Profughi in Africa: una tragedia sempre più grave che avviene nel silenzio del pianeta

di Roberto Malini


MILANO – La condizione dei profughi e dei richiedenti asilo in Africa è sempre più drammatica. Nel campo profughi di Dadaab, il più grande del mondo, che si trova in Kenia, ventimila somali, con donne e bambini stremati dalle privazioni, subiscono quotidianamente violenze e abusi da parte della polizia keniana. In Somalia, nel Congo, in Costa d’Avorio si consumano crisi umanitarie fuori controllo, caratterizzate da un’ecatombe e da un flusso continuo e senza meta di disperati. Disperati sottoposti a uccisioni, torture e stupri, che avvengono ogni giorno nell’indifferenza del mondo. Nel Mali, sconvolto dai combattimenti e da una crisi alimentare come non si verificava da oltre 50 anni, centinaia di migliaia di profughi sono in cerca di un’opportunità di sopravvivenza, mentre si contano centinaia di uomini, donne e bambini caduti sotto i colpi dei movimenti armati. Innumerevoli gli stupri compiuti su giovani donne e bambine dai miliziani Tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad. Omicidi, violenze e stupri sono la terribile regola anche nei quattro campi profughi nel Niger. Le Nazioni Unite mostrano una preoccupante debolezza, di fronte a queste catastrofi causate dall’uomo. La morte di Rocky Kalume Makabuza, funzionario per l’Alto Commissario Onu per i Rifugiati nel Congo, ucciso da uomini armati sabato scorso, è l’emblema del ruolo sempre più difficile dell’agenzia delle Nazioni Unite in un’Africa travolta dalle violenze e dalla fame. Un evento di intollerabile gravità è accaduto ieri, lunedì 21 maggio, presso il campo profughi di Shagarab, nel Sudan, dove settanta rifugiati Eritrei si sono recati presso l’ufficio dell’UNHCR, per chiedere il rispetto dei diritti umani degli ospiti del campo da parte della polizia e dell’esercito sudanese e un miglioramento delle terribili condizioni di vita nell’insediamento. Improvvisamente oltre cento poliziotti armati hanno compiuto un’irruzione e, davanti agli occhi di tre funzionari delle Nazioni Unite, hanno massacrato con i manganelli, le impugnature delle armi, pugni e calci i membri della delegazione eritrea. Alcuni agenti hanno aperto il fuoco sui profughi inermi, uccidendone quattro. Un funzionario ha ripreso la scena, ma gli agenti gli hanno sequestrato la videocamera e l’hanno minacciato. Di fronte alle intimidazioni degli uomini in divisa, i tre addetti Onu sono fuggiti per sottrarsi alla loro furia bestiale.

 

I superstiti eritrei sono quindi stati arrestati. Uno di loro ha perso un occhio, altri sono feriti gravemente. Una delle vittime del pestaggio è riuscito a chiamare la Ong Gandhi e il Gruppo EveryOne in Italia, riferendo i particolari dell’irruzione poliziesca. Successivamente le due organizzazioni umanitarie ricevevano un’altra chiamata da Shagarab: “La polizia e i militari sono appena entrati nel campo,” ha detto, agitatissimo, il testimone, “e hanno portato via dalle tende sessanta eritrei, fra cui dieci donne e quattro bambini. Non sappiamo dove li abbiano portati e non sappiamo che fine abbiano fatto i sessantasei superstiti all’aggressione da parte della polizia, arrestati davanti ai funzionari delle Nazioni Unite. In passato la polizia, che è corrotta, ha effettuato retate simili a questa, per vendere i nostri fratelli ai beduini Rashaida, che poi li trasferiscono nel Sinai e chiedono pesanti riscatti alle loro famiglie, sottoponendoli a terribili torture, mutilazioni e stupri per costringere i loro cari a pagare somme esorbitanti: 30, 40 o anche 50 mila dollari per ogni persona”. Intanto la situazione del traffico di esseri umani nel nord del Sinai ha subito un tragico incremento. Se i trafficanti erano rimasti solo tre, nel gennaio scorso, in seguito alle operazioni compiute dalle forze dell’ordine e da una task force beduina, dopo le denunce delle Ong (fra cui il Gruppo EveryOne, la New Generation Foundation for Human Rights, la Gandhi e l’ICER in prima linea), e i prigionieri poco più di cento, oggi operano nel governatorato ben 30 mercanti di schiavi e si segnalano circa duemila profughi nelle loro mani, di nazionalità eritrea, etiopica e somala. “Le autorità del nord del Sinai non agiscono più contro le bande,” dichiarano il Gruppo EveryOne e la ong Gandhi, “sia perché molti agenti sono corrotti, al soldo dei predoni, sia perché i mercanti di esseri umani e organi sono protetti da Al Qaeda e dall’integralismo jihadistico. Abu Sania, uno dei capi del traffico, si vanta pubblicamente del fatto che i trafficanti devolvono oltre la metà dei loro ricavi criminali alla causa del fondamentalismo islamico armato e dunque sono da considerarsi – secondo lui – ‘eroi dell’Islam’. Purtroppo nessuna autorità religiosa ha scelto di alzare la voce contro l’orrore dei rapimenti, delle estorsioni, degli omicidi, delle sevizie, degli stupri. Neanche il traffico di organi umani, che spesso causa la morte di ragazzini di 16/17 anni, sembra turbare le autorità civili e religiose egiziane, quasi il fine giustificasse quei crimini mostruosi. Ci sorprende anche il silenzio del mondo, come se questa terribile escalation di morte e abusi non facesse più notizia. In questa atmosfera i criminali si sentono intoccabili e oggi l’Egitto è il paese in cui avviene il numero più alto di rapimenti, esecuzioni sommarie, stupri e vendita di organi umani”.

 

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