Aldrovandi. Cassazione conferma le condanne. 3 anni e 6 mesi agli assassini di Federico

BOLOGNA – Ci sono voluti quasi sette anni affinchè la magistratura mettesse la parola fine a una delle pagine peggiori della storia di questo Paese.

Sette anni di indagini, udienze, depistaggi, testimonianze crude, a volte spietate nella loro falsità, a volte pregne di quel dolore sordo la cui enormità può essere conosciuta solo agli occhi di due genitori alla ricerca di un po’ di giustizia per la morte del proprio figlio. Sette lunghissimi anni per affermare che quei quattro poliziotti accusati di omicidio colposo nei confronti di Federico Aldrovani, ucciso a colpi di manganellate e percosse a soli 18 anni, hanno le mani sporche di sangue. Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontanti e Luca Pollastri: questi i nomi degli assassini i quali, lo ricordiamo, grazie all’indulto, vedranno la loro pena iniziale di 3 anni e 6 mesi ridotta a soli sei mesi. Non trascorreranno neanche un giorno nelle patrie galere, ma subiranno una sanzione disciplinare e, forse, il licenziamento. Appreso il responso della Cassazione, l’avvocato Fabio Anselmo, legale degli Aldrovandi, non ha esitato a parlare di “sentenza storica”, mentre il padre di Federico ha dichiarato che “si inizia a respirare aria di giustizia”: una giustizia che ha stentato a giungere anche grazie ai depistaggi, agli omissis e alle mistificazioni che gli imputati, come sostenuto dal Pg, hanno operato più e più volte nel corso delle indagini. Nella sua requisitoria, Mazzotta ha anche parlato di “cooperazione colposa perché vi è stata una comune scelta di agire, mentre ciascuno avrebbe dovuto interrogarsi sull’azione degli altri e, se del caso, agire per regolarla”. I quattro imputati hanno dunque operato trascendendo i limiti consentiti dal loro ruolo, comportandosi “come schegge impazzite”. Ed è probabilmente questo uno degli aspetti per cui la sentenza odierna è indubbiamente destinata a creare un precedente: in essa viene infatti affermato con forza che i responsabili della morte di Federico Aldrovandi hanno abusato della loro autorità, scagliandosi ciecamente e immotivatamente contro un soggetto indifeso. Nel fare ciò, hanno poi utilizzato ogni metodo per insabbiare le prove della loro colpevolezza. Tutto questo nelle vesti e in qualità di membri delle forze dell’ordine. Un passaggio, quest’ultimo, molto importante, poiché sono ancora tanti e troppi i nomi in attesa di giustizia, dove è forte il sospetto che la violenza sia stata compiuta da una divisa e sempre in nome di essa si stia deviando il naturale corso delle indagini. Ilaria Cucchi, Lucia Uva, i familiari di Michele Ferrulli: sono uomini e donne che ancora attendono verità e giustizia per i loro cari e che nel corso del tempo si sono stretti, solidali, alla famiglia Aldrovandi.

Una famiglia lacerata, oltre che dal dolore per la perdita del proprio figlio, anche da un altro aspetto non di poco rilievo: anche Patrizia e Lino, madre e padre di Federico, fanno parte di un corpo di polizia; il loro più caro amico, Nicola Solito, colui il quale la mattina del 26 Settembre 2005 si recherà a casa degli Aldrovandi per comunicargli la notizia, è un ispettore della Digos. A lui il compito di riconoscere il corpo segnato dalle ecchimosi e dalle percosse. Sarà lui che consiglierà ai due genitori di affidarsi a un buon avvocato, e sarà sempre lui che, a un certo punto, sceglierà di interrompere i rapporti con i genitori di Federico, poiché in una posizione troppo difficile rispetto al suo ruolo all’interno delle forze dell’ordine. È stato questo, uno dei più forti terremoti che ha percorso il cuore distrutto degli Aldrovandi: l’idea di dover andare contro la divisa che anch’essi indossano e nella quale hanno sempre creduto; l’idea che dei loro colleghi avessero potuto compiere una violenza del genere; l’idea che la loro determinazione nel giungere ai nomi degli asssassini di Federico avrebbe potuto far emergere anche reticenze e omertà, proprio tra le fila di chi avrebbe invece dovuto collaborare e comprendere.
Da oggi gli assassini di Federico Aldrovandi hanno ufficialmente un volto e un nome. Nulla, neanche una sentenza di Cassazione restituirà a Lino e Patrizia il loro figlio; la loro battaglia, però, assume i contorni di una speranza: quella di una giustizia vera ed efficace; incorruttibile ed esemplare. Soprattutto, umana.

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