Pressione fiscale, finalmente un “primato” italiano

Quando uno qualsiasi degli istituti o delle organizzazioni a carattere economico pubblica una classifica su questo o quell’indice di riferimento, l’Italia trema. 

ROMA – Pil, crescita, occupazione, produzione industriale e chi più ne ha, più ne metta; il nostro paese finisce quasi sempre in fondo alla classifica, spesso dietro a nazioni che conosciamo soltanto per via dei mondiali di calcio. Non tutti sanno che (inizio della parte sarcastica), in realtà, c’è qualcosa in cui l’Italia primeggia. Non sul podio, certo, ma siamo comunque davanti a superpotenze mondiali, e ciò dovrebbe generare in noi un certo sentimento di orgoglio. Stiamo parlando della pressione fiscale, classifica che vede l’Italia collocarsi al sesto posto dei paesi Ocse. Un dato (fine della parte sarcastica) sul quale occorrerebbe concentrarsi sul serio. 

Esattamente da martedì 4 giugno abbiamo iniziato a lavorare per spendere in vista delle nostre esigenze (cibo, viaggi, vestiti ecc.). Prima di questa data, invece, abbiamo lavorato per pagare le tasse. È il Tax Freedom Day, ossia il giorno in cui smetteremmo di pagare le tasse qualora le imposte venissero anticipate allo Stato. Si tratta di un evento simbolico, naturalmente, utile però a stabilire l’entità della pressione fiscale nei vari paesi; più a lungo cade la data, maggiore è l’impatto che le tasse assumono sui redditi dei lavoratori. 

Come anticipato, l’Italia brilla in negativo. Tanto per fare qualche esempio, in Germania il Tax Freedom Day del 2019 è caduto il 16 maggio, in Spagna il 1° maggio (ottimo modo per celebrare la festa dei lavoratori), nel Regno Unito il 30 aprile e negli Usa l’8 dello stesso mese. Meglio di noi anche Grecia (22 maggio) e Portogallo (8 maggio). Solo Francia, Danimarca, Belgio, Svezia, Finlandia e Austria sono messe peggio. La pressione fiscale in Italia supera il 42%, in crescita nel 2019 (42,4%) di circa mezzo punto rispetto all’anno precedente. Un salasso di proposizione imponenti, che richiede a gran voce una significativa e strutturale riforma del sistema fiscale, che passi non soltanto per il contrasto all’evasione.

L’evasione, certo. L’Italia ha un altro triste primato. Qui da noi, si raccoglie solo il 38% dei proventi derivanti dall’IVA, contro, ad esempio, il 95% della Nuova Zelanda. Solo il Messico fa peggio. Ma proprio il Messico ci mostra che la lotta all’evasione non basta: nel paese del centroamerica, il Tax Freedom Day è arrivato, il 29 febbraio! Evidentemente, dunque, con un meccanismo intelligente di prelievo fiscale si può affrontare a petto in fuori anche la piaga sociale, perché non va dimenticato che di questo si tratta, oltre che di una delle espressioni peggiori di furto ai danni della comunità, dell’evasione. 

Che fare, dunque? La proposta all’ordine del giorno è quella relativa alla Flat Tax, che tra sostenitori e detrattori ha fin qui soltanto chiarito che si tratta di tutto, meno che di Flat. L’idea che più verosimilmente verrà messa in atto vedrà una modifica delle aliquote Irpef, attualmente cinque, con una riduzione forse a due, quantomeno per evitare di incorrere nell’altolà della Costituzione, che parla chiaramente di sistema non solo proporzionale, ma anche progressivo. È la soluzione? Difficile a dirlo, i risultati in giro per il mondo mostrano dati contrastanti. Più interessante è forse il discorso laterale che accompagna il dibattito sulla Flat Tax, quello relativo alle detrazioni. Che sia la via maestra? Lo scopriremo. 

Condividi sui social

Articoli correlati