Il successo della Germania Est. E il nostro Mezzogiorno?

ROMA – Dopo la caduta del muro di Berlino e l’unificazione della Germania le regioni tedesche dell’Est potevano finire nell’abbandono e nell’arretratezza economica come il nostro Mezzogiorno.

Ciò non è successo. Oggi la Germania dell’Est è un territorio totalmente differente con nuove infrastrutture e nuovi insediamenti abitativi, con notevoli investimenti in alta tecnologia e nei parchi industriali.

E’ una lezione che merita un attento studio.

In 20 anni il Pil dei 5 Laender orientali (Brandeburgo, Meclenburgo-Pomerania, Sassonia, Sassonia-Anhalt, Turingia,  ) è aumentato del 200% e partecipa per il 20% a quello nazionale. I redditi privati sono cresciuti del 50%, il livello di produttività ha raggiunto il 72% di quello occidentale.

Per arrivare a questi risultati sono stati trasferiti e investiti oltre 1.200 miliardi di euro. C’è ancora un gap con gli altri laender occidentali ma dovrebbe essere superato in pochi anni.

All’inizio è stato molto difficile e la situazione sarebbe potuto diventare devastante. Dopo la parità tra il marco di Pankov e quello di Bonn, che richiese un notevole impegno finanziario, i prezzi dei prodotti industriali dei nuovi laender aumentarono del 400%. L’industria orientale non aveva alcuna chance nella competizione con i “fratelli” occidentali e con i mercati internazionali. Basterebbe mettere a confronto l’auto “Trabant” di Erick Honecker con la più piccola utilitaria della Volkswagen di Helmut Kohl per comprendere la situazione.

Nei primi dieci anni dopo l’unificazione vi è stato un processo di deindustrializzazione e di smantellamento dell’economia nelle regioni dell’Est, con una disoccupazione di oltre il 20% e un’emigrazione di 2 milioni di persone.

L’iniziale il processo di ristrutturazione venne affrontato con metodi burocratici e lenti e affidato ad una apposita agenzia, la Treuhand. La privatizzazione delle industrie di Stato fu un vero fallimento e in breve tempo produsse perdite per 100 miliardi di euro.

Dopo circa 10 anni la Germania però cambiò radicalmente rotta. Decise che era necessario un trasferimento di capitali, di conoscenza  e di tecnologia, altrimenti quelle regioni depresse avrebbero corrotto e minato l’esistenza dell’intero paese.

Si comprese che lo Stato avrebbe dovuto direttamente affrontare tale compito con un sostegno mirato per garantire il trasferimento di know how e di tecnologie per corridoi orizzontali tra laender, industrie e centri di ricerca.

In certo senso la Germania ha saputo formulare una sintesi moderna ed efficace tra lo “stato imprenditore” di Enrico Mattei e la “planification indicative” di De Gaulle per metter quelle regioni in condizioni di affrontare le sfide dei mercati mondiali. Intelligentemente sono stati trasferiti gli standard istituzionali, legali e amministrativi della Germania occidentale, garantendo un forte impegno nella lotta contro la corruzione.

Certamente l’innovazione e lo sviluppo delle conoscenze sono la base di ogni società moderna, ma, per una positiva performance economica di un paese, è essenziale la diffusione delle moderne tecnologie su uno spettro ampio di applicazioni industriali.

La Germania ha messo in campo il meglio della ricerca pubblica: università, istituti per le scienze applicate e centri di ricerca. Questi ultimi, anche se parzialmente privati, gestiscono bilanci pari a un terzo delle spese statali per la ricerca scientifica e sono il vero asso nella manica dell’eccellenza tecnologica e dell’innovazione industriale tedesca. Per esempio, il Fraunhofer Gesellschaft, da solo conta oltre 17.000 ricercatori e impiegati distribuiti in 60 centri. Lo Stato ha anche impegnato la rete dei “Technologietransferstelle” per il trasferimento delle tecnologie dalla ricerca all’industria. Inoltre per frenare la fuga dei cervelli da quei territori ha realizzato un’intensa rete di trasporti e comunicazioni e creato la necessaria cultura del business prima ovviamente assente.

Il risultato è quello di uno sviluppo in settori importanti quali i semiconduttori, i nuovi materiali, la chimica avanzata, l’ottica, le biotecnologie, il solare e il fotovoltaico.

E in Italia? Senza voler importare modelli altrui sarebbe urgente realizzare un serio piano infrastrutturale materiale e immateriale per il nostro Sud per eliminare le attuali diseconomie che frenano investimenti e ritardano l’integrazione economica tra le varie realtà in Italia ed in Europa.

Sarebbe auspicabile che sul tema Mezzogiorno si creasse davvero una unità di intenti a livello politico ed una efficace e corretta sinergia comportamentale tra le amministrazioni regionali e il governo nazionale.

Il mondo è profondamente cambiato e la persistente crisi finanziaria globale ha modificato gli assetti geopolitici ed economici. Si dovrebbe considerare che forse il Mezzogiorno potrebbe essere la “salvezza” dell’intera economia italiana.

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