Lo spettro del credit crunch dalla Cina all’Europa, Borse KO

TRIESTE – Lo scenario delineato dalla nuova ottava di Borsa è sostanzialmente il medesimo degli ultimi sette giorni: una perdurante crisi della Zona Euro, alle prese con una generalizzata debolezza congiunturale sulla quale si innestano le politiche monetarie fortemente espansive della Federal Reserve e della Bank of Japan, in grado di originare una contenuta crescita economica ma inadeguate a generare aspettative inflazionistiche.

L’annuncio del Governatore della Fed, la banca centrale degli Stati Uniti d’America, riguardo la possibilità di prossime dismissioni dal Quantitative Easing 3 (creazione ed iniezione di moneta nel sistema finanziario ed economico) ha già manifestato i suoi pesanti effetti, con i listini che hanno lasciato mediamente il 3-4% sul tappeto: una conseguenza della volatilità di breve periodo, fattore decisamente più emotivo che tecnico, perché i tassi d’interesse dovrebbero restare ben ancorati ai livelli attuali ancora per un biennio. Per gli investitori una settimana tutta da dimenticare ed una sempre più diffusa sensazione, dovuta in parte alle preoccupazioni connesse ai recenti avvenimenti, che dopo un brillante primo tempo trascorso sulla cresta di quell’onda iniziata negli ultimi mesi del 2012 la spinta si stia esaurendo, preludendo ad una seconda pesante fase estiva di vendite.

Con in agguato il rischio sempre più concreto di una correzione tecnica e quasi 690 miliardi di euro di capitalizzazione andati in fumo in Europa negli ultimi cinque giorni di contrattazioni, anche gli importanti miglioramenti  dell’indice IFO (che misura le aspettative degli imprenditori tedeschi) e di quello Istat (che valuta la fiducia dei consumatori in Italia), rispettivamente in linea e superiore alle attese degli analisti, sono passati in secondo piano rispetto alle tensioni che stanno controllando i mercati internazionali.
Sempre in tema di Bel Paese da segnalare un’analisi sulla situazione economica italiana riportata dal Corriere della Sera, secondo la quale senza una svolta radicale in grado di innescare il “fattore crescita” il limite del 3% del rapporto deficit/PIL non sarà rispettato neanche quest’anno, costringendo l’Italia ad accedere agli aiuti del fondo salva Stati chiedendo alla BCE (Banca Centrale Europea) di attivare l’OMT (Outright Monetary Transactions, acquisto diretto di titoli di Stato a breve termine emessi da Paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata). Situazione che, a parere degli autori dello studio, potrebbe ancora essere evitata attraverso il taglio di una cinquantina di miliardi di tasse sul lavoro, accompagnando questa manovra a minori spese per un importo analogo, questa volta distribuito nel corso di un triennio; in tal modo basterebbe richiedere a Bruxelles di sforare il tetto del 3% per alcuni anni (due ?!), come già fatto da Spagna e Francia.
Simile il parere della BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali), secondo il quale non bisogna sprecare l’attuale tregua fornita dalle banche centrali ed agire proseguendo verso la riduzione di un debito pubblico a livelli record e che «continua a crescere»;  poiché poi in Paesi ad elevata pressione fiscale come il nostro c’è poco spazio di manovra per aumentare le tasse, bisogna allora «adoperarsi per ridurre la spesa» accelerando «le riforme dei mercati del lavoro e dei prodotti».
Mercato globale, problemi globali: gli analisti della banca d’affari americana Goldman Sachs hanno tagliato le stime di crescita 2013 dell’economia cinese dal 7,8% al 7,4% nel timore che la scarsa liquidità nel sistema bancario possa danneggiare l’economia reale: negli ultimi giorni si sono infatti susseguiti dei rumors secondo i quali la People’s Bank of China, una delle maggiori banche dell’ex Celeste Impero, si sarebbe trovata a un passo dal default od in un default momentaneo (circa mezz’ora) per mancanza di liquidità. In realtà l’istituto dovrebbe disporre di ampie riserve, alle quali deve però massicciamente ricorrere perché il credit crunch, la stretta creditizia a causa della quale cala la fiducia tra gli istituti di credito che si prestano a vicenda denaro solo con molta riluttanza ed a tassi proibitivi, sembra già imperare, alimentando i dubbi sulla stabilità finanziaria del colosso asiatico.

Seduta negativa per i listini asiatici, con Shanghai in perdita del 5,3% (peggior scivolone dall’agosto del 2009) ed Hong Kong in ribasso del 2,3%, appesantite dai titoli del comparto bancario, i più esposti al rischio del credit crunch, e da quelli del settore minerario, danneggiati dalla caduta dal prezzo del rame.
Calo anche per la Borsa di Tokyo (-1,26%) che, dopo un avvio di seduta propiziato dal calo dello yen, ha risentito delle preoccupazioni circa le reali potenzialità di crescita dell’economia del paese: il presidente del fondo pensione pubblico del Giappone, Takahiro Mitani, ha espresso le proprie perplessità sul raggiungimento degli obiettivi di politica economica del primo ministro Shinzo Abe; anche il risultato delle elezioni municipali di Tokyo indica che l’elettorato non è convinto delle misure adottate dal Governo.
Nel Vecchio Continente le principali Borse europee hanno aperto apparentemente senza risentire delle perdite registrate dai mercati asiatici, anche se poi questa moderata cautela non ha retto trascinando in negativo tutti i listini: Francoforte -1,24%, Londra -1,4%, Parigi -1,71% e Madrid -1,91%, con le vendite concentrate soprattutto sui titoli del comparto finanziario e su quelli legati alle materie prime.
Seduta negativa per Piazza Affari, sulla quale ha pesato anche lo stacco dei dividendi di alcune società ad alta capitalizzazione, con la dubbia consolazione di aver comunque realizzato la miglior prestazione a livello continentale (FTSE Mib -0,93%, FTSE Italia All-Share -0,9%. Prevedibilmente in ribasso i titoli che hanno staccato cedola oggi (A2A -7,78%, Enel -6,4%, Exor -4,24%, Parmalat -0,5%, STM -3,48% e Terna -4,78%), ai quali si aggiunge la giornata da dimenticare della Banca Popolare di Milano (-7,5%) dopo l’approvazione dell’aumento di capitale a pagamento funzionale e correlato al rimorso dei Tremonti Bond; in controtendenza Unicredit (+2,2%), IntesaSanpaolo (+1,23%) e Ubi Banca (+2,14%) tra i finanziari, Fiat (+3,8%) tra gli industriali.
Sul fronte del debito sovrano in ripresa lo spread tra il Btp ed il Bund con scadenza a dieci anni a 300 Bp (Basis point, punti base), con il tasso del titolo italiano (Btp maggio 2023) in deciso rialzo al 4,82%.

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