Tra stress test e “tapering” a Milano spunta l’ipotesi “bad bank”

TRIESTE – A dispetto di un pessimo inizio, la scorsa ottava si è conclusa nei migliore dei modi per Piazza Affari (+1,4% il risultato delle ultime cinque sedute), rispecchiando un andamento analogo sul fronte obbligazionario: il rendimento dei Btp decennali è sceso al minimo dal 2006 (3,684%) nonostante il picco toccato martedì, coinvolgendo nella propria discesa anche lo spread, il differenziale di rendimento rispetto ai Bund tedeschi di pari scadenza, che ha chiuso la settimana a 202,2 punti base.

Vere artefici di questo successo le parole di Mario Draghi, presidente della BCE (Banca Centrale Europea), che hanno lasciato intendere agli operatori come l’immobilismo dell’istituto di Francoforte, che ha lasciato invariati i tassi d’interesse senza proporre alcun intervento straordinario, sia dovuto all’imminente revisione delle stime economiche da parte dei propri esperti, con l’implicita aspettativa di vere novità a partire dal prossimo meeting (un ulteriore taglio dei tassi attorno ai 15 punti base e qualche indicazione su eventuali operazioni a sostegno della liquidità e del credito).

Archiviate le recenti tensioni con la Corte Costituzionale tedesca sulla legittimità del piano OMT (Outright Monetary Transactions, acquisto di bond a breve termine emessi da Paesi in difficoltà macroeconomica grave) con il rinvio del caso e del conseguente verdetto di legittimità alla Corte di Giustizia europea, la BCE può nuovamente concentrarsi sulla selezione degli attivi di bilancio delle 128 banche europee, delle quali 15 italiane, le principali tra quotate e non, che questa primavera verranno sottoposti agli esami di qualità (Asset Quality Review) e, successivamente, agli stress test dell’EBA (European Banking Authority) prima che, a novembre, l’Eurotower stessa assuma la vigilanza degli istituti di credito dell’Eurozona.

Questa valutazione della solidità dei bilanci a fronte di un peggioramento delle condizioni economiche o di mercato ha già visto molte banche alle prese con misure sia sul capitale che con accantonamenti, in riduzione delle esposizioni più rischiose, soprattutto in derivati; con le ricapitalizzazioni gli istituti finanziari del Bel Paese dovrebbero tutti superare l’esame, eppure permangono gravi problemi strutturali: dalla spada di Damocle dei “Non Performing Loans” (NPL, i crediti inesigibili), 243 miliardi di euro ad aprile 2013 per l’Italia, al vertice della classifica europea stilata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) ed in rapido e continuo aumento, responsabili, unitamente agli accantonamenti per rischi su crediti, dell’erosione di oltre il 75% degli utili, alla delicata situazione del portafoglio di debito sovrano, al momento perfino più pressante, che nei paesi periferici (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, i così detti PIIGS) rappresenta in media l’8,1% dell’attivo totale degli istituti di credito.

Oltre a provare la reale forza delle economie emergenti e sottoporre a rinnovate tensioni le loro valute, la tempesta che sta investendo i mercati in ascesa potrebbe non limitarsi a scuotere le Borse, ma arrivare persino a scavare profondi solchi nei bilanci delle più importanti banche europee: secondo la BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali, la banca centrale delle banche centrali) a fine settembre l’esposizione del Vecchio Continente verso le economie in via di sviluppo aveva superato i 3.400 miliardi di dollari, metà dei quali in capo a soli sei grandi istituti. Come dire che i rischi ai quali sono esposti i prestiti concessi da queste banche non sono diffusi  ma concentrati in singoli paesi: in particolare la Turchia per Unicredit e la spagnola BBVA, almeno secondo quanto sostiene l’agenzia Reuters.

Guarda caso, dopo undici anni di crescita continua ed il novero tra le economie più brillanti fra quelle emergenti, negli ultimi mesi la Turchia è incappata in una tangentopoli che ne ha svelato l’inadeguatezza della classe politica: dopo l’ennesimo scivolone sui mercati valutari e con una decisione presa in condizioni di emergenza, nella notte del 28 gennaio scorso il Governo di Ankara ha dovuto innalzare i tassi di interesse al 12 per cento per sostenere la moneta e contrastare l’inflazione, nel timore che un peggioramento delle condizioni economiche globali possa aumentare l’ampiezza della propria crisi.

«Non può esserci nessuna crisi la prossima settimana, ho l’agenda piena» disse Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di Stato degli Stati Uniti tra il 1969 e il 1977, ne prendiamo buona nota; però sta di fatto che se un peggioramento improvviso colpisse severamente la sola economia turca infliggerebbe danni ad UniCredit e BBVA anche se la bufera non fosse violenta: bruschi aumenti dei tassi d’interesse per difendere le valute possono rendere al momento inesigibile una mole importante di crediti, con conseguenze che abbiamo già evidenziato.

