ROMA – Approvata la legge sulla riforma del mercato del lavoro, ora Monti deve dar corso all’impegno assunto con le forze politiche che lo sostengono di dare soluzione al problema degli “esodati”.
Un vero e proprio rebus che deve avere una rapida soluzione che trae origine di una parola, la cui nascita viene attribuita ad una legge a firma dell’allora Ministro del Lavoro Franco Marini, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nel lontano 2 aprile 1992 e riguardante “il versamento al Fondo di Previdenza autoferrotranvieri dell’ importo del valore tecnico delle mensilità’ di pensione detterariael personale esodato ai sensi dell’ art. 3 della legge 12 luglio 1988, n. 270″. Da ciò si deduce che la pubblicizzazione originaria della parola, èdi natura burocratica.
Sotto l’aspetto grammaticale, va, però, precisato che il termine “esodato” non è il participio passato del verbo “esodare”come comunemente si pensa, perché, per la lingua italiana, questo verbo non esiste ma è un vocabolo avente come radice di origine il termine “esodo” che equivale ad emigrazione, esilio, uscita, di un gran numero di persone. L’Esodo più antico e più noto (obbligatoriamente con la maiuscola) è quello che ha dato il nome al secondo libro dell’Antico Testamento che narra l’uscita degli Ebrei dall’Egitto sotto la guida di Mosè per liberarsi dalla schiavitù dei faraoni; il loro numero non è mai stato quantificato con esattezza.
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Ai giorni nostri, questa parola è stata via via adattata ai nuovi fenomeni di “uscita di massa”: esodo tipicamente vacanziero (estivo, ferragostano, natalizio, pasquale) compreso il mini esodo collegato ai “ponti”; uscite, queste, certamente piacevoli come altrettanto piacevoli devono essere stati gli esodi di capitali verso i paradisi fiscali stranieri e, in questo caso, non si parla più di migliaia bensì di milioni o di miliardi. Molto meno piacevole è, invece, il significato della parola “esodo” quando la si accosta al mondo del lavoro; anche qui, come per l’esodo biblico, all’inizio delle crisi occupazionali, gli esodi non vengono mai quantificati subito; talvolta vengono pure smentiti , come successe in occasione della fusione Unicredit-Capitalia: Geronzi e Profumo, pur proclamando una sensibile riduzione di costi derivanti da nuove sinergie, a priori esclusero gli esodi, ma, alle prime schermaglie sindacali, ecco che comparvero con cifre in centinaia di migliaia.
Gli esodi scaturiscono da accordi con le aziende
Gli esodi scaturiscono da accordi sottoscritti dalle aziende o con le sigle sindacali (esodi di massa) oppure con singoli interessati, nei quali vengono previste le date di uscita anticipata dal servizio, a determinate condizioni di “accompagnamento” delle più varie (erogazione di “una tantum”, assistenza economica attraverso specifici Fondi di solidarietà, ricorso alla cassa integrazione o alla legge relativa alle aziende in dichiarato stato di crisi ecc.)fino al raggiungimento dei requisiti pensionistici, quando, i diretti interessati diventano veri e propri pensionati Inps. Questo sistema, fino all’avvento del governo Monti, aveva funzionato alla perfezione, con reciproca soddisfazione dei lavoratori e delle aziende interessate.
La “rivoluzionaria” riforma pensionistica inventata dal governo dei tecnici ha sparigliato le carte di questo efficiente settore, allungando i tempi dell’agognata pensione. Di conseguenza, coloro i quali avevano sottoscritto gli accordi di uscita, sia quelli ancora in servizio (esodandi) che quelli già usciti (esodati), si sono ritrovati di colpo allungata la data di ricongiungimento alla pensione reale Inps, per molti casi, anche di diversi anni, ma, quel che è peggio, con il rischio di non percepire né lo stipendio (in quanto non più in attività dalla data concordata per l’uscita) né la pensione perché i requisiti attuali ne prevedevano un imprevedibile (all’epoca dell’accordo) e fulmineo allungamento per dare respiro alle casse statali.
La sottovalutazione da parte del governo
Il governo, di tutta questa situazione, ha valutato solo gli interessati alle uscite per il primo biennio 2012/2013, quantificandoli in 65.000, e accantonando la relativa copertura solo per loro.
Da subito, però, la realtà è apparsa assai ben diversa e, a seguito di dichiarazioni, precisazioni, botte e risposta, manifestazioni , la cifra è progressivamente aumentata e, per le organizzazioni sindacali, la stessa viene ritenuta non inferiore ai 350.000 lavoratori. Di recente, una dichiarazione del Direttore Generale dell’Inps (che ha fatto infuriare la Fornero) parlava di dati intorno ai 130.000, ma, a distanza di sette mesi dal primo decreto Monti, ancora nessuno riesce a fornire un dato certo e sicuro.
Eppure, trattandosi di accordi aziendali (singoli o sindacali), extra contrattuali, gli stessi dovrebbero essere stati registrati presso gli uffici provinciali del Ministero del lavoro, si pensa, con relativa informazione all’Inps. Ultimamente, per la prima volta, è intervenuto nella diatriba anche il Presidente Monti con una tranquillizzante assicurazione che comunque il problema verrà risolto, nell’interesse (economico…) di tutte le parti interessate che, lo ricordiamo, sono l’Inps (cioè una voce pesantissima del bilancio statale), le aziende ma, soprattutto, i lavoratori, dietro ai quali ci sono famiglie con problematiche annesse facilmente immaginabili. Pertanto, un solo dato è, per ora, certo: sono migliaia le famiglie in attesa di essere tranquillizzate.