Confcommercio, per ogni nuova impresa ne chiudono due

ROMA – Negozi, bar e ristoranti continuano a chiudere, anche se ‘l’emorraggià di imprese commerciali nei primi cinque mesi del 2014 sta rallentando. È quanto rivela l’Osservatorio Confcommercio, secondo cui per ogni nuovo esercizio ne chiudono due. La situazione più grave si registra nelle regioni meridionali, dove si concentra quasi un terzo delle chiusure complessive. All’abbassarsi delle saracinesche fa riscontro la tenuta del commercio ambulante. 

Da gennaio a maggio – rileva l’Osservatorio sulla demografia delle imprese del mese di giugno realizzato dall’Ufficio Studi Confcommercio – il numero di imprese del terziario di mercato che cessano l’attività continua ad essere superiore a quello delle nuove iscrizioni. Le aperture sono state 57.599 e le chiusure 110.315: il saldo rimane quindi negativo ma risulta in leggero rallentamento rispetto all’anno scorso: -52.716 unità contro -55.815 dei primi 5 mesi del 2013. Le attività di alloggio e ristorazione sono le uniche all’interno del comparto a registrare un peggioramento del saldo, passato da -7.612 a -7.752, mentre continua il trend espansivo del commercio ambulante (7.043 iscrizioni contro le 6.433 dell’anno precedente, con un saldo di -604 contro -1.376 di gennaio-maggio 2013). Il dato territoriale conferma la particolare debolezza del sistema imprenditoriale del Mezzogiorno dove si registra una consistente riduzione dello stock di imprese: 18.823 iscrizioni e 36.176 cessazioni. Il saldo negativo è al Sud di 17.353 unità, contro 11.426 del Centro, 9.816 del Nord-est e 14.121 del Nord ovest.

«Il saldo negativo dei primi cinque mesi dell’anno riferito all’Area Confcommercio – osserva la Confederazione – si è lievemente ridimensionato rispetto ai primi cinque mesi del 2013 per effetto di un calo delle cessazioni, mentre il numero delle nuove iniziative imprenditoriali è rimasto sui medesimi livelli dei primi cinque mesi dello scorso anno». «Questi dati – fa notare la Confcommercio – confermano, da un lato, il persistere di una fase di debolezza del ciclo economico e l’assenza di concreti e significativi segnali di ripartenza; dall’altro, evidenziano come le imprese di questo comparto, nonostante le difficoltà legate ad una domanda interna stagnante, all’elevata pressione fiscale, a un limitato accesso al credito, ai mancati pagamenti dei debiti della P.A., riescono a contenere gli effetti del protrarsi della crisi».

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