A rincarare la dose Danièle Nouy, direttrice del Single Supervisory Mechanism, l’ente di supervisione dell’Eurozona, che in un’intervista apparsa oggi sul Financial Times chiede maggior severità nei confronti degli istituti che non dovessero superare positivamente l’imminente “check out”, tanto da affermare che «Dobbiamo accettare l’idea che alcune banche non hanno futuro» lasciando che «scompaiono in modo ordinato e non tentino necessariamente di fondersi con altri istituti di credito»: una drastica potatura ai rami secchi e malati del sistema bancario pur di salvare le parti sane della pianta.

Nessun dato macroeconomico di particolare rilievo da commentare oggi, ma almeno la consolazione che il superindice dell’OCSE mostra generali segnali di miglioramento delle prospettive finanziarie in gran parte delle economie avanzate, in particolare nell’Eurozona (101,1 punti) così come in Italia (101,3) ed in Francia (100,5), evidenziando invece un consolidamento della crescita in Germania (100,8). 

Per quanto riguarda invece i mercati asiatici, positivo inizio di ottava con l’indice MSCI della regione in guadagno dello 0,6%; secondo gli analisti dovrebbe continuare a persistere una discreta volatilità a causa di una crescita dell’occupazione americana meno forte del previsto e dell’instabilità dei tassi di interesse di cui potrebbe risentire l’economia cinese. Quest’oggi la Borsa di Tokyo ha guadagnato l’1,77% grazie alla buona intonazione dei titoli maggiormente esposti ai mercati esteri conseguente il deprezzamento dello yen, mentre l’indice di fiducia dei consumatori giapponesi è sceso leggermente attestandosi a 40,5 punti contro i 41,3 in dicembre, al di sotto di quel valore 50 che indica ancora una fase di contrazione. Positivi anche i listini cinesi (Shanghai +2,03%) grazie ai rialzi del comparto beni di consumo discrezionali, la cui spesa durante le feste per il capodanno ha superato le attese degli analisti. In controtendenza Hong Kong che ha registrato -0,32%.

Avvio positivo per i listini del Vecchio Continente, trainati dalle speculazioni per un possibile rallentamento del tapering della Federal Reserve: la crescita dell’occupazione negli Usa ha disatteso le previsioni degli analisti, facendo crescere la probabilità che Janet Yellen, nuovo Presidente della Fed, decida di rivedere i tagli al piano di acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale americana. La seduta è poi proseguita in modo prudente tra gli acquisti dettati da alcune operazioni aziendali straordinarie (Nokia, L’Oreal) ed il pessimismo legato ai dati sulla produzione industriale (al di sotto delle attese) arrivati da Italia e Francia. Parigi (+0,21%) e Londra (+0,30%) hanno chiuso in territorio positivo, mentre Madrid (-0,89%) e Francoforte (-0,13%) sono risultate negative.

L’incertezza ha penalizzato anche Piazza Affari (FTSE Mib -0,05%, FTSE Italia All Share invariato), con l’attenzione puntata sul comparto bancario in seguito all’ipotesi di creazione di una “bad bank” destinata a gestire i crediti problematici dei principali istituti italiani: in rialzo Monte dei Paschi di Siena (+2,27%) grazie alle indiscrezioni su un interesse del fondo del Qatar a rilevare parte della quota della Fondazione che controlla la banca senese; in flessione Popolare di Milano (-0,7%) dopo che l’istituto ha confermato un aumento di capitale da 500 milioni di euro entro la fine di aprile; ribassi frazionali per Unicredit (-0,44%) ed Intesa Sanpaolo (-0,67%).

Tra i titoli a maggior capitalizzazione segnaliamo il rialzo di Mediaset (+1,03%) sui rumors che vorrebbero il magnate australiano Rupert Murdoch valutare l’entrata nell’azienda che nascerà dall’integrazione delle attività nelle pay tv italiane e spagnole del gruppo del Biscione; infine ancora vendite su Telecom Italia, con il titolo della compagnia telefonica a lasciare sul terreno l’1,91%.

Sul fronte del debito sovrano, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza archivia la prima seduta dell’ottava a 200 Bp (Basis point, punti base), con il tasso sul decennale del Tesoro fermo ai minimi del 2006 al 3,68%. 

Lo spread tra titoli decennali spagnoli e tedeschi è ora a 189 Bp, con il tasso dei Bonos al 3,57%.

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