Il Papa in Calabria: “Sforzatevi di crescere nella capacità di collaborare”

CATANZARO – Erano attese almeno centomila persone me ne sono arrivate circa 40.000 a rendere omaggio al Papa Benedetto XVI ieri in Calabria per la sua venticinquesima visita pastorale. Un numero nettamente inferiore rispetto alle previsioni forse dovuto alle notizie meteo poco incoraggianti, la diretta Tv in mondovisione e le ferree regole da rispettare per arrivare nell’area. Alle 9.50 Benedetto XVI a bordo dell’auto personale ha fatto ingresso nell’area a lui stesso intitolata, fra striscioni e bandiere. Due ore e mezza fra ingresso, Santa Messa, Angelus e uscita in Papamobile fra la folla di fedeli, dura la permanenza del Papa nell’area industriale più grande del Mezzogiorno e dove molto spesso i tanti sogni di sviluppo non si sono concretizzati.

Benedetto XVI è atterrato all’aeroporto di Lamezia accolto dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, insieme al vescovo Luigi Antonio Cantafora. Con loro anche il presidente della regione Giuseppe Scopelliti il sindaco della città, Gianni Speranza, al quale è toccato il primo intervento per dare il benvenuto al Papa (che raggiunge il bianco altare, sovrastato da una immensa croce e dove è posizionata la Statua della Madonna di Visora) omaggiato della deliberazione con la quale si è decisa la concessione del terreno necessario alla realizzazione del nuovo complesso diocesano dedicato a San Benedetto. Il primo applauso arriva quando il sindaco ricorda al Pontefice i «momenti durissimi» della città che «ha ancora aperta la ferita del 5 dicembre scorso: la tragedia della morte di 8 ciclisti nostri concittadini». E, con commozione, il sindaco non ha mancato di rivolgere un pensiero a Francesco Azzarà, «nostro corregionale rapito in Darfur, nell’auspicio che possa tornare presto tra noi». E nel ricordare al Papa «i nostri ragazzi» che «hanno bisogno di essere incoraggiati per costruire il loro futuro liberi dalle mafie, dai ricatti e dalle paure», Speranza ha affermato «basta con la mafia!». E ha ricordato «quest’area, che abbiamo attrezzato, anch’essa segno delle nostre laceranti contraddizioni. Grandi speranze e terribili delusioni si sono alternate. Abbiamo aspettato invano il lavoro e l’industria. Invece solo spreco di denaro pubblico. Come tante, troppe volte nel Mezzogiorno. Ma qui – ha ribadito al Pontefice il sindaco – nella più estesa area industriale del Sud, diversi imprenditori hanno realizzato iniziative serie e robuste e ci può essere ancora un’occasione concreta di futuro». Poi il saluto del vescovo di Lamezia, Antonio Cantafora (che ha trovato posto nella Papamobile), che, rivolgendosi al Papa, ha parlato di «autorevole incoraggiamento» e che la notizia della sua visita ci ha riempiti di stupore e gratitudine per essere stati destinatari di tanta benevolenza». Ricordando pure l’importanza della visita «in questo territorio già intriso di spiritualità grazie agli insediamenti monastici basiliani e, in tempi recenti, simbolo di speranze di sviluppo economico mai pienamente intrapreso e sostenuto».

Il Papa non ha potuto far altro che evidenziare ciò che i calabresi sanno già descrivendo la precarietà della realtà: «Una terra – dice – in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza». Ma il Papa pronuncia anche una metafora, efficace quanto amara: in questa «bella regione», afferma, «riconosciamo una terra sismica non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista strutturale, comportamentale e sociale; una terra cioè, dove i problemi si presentano in forma acuta e destabilizzante». Il Pontefice ha definito la disoccupazione «preoccupante», e poi soprattutto la criminalità che è «spesso efferata» e che, aggiunge calcando il tono, «ferisce il tessuto sociale». Ma i calabresi gli chiedevano una parola di speranza, se non un vero “miracolo” e il Pontefice la attinge dal Vangelo, dalla parabola del banchetto del re proposta da san Matteo: «Il rifiuto dei primi invitati – spiega Ratzinger – ha come effetto l’estensione dell’invito a tutti, anche ai più poveri, abbandonati e diseredati». Un messaggio capace di rincuorare l’animo della gente alle prese con gli affanni di un’arretratezza soffocante. Perché – aveva appena sottolineato Benedetto XVI richiamando il profeta Isaia – il banchetto preparato significa che «l’intenzione di Dio è di porre fine alla vergogna» e il suo progetto è «far scomparire la condizione disonorevole del suo popolo». L’amore è la chiave, spiega, per «prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico». In questo senso Benedetto XVI richiama quanto affermato durante la sua visita a Cagliari con l’auspicio di «una nuova generazione di uomini e donne» precisando stavolta che il loro impegno non deve concentrarsi su «interessi di parte». E le raccomandazioni pronunciate durante l’omelia sono molte: «Non cedete mai alla tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi», «fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane», «sforzatevi di crescere nella capacità di collaborare» e poi «non abbiate paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti religiosi». Il Papa si è detto sicuro che i calabresi «sapranno superare le difficoltà e prepararsi un futuro migliore» perché «avete saputo rispondere con una prontezza e una disponibilità sorprendenti, con una straordinaria capacità di adattamento al disagio». Poi nell’Angelus, pronunciato al termine della Messa sempre sul palco dell’area ex Sir dominato dalla enorme riproduzione della croce di Cortale, ha rivolto un’invocazione particolare per la Calabria e per i suoi problemi più gravi, quelli del lavoro e quelli della gioventù, con un pensiero per le persone disabili che «richiedono crescente attenzione da parte di tutti, in particolare delle istituzioni».

Ce n’erano molti, di disabili, arrivati grazie all’aiuto dei volontari. Prima di scendere dal palco il Papa ne ha accarezzato uno su una sedia a rotelle. E una carezza virtuale l’ha data anche a tutta la regione quando, prima di congedarsi dalla folla della spianata, ha invitato a rinnovare quella che ha chiamato «vostra amata Calabria», correggendo subito dopo il pronome possessivo: «la nostra amata Calabria». Il Pontefice si è poi recato nella Certosa di Serra San Bruno, per un momento, quello con i certosini, a cui il Papa teneva in modo particolare: Benedetto XVI, nel corso di una riflessione a margine della recita dei Vespri, ha sottolineato l’importanza del loro carisma, «dono prezioso per la Chiesa e per il mondo» che «contiene un messaggio profondo per la vita e l’umanità intera»: un’alternativa ai pericoli della «virtualità che rischia di dominare sulla realtà». «A volte, agli occhi del mondo – ha aggiunto il Pontefice – sembra impossibile rimanere per tutta la vita in un monastero, ma in realtà tutta la vita è appena sufficiente per entrare in questa unione con Dio». La definisce «oasi», la Certosa. Ed è per questo che ha voluto che fosse l’ultima tappa della visita in Calabria. All’uscita dal portone del monastero, quando ormai era buio, l’elicottero ha portato infatti Benedetto XVI a Lamezia. E da lì il congedo, con l’aereo che è decollato per Ciampino. Dopo una giornata che, a distanza di 23 anni dalla visita di Wojtyla di Reggio, lascerà alla Calabria un’altra pagina di storia e una traccia sulla quale provare a ricostruire la speranza…sperando, da calabresi, di non morire disperati.
Certo è, che il giorno dopo la visita del pontefice, la Calabria si ritrova insoddisfatta per il “mancato” miracolo e più povera per aver osato, con i quasi due milioni di euro per l’organizzazione, oltre le proprie possibilità economiche.

 

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