No Tav: un’opera assurda. Domani il movimento torna in piazza. “Sarà un corteo pacifico”

ROMA – Domani 25 febbraio il movimento dei No Tav torna in piazza e incassa centinaia di adesioni da parte delle forze politiche sensibili all’ambiente.

Da anni la società civile, la comunità montana della Val di Susa chiedono a gran voce che  un pezzo importante del loro ambiente a della loro storia sia preservato e non diventi l’occasione di scempio per realizzare una grande opera sulla quale orbitano grossi dubbi sulla sua convenienza e utilità.
Il corteo – che gli organizzatori tengono a sottolineare – , sarà pacifico e tutti i partecipanti saranno a volto scoperto si snoderà tra Bussoleno e Susa. Alla marcia hanno aderito Rifondazione Comunista, Movimento 5Stelle, Sel, Fiom, Legambiente, e numerosi gruppi e associazioni di cittadini locali e nazionali. E la parola d’ordine rimane sempre la stessa, ovvero quella “a sostegno del trasporto locale, delle scuole, della difesa del suolo, della libertà di dissenso”, nonchè la “sospensione immediata dei lavori del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte”. C’è da aggiungere che la manifestazione si pone anche l’obiettivo di esprimere “la contrarietà alla militarizzazione della valle, alle grandi opere inutili, alla cancellazione dei Comuni ed all’aumento dei Tir”.

Insomma tutte cose note nell’ambiente valsusino e non solo. Intanto dagli ambienti governativi si guarda all’evento con una certa preoccupazione, considerando gli ultimi episodi violenti che si sono registrati e che hanno provocato diversi arresti tra le fila del movimento NoTav. Sarebbe un motivo più che valido per l’attuale Esecutivo Monti di cogliere l’opportunità per aprire un dialogo serio con le popolazioni locali, invece l’opera va avanti con la stessa sottovalutazione del governo precedente, tant’è che le parole del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri non  lasciano molta speranza: “C’è molta attenzione ma anche molta fermezza e tranquillità”, ha detto l’inquilino del Viminale.

Ma c’è qualcos’altro di molto importante nella denuncia degli ambientalisti. Infatti,  “l’accordo italo-francese dello scorso 29 gennaio sul Tav rischia di provocare un danno erariale per l’Italia, la quale potrebbe ritrovarsi a dover pagare almeno due miliardi per un tratta di 33 km della linea ferroviaria interamente realizzati in Francia”. È quanto si afferma in un esposto che Pro Natura Piemonte ha presentato oggi alla delegazione della Corte dei Conti di Torino. Il documento è firmato da Mario Cavagna Bontosi, presidente dell’associazione ambientalista, e da Alberto Veggio, consigliere comunale a Condove.

I due esponenti sollevano il problema dell’inserimento, nel trattato del 29 gennaio, di un articolo in cui si afferma che «la parte comune italo-francese è costituita in Francia da una sezione di 33 km circa attraverso il massiccio di Belledonne». «Questi 33 km aggiunti in Francia – si legge – al costo medio di 125 milioni di euro al chilometro rappresentano un costo di 4,12 miliardi di cui la quota italiana del 57,9% corrisponderebbe a 2,4 miliardi». La somma potrebbe non venire coperta nemmeno dall’Unione Europea, il cui contributo «è così poco certo che la stessa premessa dell’accordo del 29 gennaio subordina ogni decisione futura alla definitiva presa di posizione dell’Ue». Pro Natura chiede alla Corte dei conti di verificare il danno erariale e sospendere l’efficacia del trattato, che in base alle sue connotazioni giuridiche potrebbe, in linea teorica, entrare in vigore già il 1/o marzo. «La candidatura di Roma alle Olimpiadi – commenta Veggio – è stata cassata per ragioni economiche, e allora è assurdo che, adesso, l’Italia vada a pagare un tratto di ferrovia interamente costruito in Francia».

E non dimentichiamo che dai dati economici indicati nel progetto preliminare il preventivo per le finanze pubbliche ammontano a circa 13 miliardi di euro, ovvero 120 milioni di euro a chilometro. Una vera follia in un periodo di lacerante crisi economica.

Ma non è tutto, perchè  non sono solo queste le uniche ragioni per cui quest’opera troverà sempre un fronte popolare contrario. Bisogna sommare il danno ambientale, la previsione sui volumi del traffico ferroviario, che a dirla tutta non sono proprio idilliaci,  a criminalità organizzata, il malaffare e la corruzione che spesso orbitano  nel settore degli appalti pubblici per l’ingente volume d’affari che producono.
Motivi validissimi per fare marcia indietro e non indebitarci ulteriormente su un’opera che devasterà inevitabilmente un pezzo importante dell’Italia.

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