il disegno Marchionne ha trovato dei nemici molto potenti: Tremonti e la Magistratura. Il primo limpido riferimento del capitalismo renano in Italia ha bloccato qualsiasi aiuto di stato alla Fiat che é stata costretta ad accelerare il disegno del nuovo mercato del lavoro con l’accordo di Pomigliano. Per inciso Bossi, formidabile animale politico, tenta da sempre di fare il doppiogioco (disegno Marchionne o/e capitalismo Renano), ma come tutti i giocatori di trotto sta chiaramente rischiando di rimanere al Palo. La seconda, impossibilitata ontologicamente a tradire la Costituzione, è stata opportunamente tenuta fuori dai giochi nell’auspicio che gli apprendisti stregoni della pletora di avvocati capitanati dall’avvocato Ghedini e dal guardasigilli Angelino Alfano riuscissero a neutralizzare le indagini di corruzione, malaffare e criminalità organizzata. Ma la robustezza del disegno costituzionale post fascista e la complessità giurisprudenziale italiana hanno fatto naufragare malamente ogni tentativo.

La sentenza di costituzionalità del cosiddetto provvedimento Alfano (Travaglio giustamente rifiuta di chiamarlo Lodo, che è un usuale strumento giuridico di diritto privato, che nulla a che fare con l’immunità processuale) é il miglior esempio che il disegno Marchionne non potrà mai realizzarsi fin quando la prima parte della Costituzione rimane quella che Calamandrei, uno dei rari veri liberali della storia italiana, definì, parafrasando Churchill, “la migliore delle costituzioni possibili”.

Si tratta ora a noi di difenderLa dal disegno Marchionne: chiediamo tutti le dimissioni del Presidente del Consiglio per Disturbo Ossessivo-Compulsivo Sessuale conclamato!!!

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