Birmania e la nostra passività

Siamo un po’ come i cani dell’ esperimento di Pavlov: quando capiscono di non avere via di scampo dalle scosse elettriche, non tentano più di reagire, sopportano in silenzio il dolore.

Spesso agiscono così coloro che vivono sotto un regime, ma anche i tanti abitanti dei paesi democratici. bombardati dai servizi televisivi superficiali, che  passano dalla tragedia in Birmania all’ultimo gossip in voga. Abbiamo perso la nostra reattività e il senso della misura. È vero che non possiamo mobilitarci per tutte le ingiustizie del mondo – sarebbe bello ma utopico; ce ne sono alcune però, estreme come quella della Birmania che colpiscono particolarmente. Non parlo dell’ultima catastrofe naturale subita da questa  pacifica gente, ma del silenzio di decenni nei confronti della giunta militare al potere. Tanto facili ad “esportare” la democrazia quando si tratta di presunti guadagni e tanto indifferenti di fronte a un regime sostenuto dalla potenza cinese. E chi mai tenterebbe di ostacolare un governo a capo di più di un miliardo di persone, bacino di consumi economici quasi infinito? Lo abbiamo visto con la vicenda del Tibet, lo rivedremo con le prossime olimpiadi.

I Birmani non si meritano i soprusi subiti tutti i giorni della loro vita; chi ha conosciuto da vicino questa gente, sa che è gente mite, pacifica ed estremamente umana nell’accezione migliore di questo termine.
Forse anche noi potremmo fare qualche cosa per far tornare il sorriso sui loro volti: facendo sentire la nostra voce di dissenso, esigendo dai nostri politici scelte severe, facendoci rappresentare da chi ci crede ancora e non fa come i cani dell’esperimento di Pavlov, pensando che tanto il mondo va così e non c’è niente da fare per cambiarlo. (di Anna Wylegala)

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