Draghi. Tassi fermi, soldi a volontà (alle banche). La colpa è anche degli altri

ROMA – Riunione complessa quella di oggi del Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea che si è conclusa con la decisione di mantenere lo i tassi di interesse di riferimento dell’area euro al minimo storico dell’1 per cento, ovvero al minimo storico nell’area euro dopo i due tagli, ciascuno da un quarto di punto, operati a novembre e dicembre 2011.

Francoforte, a maggioranza, lascia fermi i tassi
A cambiare decisamente sembra però essere l’aria, a cominciare dalla mancata unanimità della decisione di lasciare le cose come stanno. Nelle parole del presidente dell’Istituto di Francoforte, Mario Draghi, nella conferenza stampa seguita alla riunione, la decisione non è stata unanime ma è stata assunta a “larga maggioranza” e con “alcuni componenti del direttorio che avrebbero preferito un taglio”.
Una enorme differenza rispetto ad appena il mese scorso, quando lo stesso Presidente aveva riferito che dell’ipotesi di ridurre i tassi non si era nemmeno discusso.

Borse brillanti
Dopo l’annuncio di non ribassare i tassi sembrava essersi fermata l’ondata rialzista che aveva investito le borse del Vecchio continente, in cui si era diffusa una certa attesa per un possibile taglio. Ma è bastato a far rifiatare i mercati che hanno ripreso a correre chiudendo tutti con forti rialzi.
Star della giornata Milano che ha chiuso a +3,50. Parigi ha chiuso al più 2,42 per cento, Francoforte al più 2,09 per cento, Londra al più 2,36 per cento, Madrid al più 2,41 per cento.

Polemica tra Draghi e Obama. Previsioni limate al ribasso
 Il Presidente Draghi ha polemizzato con Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che aveva accusato il Vecchio Continente di aver gestito male la situazione. “L’Europa ha le sue responsabilità per la crisi ma anche gli altri paesi hanno i loro problemi. Quindi non è giusto, equilibrato, dire che l’Europa è la causa principale della crisi”: Il Presidente di Eurotower non può nascondere il momento difficile che vive l’Eurozona visto che “La crescita economica  resta debole, con una elevata incertezza e crescenti rischi di ribasso connessi, in particolare, ad un ulteriore aumento delle tensioni nei mercati finanziari dell’area Euro e alle loro ricadute potenziali per l’economia”. Ma la Bce ha deciso di mantenere invariate le stime di crescita per il 2012, con il Pil dell’Eurozona che è visto mantenersi nella forchetta -0,5/+0,3%, mentre rivede al ribasso le stime di marzo scorso e relative all’anno prossimo prevedendo un range compreso fra 0 e 2%,.
L’Istituto di Francoforte conferma invece la previsione che quest’anno l’inflazione si attesterà al 2,4%, mentre nel 2013, come già previsto a Marzo, rallenterà all’1,6%.

Nessuna “soluzione miracolo” ma l’Europa decida dove andare
Draghi ha affermato come non vi siano, nell’arsenale disponibile della BCE “soluzioni miracolo” alla crisi dell’area euro e non ha fatto alcun cenno al forte sollecito arrivato dalla Spagna di riattivare il programma di acquisti diretti da parte della Bce di titoli di Stato dell’area euro.
Draghi ha poi dichiarato come questa sia “il prodotto di molti fattori” uno dei quali è la attuale architettura dell’Unione.
“L’Unione deve decidere se muoversi ancora avanti o no”, ovvero se debba smettere di essere una mera Unione monetaria diventando anche una Unione di bilanci.
Su questo punto Draghi esorta i paesi membri a fare “chiarezza” e a sforzarsi capire cosa si intenda fare sull’integrazione europea nel medio termine.
Per parte sua “la Bce continuerà con la sua politica monetaria orientata alla stabilità prezzi: pensiamo che sia la cosa migliore sia per l’area euro che per il resto del mondo”.


Grandi sforzi ma non esiste solo il bilancio. Non siamo ai tempi del crack Lehman
Guardando a quei paesi europei che si sono trovati più esposti ai giochi della speculazione Draghi ha sottolineato come non si sia trattato esclusivamente di problemi di squilibri dei conti pubblici ma questi siano comunque da risolvere prioritariamente, proprio paesi  “come la Spagna, l’Italia, il Portogallo e l’Irlanda, e perfino la Grecia, hanno intrapreso sforzi enormi e hanno compiuto progressi considerevoli sul risanamento dei conti” ma, secondo Draghi questo non basta ancora, “Ora devono continuare e completare questi sforzi” compiendo “altri passi tramite riforme strutturali”.
Ma non c’è da farsi prendere dal pessimismo, secondo Draghi la attuale situazione dei mercati è molto meno grave di quanto accadde dopo il crack della banca americana Lehman Brothers, nel 2008. “Siamo ancora lontani” da uno scenario tanto catastrofico.

E per qualcuno la crisi vuol dire milioni
E parlando di crisi arriva, come un ceffone, la classifica ‘Finance 50′ stilata da Bloomberg Magazine sui 50 manager piu’ retribuiti di Wall Street.
In testa Henry Roberts Kravis, numero uno del colosso del private equity mondiale KKR, che nel 2011, ha incassato tra stipendio e bonus 30 milioni di dollari.
Al secondo posto si piazza George Roberts, cugino di Kravis, co-fondatore nel 1976 e co-ceo di KKR. Per lui 29,9 milioni di dollari.
Al terzo posto si piazza John Strangfeld di Prudential Financial, con 23,7 milioni di dollari nel 2011, al quarto Jamie Dimon, alla guida di una  JP Morgan che espone perdite mostruose, con 23,1 milioni di dollari e al quinto Kenneth Chenault di American Express, con 23 milioni di dollari.
Il 15/o posto va invece del ceo di Citigroup Vikram Pandit, con 15 milioni, che conquista il primato, negativissimo, di aver creato il minor valore per la banca e per gli azionisti.
Complesso i compensi dei supermanager americani, stando ai dati consegnati alla Sec, l’equivalente a stelle e strisce della nosta Consob, sono cresciuti del 20%. Un po’ meno del più 26 per cento dello scorso anno ma secondo molti nulla di cui lamentarsi.

Ma la BCE tiene i rubinetti spalancati
La BCE ha deciso che proseguirà almeno fino all’inizio del prossimo anno il piano di rifinanziamenti straordinari agevolati a tre mesi a favore delle banche e manterrà “per tutto il tempo necessario” le modalità straordinarie di erogazione dei rifinanziamenti ordinari.
Forse preoccupa quel misero più 20 per cento dei top manager?

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