Cervelli in fuga: intervista a Fabio Franchini, fisico teorico

Fabio Franchini è ricercatore alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (Sissa) nel gruppo di fisica statistica. A soli trentacinque anni si aggiudica una borsa Marie Curie della Commissione Europea. Un riconoscimento importante il cui impegno lo porterà due anni negli Stati Uniti, nel Centro di fisica teorica delMassachusetts Institute of Technology” di Boston.

Perché Fabio Franchini? Innanzitutto perché, curriculum alla mano, si scopre un’altra giovane promessa italiana. Classe 1976, laurea in fisica all’Università di Bologna, dottorato di ricerca alla Stony Brook University di New York nel 2006, è ricercatore in Italia al Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam” fino al 2009. Nello stesso anno entra nel gruppo di ricerca di fisica statistica della Sissa di Trieste. E poi perché non mi stancherò mai di pensare che in un paese come il nostro, dove la ricerca sopravvive soltanto grazie alla passione e al sacrificio dei singoli (uno stipendio vale circa mille euro mensili), troviamo ancora giovani ricercatori in grado di emergere. Merito, questo, della proverbiale tenacia e volontà che anima l’impegno dei ricercatori italiani. Accade allora che alcuni di loro, i più meritevoli, vengano premiati tramite fondi esteri (europei, internazionali, privati).

Dopo il comunicato stampa della Sissa ho chiamato al telefono Fabio Franchini. È stato un momento di scambio carico di sentimenti propositivi, stimolanti.

Ecco alcune domande.

Innanzitutto complimenti Franchini. Con il tuo progetto di ricerca intendi studiare la conduttività elettrica della materia avvalendoti della complessa matematica della “teoria delle stringhe”, la teoria unificatrice tanto cercata da Einstein; quella che, tra le altre cose, definisce il numero dei possibili universi paralleli. Insomma Franchini, conduttività elettrica da un lato e una teoria complessa ancora in fase di studio da un altro. Facciamo un po’ di chiarezza.

Nella fisica non è infrequente che fenomeni all’apparenza molto diversi siano governati dagli stessi principi fondamentali. L’intuizione che guida il mio progetto è che un formalismo sviluppato per descrivere una certa teoria delle stringhe possa essere applicato anche a descrivere cosa succede in un filo elettrico quando il numero di imperfezioni inevitabilmente presenti in ogni materiale cresce fino a bloccare completamente la conduzione elettrica. Un fenomeno noto come localizzazione di Anderson, dal nome del fisico che per primo lo studiò mezzo secolo fa.

Come nasce la passione per certi studi? Io da bambino operavo palline di carta, tu pensavi già alla natura della materia?

Da piccolo amavo il Lego e mi ha accompagnato fino all’adolescenza. Ma intorno ai 13/14 anni i miei genitori mi regalarono una cosa fantastica, una specie di Piccolo Chimico per l’elettronica che mi ha guidato nella comprensione dell’elettricità e nella costruzione di piccoli circuiti elettronici. Si chiamava Kormos e se esiste ancora lo consiglio a tutti, anche adulti curiosi. Ma la vera passione per la fisica è scoppiata solo all’ultimo anno di liceo.

Hai appena descritto il tuo progetto di ricerca. La mia curiosità però si spinge oltre e ti chiedo quali siano gli scopi di questo studio. Quali, ad esempio, le possibili applicazioni concrete alla vita reale, quella di tutti i giorni.

E’ difficile rispondere chiaramente a questa domanda, perché il mio lavoro è di ricerca di base e quindi cerchiamo di rispondere a domande fondamentali, che non hanno magari ancora una chiara applicazione, ma che hanno la potenzialità per creare delle rivoluzioni tecnologiche in un prossimo futuro. La verità è che solo recentemente i laboratori hanno raggiunto una sofisticazione tale da poter osservare sperimentalmente la localizzazione di Anderson. Quindi capirla meglio può aiutare a dirigere l’attenzione degli sperimentatori e suggerire loro applicazioni non ancora immaginate.

Due anni all’MIT, fabbrica di ben 76 premi nobel. Un luogo dove potrai acquisire nuove competenze, crescere professionalmente e…

Un sogno ed una sfida. Il MIT fa parte di quelle due o tre istituzioni dove ogni fisico vorrebbe lavorare e la considero l’opportunità di una vita. E quindi sento anche la pressione per sfruttare questa occasione al meglio e mostrarmene degno…

 

Un tempo nella valigia degli emigranti italiani non mancava mai la pasta. Ora, specie quella italiana, si trova ovunque. Va detto però che i ricercatori sono quasi sempre degli ottimi cuochi, non fosse altro perché vivono spesso lontano da casa. Franchini, tu sei di Bologna, il ragù alla bolognese è interpretato in diversi modi soprattutto per la scelta della carni utilizzate. Hai una tua ricetta?

Ho imparato a cucinare durante la mia prima esperienza negli Stati Uniti ed anche con quel poco che riuscivo a fare sono riuscito a stupire i miei colleghi stranieri. Con gli anni ho perfezionato la mia cucina, ma ora in Italia mi sto impigrendo di nuovo. Ma devo ammettere che negli USA ho avuto la possibilità di imparare ad apprezzare anche le altre cucine, che possono riservare delle sorprese molto interessanti.

Lasciamo la fisica dei fornelli e torniamo ai tuoi meriti scientifici. Trecentomila euro di fondi a un fisico teorico. Cifra impossibile in Italia ma realtà concreta a livello europeo. Trecentomila euro per chi non è del mestiere sembrerebbero tanti, ma…

No, stavolta sono tanti, specialmente per un progetto in fisica teorica. Ma chiaramente ci sono anche tanti costi da sostenere, sia per la SISSA, sia per il MIT, e quindi non sono affatto tutti per me. Soprattutto sono contento perché a 35 anni, per la prima volta, il mio contratto mi permetterà di accumulare qualcosa per un fondo pensione, perché finora, con i contratti da precario che ho avuto, non era prevista nessuna previdenza, né in Italia, né in America.

Franchini, due parole ai neolaureati e a coloro che cominciano ora a muovere i primi passi in un mondo, quello della ricerca, non libero da frustrazioni. Io intanto ti ringrazio e ti faccio i migliori auguri.

La ricerca la si sceglie per passione e la si persegue finché le frustrazioni non sono tali da inacidire la gioia e la soddisfazione che dà muoversi in un territorio inesplorato e farsi strada a tentativi ed intuzioni. Spesso quando si comincia a fare ricerca dopo la laurea ci si crede dei geni e si pensa di poter rivoluzionare il mondo con le proprie idee. Invece andando avanti si capisce che di geni ce ne sono davvero pochi e la maggior parte di noi sono solo degli operai della ricerca, che mettono con cura i mattoni di un edificio di cui nessuno ha il progetto completo. Alcuni trovano questa scoperta desolante, secondo me, invece, è molto appagante l’idea di fare parte di una comunità che lavora con tanto metodo e contemporaneamente tanta creatività.

 

Quando ho attaccato il telefono sono rimasto con quel senso di appagamento che capita sempre al termine di cose piacevoli. Una passeggiata, una musica, un quadro. Sono entrato nella sala microscopi con la testa colma di immagini. Un luogo sofisticato, pieno di attrezzature tanto rare in Italia. Ho pensato a Fabio Franchini, al suo viaggio oltreoceano, all’inizio di un’avventura nel cuore della materia.

 

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