Consiglio europeo positivo, ma manca la crescita

ROMA – I risultati politici del Consiglio europeo del 24-25 marzo scorso sono più importanti di quanto emerge dalla semplice lettura dei documenti finali. Il più positivo effetto è stato per il momento l’accantonamento dell’idea di un’Europa a due velocità.

Si è ritornati a pensare ad una vera governance europea responsabile e solidale nei confronti dell’emergenza posta dalla sostenibilità del debito pubblico di alcuni Stati e dalla speculazione. Del resto per rispondere in modo convincente alle sfide occorre sempre partire dalle cause scatenanti della crisi globale e dagli effetti da essa provocati sulle economie e sui bilanci dei singoli Paesi.  Nei vortici della crisi, il debito pubblico dei Paesi cosiddetti avanzati è passato dall’80% al 100% del Pil. Nella zona dell’euro questo rapporto in media è stato dell’84% nel 2010. Negli Usa oggi è quasi del 100%.

Tale evoluzione negativa in gran parte è dovuta alle politiche di salvataggio del sistema bancario privato da parte degli Stati. I governi europei sono intervenuti, infatti, con circa 2.000 miliardi di euro, mentre quello americano ha sborsato poco meno di 3.000 miliardi di dollari. Certo una piccola parte è stata restituita dalle banche salvate, ma la grande parte dei prestiti erogati rischia di diventare un contributo statale a fondo perduto. Per quanto riguarda l’Europa è certamente vero che alcuni governi, come la Grecia, hanno approfittato delle inefficienze istituzionali per indebitarsi fuori misura. E’ altrettanto vero però che, oltre al generale aggravamento del debito pubblico sopra menzionato, sono state le stesse banche private. europee ed internazionali a determinare e a sostenere le varie bolle finanziarie e speculative che si sono registrate nei settori immobiliari, delle carte di credito, dei derivati e via discorrendo in paesi deboli quali l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna.

Infatti, l’esposizione delle banche europee nei confronti dei paesi a rischio, dei PIGS per intenderci, è estremamente alta. Le banche tedesche sono esposte per più di 600 miliardi di dollari, quelle francesi per 440 miliardi e quelle inglesi per 430. Per le banche italiane, come noto, l’esposizione è pari a 80 miliardi.  
Non per coprire le responsabilità di chi si è indebitato né tanto meno per negare l’ovvia necessità di rimettere i conti  a posto, ma rendere il debito pubblico l’unico parametro di giudizio è fuorviante e ingiusto.
Il valore del debito pubblico del Portogallo è di 143 miliardi di euro e quello greco di circa 300 miliardi: cifre importanti ma sempre da valutare in rapporto al notevole ammontare dei prestiti suddetti. Perciò il Consiglio europeo dei capi di stato e di governo ha concluso che si torni ad affrontare insieme le crisi con gli strumenti della politica e con adeguate scelte economiche. Del resto agli Stati, e anche al sistema bancario, costerebbero molto di più un eventuale abbandono dell’euro e lo sgretolamento dell’Ue.  Il documento finale aggiunge quindi al parametro del debito pubblico altri fattori di rilevante criticità quali il debito privato, la situazione bancaria, il sistema pensionistico e altri criteri.

In concreto si elimina la falsa concezione sulla credibilità di uno stato in rapporto alla tripla A concessa dalle poco credibili Agenzie di rating. Finalmente si riconosce la centralità del Mercato Unico europeo e la necessità di aumentare la crescita, l’occupazione e la competitività del sistema. Per quanto riguarda il debito pubblico si è deciso di continuare con l’European Financial Stability Facility, cioè quel meccanismo di salvataggio dei Paesi in difficoltà. Dopo il 2013 esso sarà sostituito da un fondo con una capacità di prestito effettiva di 500 miliardi di euro che potrà finanziarsi anche attraverso l’emissione di bond garantiti dai Paesi dell’euro. Circa i meccanismi di intervento il nuovo patto europeo però, ancora una volta,  privilegia la stabilità rispetto alla crescita. Per riportare il deficit sotto il 3% del Pil si richiedono piani di correzione e una stretta dei conti annuali “ben al di sopra dello 0,5% del Pil”. Per abbattere il debito pubblico si prevede una riduzione annuale pari a un ventesimo della differenza tra il livello attuale del rapporto debito/pil e l’obiettivo del 60%. Il ruolo di Bruxelles sarà più stringente e con forti poteri sanzionatori. Si richiede tra l’altro una profonda revisione della spesa pubblica, cosa condivisibile, ma anche una riduzione di quella pensionistica.

Non vorremmo che in assenza di una seria politica di crescita economica, tali meccanismi sollecitino una spinta deflativa e una recessione prolungata. In certo qual modo nelle scelte del Consiglio europeo “domina” ancora l’errore di fondo del trattato di Maastricht che considera gli investimenti come costi all’interno di un bilancio. Noi riteniamo urgente invece la creazione di uno specifico “Fondo per la crescita” per promuovere gli investimenti nelle infrastrutture, nella ricerca e nell’innovazione tecnologica da finanziarsi attraverso i contributi degli Stati e soprattutto attraverso l’emissione delle cosiddette “obbligazioni Delors”. Un fondo che potrebbe essere sostenuto anche dagli introiti di una tassa sulle transazioni finanziarie, una sorta di Tobin tax, che per la prima volta viene menzionata nel documento finale.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe