Sicilia. Le ombre del Boia chi molla tornano

ROMA – La folla, esasperata dalla crisi, dal disagio sociale, abbandonata dalla politica e dalle idee, si unisce al blocco del traffico e di tutte le attività produttive e commerciali.

Intimidazioni, aggressioni, veri e propri sequestri di persona, perfino casi di malcelate estorsioni. Sacrosante richieste che si confondono, nella esasperazione non dei toni ma delle azioni dirette a cittadini comuni e non a istituzioni e palazzi queste si responsabili del quadro di esasperazione, in azioni criminali, ricattatorie e eversive. Questo quello che accade in Sicilia. Con evidenti infiltrazioni (soltanto?) di criminalità organizzata (non comune, ma Cosa nostra), gruppi di estrema destra (Forza nuova), presunti schieramenti politici autonomisti/separatisti (pezzi di Mpa e di quel Pdl figlio di Miccichè e Dell’Utri). Questo. Con migliaia di bisogni usati come carne da macello.
Quello che accade ci porta indietro. Ai fatti di Reggio Calabria dei primi ’70, al Boia chi molla di Ciccio Franco. In un’Italia che usciva da Piazza Fontana e si avviava direttamente al tentato golpe Borghese. Un golpe fallito, certo, ma che fu un pericolo enorme per il nostro paese. Un pericolo vero. Che non andò a esecuzione perché non c’era all’epoca una condizione di vuoto di memoria, di organizzazioni democratiche, di unione delle forze sociali. Un vuoto che ora c’è.

Se la cosiddetta rivolta dei forconi passerà lo Stretto dilagando dalla Calabria alla penisola ci troveremo, tanto per aggravare la situazione, davanti alla saldatura fra organizzazioni criminali concorrenti, fra Cosa nostra e ‘ndrangheta, in una comune operazione di infiltrazione, uso e strumentalizzazione della protesta. Non è una semplificazione la mia. Chiedetevi, ad esempio, chi controlla davvero l’autotrasporto in Sicilia e Calabria, chi gestisce il clientelismo legato all’agricoltura, chi ha interesse a “ricontrattare”, oggi come ieri.
Ma queste domande non se le da l’informazione paludata. Non se le fa la cosiddetta autonominata buona informazione. O si sottovaluta il “ribellismo peloso” relegandolo a questione periferica e locale, o, peggio, lo si esalta acriticamente e retoricamente affascinati da improbabili assonanze con le tante (e spesso nel sangue fallite) primavere arabe.
Guardo com allarme. E con paura.

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